FLAVIO ZANUTTINI OPACIPAPA, Born Baby Born

FLAVIO ZANUTTINI OPACIPAPA, Born Baby Born

Un esercizio di fonetica, un esempio delle possibilità del respiro dentro a una tromba; così si apre questo disco del trio onomatopeico Opacipapa, che vede il leader Flavio Zanuttini assieme al sax alto di Piero Bittolo Bon e alla batteria di Marco d’Orlando. Se il primo minuto fa dunque presagire le benvenutissime asprezze e le vertigini interiori e sotterranee de La Notte, lavoro solista di Flavio, dopo poco ci accorgiamo che siamo in territori completamente diversi. Nessuna esplorazione carsica: non servono elmetti, corde, torce per avventurarci in un buio terreno e psicologico, siamo semmai stavolta al cospetto di una marching band ridotta all’osso e senza bassi. Una pronuncia classica eppure sghemba, densa e giocosa, che ci riporta dritti dritti a New Orleans oppure in qualche locale dove si suda ascoltando una big band: swing a profusione che deraglia in bozzetti ironici per poi esplodere in un lampo (“Agitation Is Not Excitation”), pigri, sinuosi profili di un Duke Ellington scappato a gambe levate dal reparto di igiene mentale (“Opacipapa”), sipari neorealistici che innervano astrazioni su pellicole in bianco e nero (“Squeek”). Improvvisazioni che non temono di affacciarsi sul confine del silenzio per poi esplodere in fuochi d’artificio di puro groove d’antan (“Schie Cimice”, con il suo discorrere tra circo e Chaplin), naturalmente sfacciate come le movenze di un neonato che, non avendo cultura giustamente, è puro istinto (il disco è dedicato proprio al figlio piccolo di Zanuttini, e ispirato al suo comportamento nei primi mesi di vita, che come quello di ogni essere umano agli inizi è totalmente imprevedibile).

Strumentista dai vasti orizzonti (era parte degli Assassins di Francesco Cusa, ha girato l’Europa con Arbe Garbe), Zanuttini ci mostra in questo lavoro il suo lato più ludico; come diceva Nietzsche, l’uomo è maturo quando ritrova la serietà che si metteva nel gioco da bambini. E allora queste otto marachelle sono composizioni calibrate, dotate di una grazia lieve che ricorda per certi versi quella che abita Zenophilia del batterista Zeno De Rossi, un altro lavoro in trio, guarda caso sempre con la presenza di Piero Bittolo Bon (saremmo molto curiosi di ascoltare su disco le spericolate avventure per feedback e sassofono suonato in maniera del tutto eterodossa di “Spelunker”). Melodie cantabili, ritmo, ritmo, ritmo, un beat massiccio eppure sottile (“Hop Hop”) e, a chiudere, i nove minuti (memorie di notti insonni da neopadre?) de “La Nanna”, capace di suonare proprio come una big band, tra fragori, attese, la potenza dell’invenzione e della scoperta, una linea che si fa strada tra versi, sbadigli, pianti, teatro naturale: alla fine, dopo mille acrobazie, sonagli, canzoni, trappole e trucchi, il bambino si addormenta, sereno.

Un lavoro scaturito da una meraviglia che è fortunatamente capace di arrivare anche a chi ascolta, classico eppure non polveroso, con l’aggiunta deliziosa delle note di copertina del grande Eugene Chadbourne, che ha collaborato con Zanuttini negli Arbe Garbe. Un disco, absit iniuria verbis, da suonare negli asili nido.