FRANCISCO MEIRINO, The Process Of Significance

Le parole di Jim Haynes, noiser della Bay Area, incaricato di curare il corposo booklet a corredo di questo Process Of Significance di Meirino (Misanthropic Agenda MAR055 – 2021), fanno capire il tenore e l’urgenza di questa uscita: I found myself not wanting to put pen to paper, but rather I found myself wanting to get in the studio. So confounding is his work, so violently alive, so preternaturally affecting that I was compelled to make my own damn noise as a response to his, parole che rappresentano forse la reazione più comprensibile, più legittima e immediata a un muro di suono così cangiante, così poliedrico nella sua impenetrabilità. Stiamo pur sempre parlando di un totale di tre ore di materiale sonoro, raccolto in anni di incursioni nel vasto mondo del brutalismo noise, musique concrète, field recording e affini.

Rispetto al più recente The New Instability (edito da The Helen Scarsdale Agency, HMS057 – 2021), nel quale a dominare erano i reperti percussivi della sala di Kendo, uniti ad un certosino lavoro di dinamica spaziale (originariamente concepito per 21 canali audio), qui non c’è un vero focus acustico intorno al quale si sviluppa la narrazione; considerando un largo span temporale (Anthems For Unsuccessful Winners, primo disco della raccolta, è datato 2009-2010, mentre The Ruins, il più recente, risale al 2016), la cosa è anche comprensibile, ma non solo: ci permette di seguire cronologicamente l’evoluzione dell’artista di Losanna. Nell’interpretazione di questo percorso di crescita ci tornano utili nuovamente le parole di Jim Haynes che, ricordando il primo incontro live con Meirino, nel contesto di un festival noise organizzato a San Francisco, parla di “forza bruta spinta attraverso l’impianto”, riferendosi all’impenetrabilità di una performance senza troppi fronzoli né compromessi.

Anthem For Unsuccessful Winners (2009 – 2010, appunto) testimonia verosimilmente una fase precoce della sensibilità musicale di Francisco. Le tematiche amare evocate dal titolo (e riproposte dai singoli brani) si sovrappongono senza sforzo al contenuto, denso magma metallico che ben poca luce lascia filtrare.

Recordings Of Voltage Errors, Magnetic Fields, On-Site Testimonies & Tape Tension, datato 2010, è forse il disco più astratto e frammentato dei quattro: composto da sette collage, in esso sono contenute innumerevoli suggestioni, dal field recording ai deragliamenti noise ad alta frequenza. 45 minuti di vera sperimentazione da, come consigliato dallo stesso autore, riascoltare in loop.

Il cronologicamente successivo Notebook (Techniques Of Self-Destruction), concepito fra il 2012 e il 2014, si direbbe una naturale prosecuzione del percorso tracciato dai fratelli maggiori. Le tematiche negative riemergono ed è in questo processo sonoro di autodistruzione che troviamo la traccia che dà il nome all’intera raccolta, come se attraverso l’annullamento di sé, operato in modi abrasivi e violenti, il ruolo dell’artista si dissolvesse, lasciando trasparire il significato “autonomo” del materiale. Il tema dell’annichilimento dell’autore è – e si nota – una costante nel modus operandi di Meirino e di una certa corrente di musica sperimentale: l’autonomia del materiale, la sua “Agency” – come direbbe il filosofo Reza Negarestani – ha un ruolo fondamentale, se non predominante ed è dalla libertà totale di quest’ultima che dovrebbe emergere il vero atto “artistico”. Che poi questo venga raggiunto con brani dagli evocativi titoli come “Being A Lame Being” è un altro discorso.

L’ultimo disco del cofanetto, The Ruins, il cui materiale è stato raccolto nel periodo fra il 2015 e il 2017, è senza dubbio un apice di maturità, sia compositiva che timbrica. Nonostante rimanga una buona ossatura di spigolosità rumoristica, punitiva come se non più che negli esordi, la comparsa di un arsenale di sintetizzatori modulari e boutique smussa molto gli angoli ed eleva il livello della produzione. Il sound design è veramente massiccio e – assieme a scelte compositive riuscite – rende l’ascolto significativamente più interessante.

Process Of Significance non si può approcciare con leggerezza: lungo e accidentato, a volte impenetrabile e persino respingente, ha però il pregio, riprendendo le parole di Jin Haynes già citate, di trasmettere un’urgenza e una vitalità espressiva contagiose. Consigliato.