ganavya, Nilam

Terzo album in appena due anni per ganavya (tutto minuscolo), straordinaria multistrumentista e interprete della tradizione vocale carnatica del Tamil Nadu, India meridionale, da cui provengono i genitori e dove lei, nata negli Stati Uniti, è tornata a studiare musica per poi trasferirsi recentemente a Berlino, tanto che abbiamo avuto modo di ascoltarla in concerto durante l’ultimo CTM festival.

Contando sulla produzione trasparente di Nils Frahm, in Nilam (trad. terra) ganavya ci affida sette estatiche session registrate negli studi Leiter, che hanno sede all’interno dell’immenso edificio ex-sede della Radio di Stato della Germania Est, Rundfunk der DDR, ora Monom Funkhaus. Registrato in assetto a tre, come nel live berlinese di febbraio, vede la presenza di due fuoriclasse del giro Berklee College of Music con cui Nilam collabora dal 2016 ossia Charles Overtone all’arpa modificata chase-bliss e Max Ridley al contrabasso.

Ecco dunque che rispetto alle precedenti collaborazioni e album (Aikyam Onnu, Like The Sky I’ve Been Too Quiet,  l’ep Draw Something Beautiful e Daughter Of A Temple) il risultato che scaturisce da Nilam è ora ancor più intimo, minimalista: siamo all’interno di un sistema armonico che attraversa culture distanti tralasciando le differenze e privilegiando le assonanze, prova ne sia come nell’intonazione il canto carnatico in tamùl risulti del tutto coerente al suono della lingua inglese alternato qui in alcuni brani.

Lo spiritual-jazz di John e Alice Coltrane è nell’aria, ma nell’approccio tutto contemporaneo di ganavya riconosciamo una maggiore quanto evidente affinità emotiva.

Sette composizioni, trentadue minuti di assoluto stupore estatico anche per l’ascoltatore più disincantato/incarognito dai nostri orrendi giorni. Si inizia con l’up-tempo gioioso di “Land”, si prosegue nel modo-minore di “Song For Sad Times” (appunto), “Not A Burden”, i magici nove minuti di “Nine Jeweled Prayer” che l’interprete dal vivo trasforma in un prolungato quanto dilatato mantra collettivo (al CTM singhiozzavano i punkettoni in total black!) per giungere, infine, all’emozionante epilogo di “Sees Fire” che gioca con l’assonanza alla parola ceasefire, cessate il fuoco.

In definitiva la terra che attraversiamo in Nilam si svela come una preziosa esperienza da vivere in concentrata solitudine, d’altronde qui si va ben oltre l’ascolto sic et simpliciter per addentrarsi nella segreta essenza della umana percezione.

Su Bandcamp è reperibile, con la medesima formazione odierna, la prima registrazione (edita nel 2020) di ganavya ed è una personale interpretazione di Blackbird, tratta dal song-book dei Beatles, inserita in quel capolavoro che è White Album e composta nel 1968 a Rishikesh da Paul McCartney ai tempi del soggiorno indiano nell’Ashram di Maharishi Mahesh Yogi. Sarà il karma ma qui tutto torna.

P.S.: una visita al sito dell’etichetta LEITER offre un’interessante panoramica, non solo musicale, delle loro proposta mondialista, da The Caretaker ad Anoushka Shankar via Tiny Vipers e molto, molto altro ancora.