FRANCISCO MEIRINO, A New Instability

Un ascolto tridimensionale, veicolato da un impianto multicanale, è un’esperienza forte che di rado lascia indifferenti. La pervasività del suono, se il dinamismo spaziale viene studiato con cura, può ottenere effetti profondi sull’ascoltatore, non per forza piacevoli. Dopotutto siamo abituati ad una fruizione stereofonica della musica, e immaginare un lavoro come quello di Meirino, tellurico e abrasivo, magnificato nelle tre dimensioni, può essere disturbante.

Creato per una rappresentazione in un sistema audio a 32 canali, presso l’arcinoto Ina-GRM di Parigi (istituzione cardine per gli studi elettroacustici negli anni Cinquanta e Sessanta, sotto la guida di Pierre Schaeffer), viene qui condensato in un disco “solamente” stereofonico: 30 minuti di materiale, suddiviso in modo equo sui due lati del disco.

Gli ingredienti utilizzati da Meirino, come lui stesso specifica nelle interviste a corredo della versione originale, provengono da fonti puramente elettroniche, come oscillatori e noise machine, e da field recordings ottenuti durante la pratica del Kendo in una palestra di Losanna, città natale dell’artista. Attingere da questo tipo di materiale è consuetudine per lo svizzero, la cui prolifica carriera è disseminata tanto di produzioni elettroniche (modulari nello specifico), quanto di riflessioni più realiste e “concrete”.

In questo caso il processo compositivo non è noto, ma a giudicare dal dinamismo e dalla marzialità che emanano le urla dei combattenti al centro del tutto, come un punto di massima gravità, in grado di attrarre a sé il materiale sonoro e fargli assumere sfumature e connotazioni emotive ben specifiche, pare esserci un’idea di Violenza rigorosa, disciplinata, ordinata secondo precisi criteri di natura quasi accademica. Le registrazioni sono editate in maniera certosina e si mescolano alla perfezione con la brutalità del noise così come con la purezza delle sinusoidi.

Nel primo lato prevale la componente artificiale: la narrazione si sofferma sulla sintesi e manipolazione del suono mentre il combattimento rimane in secondo piano, fuori fuoco. Il lato successivo è invece dominato dall’azione del Kendo, della quale viene esaltata la percussività: i colpi delle spade, i piedi che battono sul tatami, scandiscono la composizione e ne definiscono un ritmo, nel quale si inserisce poi la parte elettronica, qui realmente aggressiva.

In realtà, svincolarsi dall’idea che la versione originale sia pensata per 32 canali audio è difficile. Il processo di trasformazione e “riduzione” stereofonica porta con sé degli ovvi limiti. Le interruzioni, i crescendo, gli accessi harsh-noise, così come le grida e i rumori del combattimento, che trovavano una precisa disposizione nello spazio tridimensionale, creando un dinamismo voluto e cercato, ora sono compressi e sovrapposti.

Consci che la fruizione della versione originale sia quanto meno difficile, possiamo comunque pensare a questo processo “regressivo” come un atto artistico in sé e soffermarci sul brutalismo sonoro che questo provoca: senza dubbio violenza e tensione emergono inequivocabili, rendendo New Instability un lavoro difficile ma, in un certo modo, catartico.