GOD OF THE BASEMENT, Bobby Is Dead

C’era una volta una miscela esplosiva di stili e generi differenti (rock, funk, hip-hop, hardcore e finanche metal): i confini erano volutamente larghi e slabbrati, i gruppi si assomigliavano più per una questione di attitudine centrifuga che per effettive affinità soniche e, infatti, appassionati e giornalisti parlavano di crossover, quasi a sottolineare l’inafferrabilità di un sound che pian piano raccoglieva sempre più consensi. Inevitabilmente è poi arrivato il successo, rappresentato tra le altre cose da MTV, e quello che era principalmente un approccio libero, si è trasformato in una ricetta codificata. Un cantante che sapesse anche rappare discretamente, influenze dark e goth, qualche spruzzatina di elettronica: il crossover si è trasformato così nel nu-metal e sono arrivate le infinite discussioni su realness e derive commerciali. Ogni tanto, ancora oggi, specialmente dai confini dell’impero, arrivano però dischi capaci di riconnettersi in maniera sorprendente con quella stagione di entusiasta, e forse un po’ ingenua, contaminazione. È il caso, per esempio, di questo secondo album dei fiorentini God Of The Basement. Il quartetto, che getta le sue radici a Londra, dove si sono incontrati i fondatori Tommaso Tiranno ed Enrico Giannini, prosegue lungo il solco dell’omonimo esordio del 2018, riprendendo il concept sulle gesta dei due misteriosi uomini vestiti d’argento.

Li avevamo lasciati mentre seppellivano Bobby Bones e li ritroviamo in fuga dalle maledizioni lanciate dallo stesso che, per quanto sia morto (come recita il titolo) resta più minaccioso e inquietante che mai.

Quello dei God Of The Basement è un viaggio negli Stati Uniti più pulp e crepuscolari, alla ricerca dell’improbabile un anello di congiunzione tra White Zombie e LCD Soundsystem, tra i newyorchesi Feelies e gli alfieri dell’hip-hop meticcio Cypress Hill. Se l’apertura del disco, con il suo mix di rock’n’roll tarantiniano e breaks elettronici, gira dalle parti dei sottovalutati belgi Millionaire, lo swing maledetto della ballata “Six Six Sigarettes” si trasforma, nella versione remix (con la partecipazione del concittadino X and Her), in una versione super-sintetica dei Fun Lovin’ Criminals più suadenti; “Seven Eight Night” omaggia i Tv On The Radio più funky (quelli del strepitoso triennio 2008-2011), mentre “The Haunted” incrocia elettronica e suggestioni desert-rock. La breve e conclusiva titletrack si pregia degli interventi del trombettista Rocco Brunori e congeda l’ascoltatore con un mood disincantato e funebre tra New Orleans e l’epica mariachi.

Verissima bombetta, Bobby Is Dead è il lavoro maturo, ricco e originale di una band che appare in stato di grazia e che sembra avere ancora un bel po’ di cartucce da sparare.