FUTARI, Beyond / SATOKO FUJII, Hazuki

Doppietta di dischi su Libra Records per l’instancabile e vulcanica Satoko Fujii.

Partiamo da Futari (didascalicamente, “due persone” in giapponese), il duo che vede la pianista assieme alla vibrafonista Taiko Saito, già collaboratrice di Mary Halvorson e protagonista del Berlin Mallets Group. Nove haiku pensosi e rarefatti, dove ampio spazio viene lasciato ad un silenzio stupefatto e complice, mentre nelle orecchie e nella mente degli ascoltatori si formano origami delicatissimi e prendono forma geometrie eleganti, nitide ed essenziali. Un quid di imprendibile malinconia da Sol Levante, come nella musica di Joe Hisaishi per certi film di Takeshi Kitano, un osservare il divenire stesso della musica facendolo somigliare allo sbocciare di un fiore. Ombre di bolero (“On The Road”), esercizi di biologia acustica (l’incipit in punta di piedi di “Molecular”), prototipi di ruvida bellezza ctonia (“Proliferation”); la maestria delle due musiciste nell’utilizzare le possibilità timbriche ed armoniche degli strumenti raggiunge uno dei suoi vertici in “Todokai Tegami”, dove i suoni del pianoforte preparato e quelli del vibrafono sfregato con l’archetto ci trasportano in un altrove di ombre e fantasmi nel quale perdersi e dolcemente naufragare. Il dialogo libero e poetico, sebbene sempre in pieno controllo, pervaso da un perenne senso di veglia, informa di vita accennata e pronta a sbocciare, come nell’apertura cantabile proprio di “Todokai Tegami”, quasi un carillon in un quadro impressionista. Leader di almeno cinque orchestre tra Stati Uniti, Germania e Giappone, la pianista di Kobe ha conosciuto Saito, nativa di Sapporo, a Berlino, dove la vibrafonista risiede: questo è il primo documento del loro incontro ed è un’altra dimostrazione della creatività della grande Satoko.

Altri fantasmi appaiono nel piano solo, registrato in casa nell’agosto 2020, che si apre con l’indicibile languore di “Invisible”, dove un accenno pensoso à la Paul Bley è attraversato da sparse nuvole di cluster che si addensano e si dissolvono, in un movimento a pendolo che lascia cielo e spazio a un discorrere torrenziale, ripetuto sulle stesse quattro, minime note, come un prologo ad un’apocalisse in miniatura, a un’agonia al rallentatore, o una vita in punta di spillo.  Dopo aver scritto queste poche righe, leggo dal libretto, dove l’autrice scrive: “La sento come il suono di qualcosa che non possiamo vedere e si arrampica su di noi”. Curiosità o sciocchezza, ai lettori come sempre la scelta: il mood del pezzo al sottoscritto (saranno gli effetti della pandemia?) ha ricordato il tema della famosa serie “Homeland”. L’edera dell’inventiva di Satoko sugli ottantotto tasti non conosce ostacoli: dall’improvvisazione prorompente, corrusca e tempestosa di “Quarantined”, ai mondi altri di “Cluster”, ispirata al divampare di focolai di virus (Corona clusters) di cui iniziavano ad arrivare notizie a fine aprile 2020 in Giappone. Il piano è il tramite per esistere e resistere in questi tempi cupi: “Hoffen”, “sperare” in tedesco, la lingua che l’artista non ha imparato nei suoi anni berlinesi, gli sghembi bagliori di “Beginning”, gli annunci di pioggia di “Expanding”, in quella fertile terra di mezzo tra avant e contemporanea in cui le parole affogano, la chiusa austera e remota di “Twenty Four Degrees”, a sigillare un lavoro prezioso e ispirato, nove perle come un rosario laico, un  vocabolario di epoche naufragate in scatole di fiammiferi, interpreti muti della pioggia, testimoni pulsante di un moto intraducibile e perpetuo.

la lampada fuma
come soffocasse,
un vento che si affretta

scintille salgono
dal letargo nella
retina: risonanza

intossicarsi di
scariche, radunarsi
allo sterno

(Elisa Biagini, Filamenti, Einaudi, Torino, 2020)