FRANCO D’ANDREA, A Light Day

Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
È bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella.

L’incipit di “Amore a prima vista”, una poesia del premio nobel polacco Wisława Szymborska, sembra raccontare perfettamente il rapporto tra Franco d’Andrea ed il pianoforte, qui lungamente sviscerato in un doppio lavoro, A Light Day, che segue i due dischi pubblicati in ottetto sempre per Parco Della Musica Records.

Musicista versatile e senza paraocchi, da tempo immemore D’Andrea continua a vagare come un rabdomante in cerca dell’acqua sotterranea della creatività, rivolgendosi alla tradizione (il trio Traditions Today, con Daniele D’Agaro e Mauro Ottolini) e non prescindendo mai da figure come quella di Monk, che tornano spesso e volentieri nel suo lunghissimo percorso. Li accomuna lo stesso incedere vagamente sornione, un mood quasi cubista nell’approcciarsi ai temi e ai ritmi, uno swing raccolto, quasi riservato. Con l’ombra del grande Thelonious ad annuire sullo sfondo e un viaggio all’indietro tutto teso a rivisitare sotto un’altra luce il suono delle radici, il pianista di Merano dimostra di avere grande progetti per il passato, riuscendo così, per un riuscito paradosso, a suonare assolutamente contemporaneo: la rilettura di “Tiger Rag” e di “Livery Stable Blues”, fuse in un un’unica pepita avant-dixie, ne è l’esempio perfetto. Un pezzo della Original Dixieland Jass ( non è un refuso, il nome era proprio questo, solo in seguito venne mutato in Jazz) Band, il primo organico a registrare jazz a fini commerciali e che vedeva in formazione gli italoamericani Nick La Rocca e Tony Sbarbaro, datato 1917 e che in questa nuova veste non ha accumulato nemmeno un’oncia di polvere, ma sa anzi suggerire ancora prospettive, vie da percorrere. Le stesse vie sgarrupate e vagamente chapliniane dove immaginiamo muoversi personaggi da un film in bianco e nero dove va in scena la commedia della vita, con i suoi scherzi, le sue ironie, le sue attese, le pause, gli incidenti, le gioie. Nel primo dei due cd Franco indulge sovente nell’improvvisazione a partire da temi noti, come “St.Louis Blues”, ma riprende anche idee già espresse nei precedenti dischi (l’incipit di “P4+ P5”, la traccia “M2+M7”, che fa pensare ad un Cecil Taylor alle prese con il ragtime). Sono soliloqui nitidi e sobri, senza un filo di adipe addosso, capaci di rinnovare il mistero della Storia con la maiuscola che continua ad avere cose da dirci, se a raccontarla abbiamo un aedo profondamente consapevole del passato ma ancora affamato di futuro come quest’uomo. Le metamorfosi delicate e vertiginose dell’autografa “Dancing Colours”, le virgole e gli spazi aggiunti a dettati che sono stati mandati a memoria, in un sottilissimo gioco di spostamenti e rimandi che dona nuova linfa ad una musica che da troppe parti ci viene proposta in modo precotto, innocuo, banale.

Anche il secondo cd mantiene alto il livello, tra riprese di idee già sviluppate negli ultimi due lavori con l’ottetto e un’altra rivisitazione dal repertorio della Original Dixieland Jass Band (stavolta è il turno di “Original Dixieland One Step”). Una pronuncia al piano sempre nitida, accogliente senza mai essere accomodante, uno swing inquieto e cubista che anima le composizioni, un groove implicito, mai esposto in maniera compiuta, come se gli spartiti fossero stati messi in disordine dal vento della Storia e d’Andrea avesse rimesso in ordine le pagine decidendo però di cambiare alcune cose, per farci vedere gli stessi paesaggi da un altro punto di vista. Ci sono languori (“P. Area”), mai però svenevolezze in questa musica, che resta sempre asciutta, sobria, intima ma non cerebrale, intensa e non autocelebrativa, sempre attenta a non eccedere la misura. Questo però non si traduce in un eccessivo controllo ma in un riuscitissimo bilanciamento tra testa, pancia, cuore. Si avvertono ancora lo stupore e la voglia di un ragazzo nell’esplorare quanto può uscire fuori da quegli ottantotto tasti, a cui fanno da contraltare la saggezza e la conoscenza del veterano che da decenni è immerso in questo mondo. Il risultato finale funziona come un racconto che già sappiamo di Borges, di Cortázar, di Calvino: non ci racconta storie inedite, ma ci ricorda come sia fertile ancora e  fondamentale sempre approcciare il mondo con uno sguardo diverso: è un atto di resistenza politica, contro il conformismo che soffoca. A Light Day è una splendida conferma di un percorso che in Italia e in Europa ha sicuramente pochi eguali.

Tracklist

01. P4 + P5
02. Tiger Rag / Livery Stable Blues
03. W.T.
04. M2 + M7
05. Dancing Colours
06. Ostrich Walk
07. St. Louis Blues
08. Round B
09. M6 + M2
10. Old Tritones
11. Original Dixieland One Step
12. P. Area
13. Altalena
14. M2 + M2
15. M7 + M3