GHOST, Prequelle

Esce finalmente il nuovo album dei Ghost, che arriva dopo le divisioni, le polemiche sui soldi, i cambi di look e l’ennesimo “avvicendamento” nella curia. Sì, lo sappiamo che è sempre lui, il buon Tobias Forge, anzi ormai c’è solo lui della vecchia compagine.

Il disco si apre, dopo l’intro, con “Rats”, il singolo già lanciato come antipasto e, pur senza essere ai livelli delle vecchie hit, non delude, ha il tiro giusto, quella base metal un po’ tamarra, il forte appeal pop, tutto equilibrato anche se un po’ meno incisivo del solito, ma è comunque ciò che ci si aspetta dalla band: un buon mix ruffiano di coattume borchiato e piacioneria radiofonica, quel mix irresistibile e cingommoso che ce li ha fatti amare e trascurando le tante accuse di operazione a tavolino. Fosse tutto su questi livelli, magari con qualche impennata a livello di songwriting, ci sarebbe di che essere contenti e non recriminare, perché in fondo chi apprezza i Ghost ama proprio questo melting pot, un po’ quello che ritorna anche nella successiva “Faith”, nonostante già si avverta uno spostamento su sonorità americane, lontani ormai da ogni linea ereditaria con i Mercyful Fate e certo metal europeo. Da qui in poi però la situazione si fa sempre più chiara, Prequelle è un solido disco di a.o.r. o arena-rock che dir si voglia, un prodotto patinato che sposta pesantemente la barra verso il pop e, più ancora, verso certo rock da FM che poco o nulla ha a che fare con la formula che ci aveva stregato. Sia chiaro, ci sono dei gran bei brani e la scrittura è tutt’altro che dozzinale, ma manca quasi del tutto la vera hit alla “Year Zero”, “Cirice” o “Square Hammer” che dir si voglia, e anche i lenti non hanno l’appeal di una “He Is” e lasciano il sapore di occasione perduta. Questo proprio perché fino a Meliora la band aveva saputo progredire e lavorare per la ricerca di un giusto equilibrio tra le sue varie componenti. Qui, purtroppo, la situazione è stata forzata, si è aggiunto del prog, dei tecnicismi, delle sovrastrutture quasi a voler dimostrare che la nuova band sa suonare come se non meglio della precedente, i Ghost hanno cercato di comporre un disco più completo e maturo (vedi le due strumentali) e in gran parte ci son riusciti, perché tutto si può dire tranne che ci si trovi di fronte ad un album mediocre. Il problema, è che sulla lunga prende meno e non ti viene voglia di rimetterlo su con la stessa frequenza dei precedenti, anzi dopo qualche tempo si rischia di dimenticarlo per passare ad altro, anche da parte di chi –come il sottoscritto- ha ancora Meliora in heavy rotation in macchina. Non c’è un perché, non c’è una vera ragione, se non la mancanza di quell’effetto coinvolgente, di quella pacchianeria irresistibile che portava a fregarsene dell’evidente spirito ruffiano e paraculo. Certo, c’è il sax di “Miasma” che fa venire i brividi, ci sono dei buoni colpi a segno, ma l’insieme risulta un po’ troppo così e un po’ poco colà, senza quel quid, quell’ingrediente x non facile spiegare, ma la cui assenza qui si avverte in tutta la sua gravità. Spiace, ma non è il ritorno che avremmo voluto e alla fine ti fa domandare: Ma se a me Kansas, Survivor, Chicago, Toto e compagnia cantante non son mai piaciuti, perché devo ascoltarmi i Ghost? Vera prima cocente delusione di questo 2018 e, visto che parliamo di un disco affatto mediocre o costruito male, appare ancora più evidente cosa sarebbe potuto essere e non è stato. Attendiamo fiduciosi una conversione postuma.

Tracklist

01. Ashes
02. Rats
03. Faith
04. See the Light
05. Miasma
06. Dance Macabre
07. Pro Memoria
08. Witch Image
09. Helvetesfonster
10. Life Eternal