GAMMELSÆTER & MARHAUG, Higgs Boson

Le copertine Blue Note fermano il tempo.

Ritratti di Coltrane, Rollins, Hancock, Shorter (…) spesso monocromatici. Quando ha immaginato Ideologic Organ, Stephen O’Malley ha deciso di imporre quell’estetica ai dischi che avrebbe fatto. La dominante del suono non sarebbe stata il jazz, ma il rumore o il bordone, se non a volte la bruttezza voluta. Bisognava rendere chiaro a tutti, però, che dietro a quei suoni c’erano Autori, Personalità-da-rispettare, anche se la Personalità era quella stabilita da O’Malley. È che dovevano poter stare su Wire senza problemi.

Stile che cambia la percezione dell’oggetto. Un’operazione non troppo dissimile a quella coi Sunn O))): un piatto servito diversamente prende forse un altro sapore. Un uomo in giacca e cravatta agonizzante a terra viene soccorso, uno vestito di stracci ignorato. Marhaug e Gammelsæter sono molto belli (sono sempre molto belli, qui di più) sulla copertina di Boson Higgs e rientrano in un progetto grafico ben preciso. Abbiamo già parlato di loro insieme per Quantum Entanglement, perciò il titolo del nuovo album non sorprende: per quanto ne so Gammelsæter è una scienziata e i temi scientifici s’infiltrano nei suoi dischi. Sempre a proposito di forma e sostanza, Marhaug dice che in questo caso è stato ispirato da cinema (Takashi Ito e Toshio Matsumoto), fumetto (Philippe Druillet e Jean Giraud), fotografia di paesaggi (Fay Godwin, Kåre Kivijärvi, Tamiko Nishimura).

Tocca alla sostanza, adesso.

Gammelsæter prova tanti registri vocali, ma questa volta il growl è fuori contesto. Il rantolo à la Linda Blair un po’ meno. Quando invece ricorre a uno spoken word suadente e spettrale, o a vocalizzi, magari effettati, funziona molto meglio per Boson Higgs. È per certo una presenza magnetica, al di là dei contenuti, raramente intellegibili.

Marhaug non è lontano da Context, altro suo disco del 2022, ma per Smalltown Supersound. Noise è rompere, scegliere il suono indesiderato, incomprensibile: qua il norvegese riparte dai cocci e dalle macerie per delimitare uno spazio ampio e vuoto, dunque un significato, in cui lasciare muovere l’altra. Dietro, in ogni caso, uno sfondo grigio, con per pochi tratti le fenditure (è un taglio di Lucio Fontana) di una corda della chitarra di Gammelsæter. Rimane in testa la fine sconfortante di “These Questions”: qualcosa che sembra vento, basse frequenze che ribollono, lungo silenzio di lei che interrompe salmodiando come qualche demonio.

Ridicolo cercare paragoni quando hai a che fare con persone che hanno inventato generi. Come nel caso della copertina, però, per i miei gusti è tutto troppo sotto controllo e si gioca troppo sul sicuro.

Note a margine

Lasse, Runhild e Stephen, in un modo o nell’altro, collaborano da secoli.

Ideologic Organ era parte della famiglia di etichette di Editions Mego. Oggi, scomparso Peter Rehberg, la partnership è con Shelter Press.