GROUPER, Ruins

GROUPER, Ruins

Dimenticate la Grouper che avete conosciuto, almeno stavolta, che Ruins è niente più che una manciata di possibili canzoni scritte nel 2011 ad Aljezur, in Portogallo, durante una residenza alla Galleria Zé dos Bois. Lì Liz Harris ha trascorso del tempo passeggiando tra la spiaggia, vecchie fabbriche e un piccolo villaggio, documentando quei momenti con la sola voce, accompagnata da un piano.

Se eravamo ormai affezionati a quelle chitarre impastate di detune e riverbero, looppate come non ci fosse un domani, beh, qui i pedalini sono rimasti a casa per lasciare spazio a una ritrovata essenzialità. Chiacchiericcio a parte, Grouper è una di cui si rispetta innanzitutto l’onestà. Là dove altri, non appena hanno potuto, hanno abbandonato lo-fi e camerette, lei è sempre rimasta fedele alle eterne adolescenze krankyane, cercando di mantenere i suoi dischi volutamente imberbi e scanzonati in tutta la loro oscurità e introversione. E Ruins non è da meno, benché i presupposti per scrivere delle vere e proprie canzoni ci fossero tutti (vedi pezzi come “Call Across Rooms” o “Lighthouse”), ma a questo punto c’è proprio da mettersi l’anima in pace, quel disco Grouper non lo vuole fare e forse non lo farà mai.
Dismesse le vecchie armature, le tracce procedono per sottrazione estrema, comunicando un voluto senso di mancanza, un sincero isolazionismo. Spogliata degli effetti, la voce non recupera che i rudimenti di un’interpretazione (sempre poco chiara, dietro al piano) e Liz se ne frega di mixarla vantaggiosamente, nonostante le armonizzazioni e quel timbro celino ancora il segreto che da sempre crea un senso di profonda comunanza tra lei e l’ascoltatore.
Talvolta il connubio voce e piano riesce ad emanciparsi dalla singolarità dell’evento (“Holding”) e reminiscenze dell’Eno più intimo di Before And After Science riecheggiano qua e là, guest star grilli e lucciole.

Nel finale, a sorpresa, tutto si dissolve e come al risveglio da un insolito sogno, torniamo quasi alla Grouper che conoscevamo, con stratificazioni ovattate e made of air, come cita il titolo. La quadratura del cerchio o forse solo il ribadire che questo non è che un episodio di un lungo percorso in cui la fragilità si fa forza disarmante e la semplicità comunicazione estrema.

Tracklist

01. Made of Metal
02. Clearing
03. Call Across Rooms
04. Labyrinth
05. Lighthouse
06. Holofernes
07. Holding
08. Made of Air