GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR, G_d’s Pee AT STATE’S END!

Questa non è una colonna sonora per la fine del mondo.

No, i Godspeed You! Black Emperor non hanno alcuna intenzione di vestire i panni dell’orchestra del Titanic in un mondo sconvolto dalla crisi pandemica. Sarebbe stata un’operazione facile, ma troppo scontata per una band che fa dell’anticonformismo la propria ragion d’essere.

Ridurre “G_d’s Pee AT STATE’S END!” a mero sottofondo di pellicole post-apocalittiche significherebbe travisare completamente le intenzioni del gruppo. Il connubio tra la musica della formazione canadese e il cinema è innegabile, e trova l’ennesima dimostrazione nell’anteprima streaming del disco accompagnata dalle immagini dello storico collaboratore Karl Lemieux, che altro non fanno che stimolare le sensazioni suscitate da questi quattro pezzi strumentali. Efrim e compagni hanno letteralmente tradotto in note i pensieri e gli stati d’animo con cui ci siamo dovuti confrontare durante la quarantena, mentre la componente visiva ne ha fornito l’adattamento in un secondo linguaggio, il tutto allo scopo di coinvolgere a 360° il proprio pubblico.

L’altro aspetto da tenere bene a mente è che, come sottolineato nel titolo con tanto di lettere maiuscole, i Godspeed You! Black Emperor hanno elaborato le paure e le insicurezze che stanno caratterizzando il nostro presente e si sono fatti promotori della diffusa esigenza di un cambiamento. “G_d’s Pee AT STATE’S END!” ci dice che il mondo non finirà certo con il Covid-19, tuttavia manifesta il bisogno di forme di governo più umane e di economie sostenibili. In parole povere: “lo Stato-nazione è morto, sotto sotto lo avete capito tutti: seppelliamolo, pisciamoci sopra e sbrighiamoci a costruire qualcosa di nuovo”.

Non stupisce quindi che, nel comporre l’opera, la band abbia giocato sul contrasto tra inquietudini e speranza: la prima traccia “Glacier” (titolo abbreviato in sede live lasciando le chilometriche denominazioni ufficiali ad appannaggio dei fan) ha origine da segnali radio captati da fronti in guerra e si evolve in un turbinio di ritmi ipnotici e immani saliscendi sonori. All’apice della tensione, questi sfociano a sorpresa in un’eroica marcia che sembra alludere ad un avvenire migliore, se solo saremo in grado di abbandonare concetti ormai obsoleti e strutture sociali alienanti.

Decisamente più cupa la breve “Fire At Static Valley”, in cui tra i malinconici arpeggi di chitarra e i sinistri movimenti degli archi fa capolino il suono di sirene lontane capaci di evocare i peggiori momenti della scorsa primavera. Con il terzo atto (“Cliff” dal vivo, “Government Came” per gli amici) si torna sui venti minuti di durata e ad una più classica struttura in crescendo, che però nulla toglie alla potenza espressiva del pezzo. Il violino di Sophie Trudeau, il basso profondo di Mauro Pezzente e i fraseggi di chitarra di Moya, Bryant ed Efrim si amalgamano in un flusso impetuoso che si alimenta fino al tripudio finale con tanto di campane a festa. Chiudono le suggestioni ambient di “Our Side Has To Win (for D.H.)”, il pezzo più minimale dell’album e che sembra rimarcare la necessità di una svolta.

Non ci sentiamo parte di nessuna comunità musicale ed è preoccupante che parecchi gruppi possano apparire simili a noi. È sintomo del fatto che non c’è un vero movimento di progressione, di cambiamento

Mauro Pezzente

Dopo alcuni album dalla forma più “convenzionale”, G_d’s Pee AT STATE’S END! riafferma la completa indipendenza dei Godspeed You! Black Emperor da facili classificazioni. Limitarsi ad inserire i canadesi nel calderone del post-rock non è diverso dall’affermare che l’Italia rientra nei confini del pianeta Terra: parliamo di una band forte di peculiarità uniche, sviluppate nell’arco di ventisette anni di attività (inclusa la pausa tra 2003 e 2010, durante la quale i membri hanno comunque lavorato ai vari side-project). Symphonic-punk è una definizione che trovo più accurata e al tempo stesso sufficientemente ambigua da non risultare riduttiva: mette in evidenza la loro sofisticata natura orchestrale e la profonda natura politico-sociale del progetto.

Dal punto di vista tematico, ci troviamo di fronte al lavoro più radicale, impegnato e, paradossalmente, più “ottimista” della discografia del gruppo, portavoce delle sensazioni che molti di noi hanno provato di fronte alle ambiguità e alle inefficienze di politici e governanti nella gestione dell’attuale crisi: non tanto un bisogno di ribellione (e, se sì, che nulla avrebbe a che fare con idioti in costume indiano armati di megafoni e idee confuse), quanto di un profondo rinnovamento dell’intera società umana.