FKA twigs, CAPRISONGS

Autrice di uno degli album più innovativi degli anni Dieci – LP1, la perfezione nell’unire alt-elettronica e nu-R&B, e nel farlo con un corredo iconografico del tutto contemporaneo – e confermatasi elegantissima e di sostanza con il successivo, più introspettivo MAGDALENE, FKA twigs ne ha passati di casini personali ultimamente, compresi abusi e procedimenti legali. CAPRISONGS sembra per lei in primis un ritorno al divertimento senza troppe pretese, tanto che pur essendo di fatto la sua terza raccolta di brani sulla lunga distanza, è stato presentato a basso profilo come il suo primo mixtape. Hey, I made you a mixtape, ci dice subito Tahliah Barnett nell’opener “ride the dragon”. I keep it moving, keep on dancing.

CAPRISONGS è stato registrato durante i recenti periodi di quarantena, avvalendosi di FaceTime e app per sviluppare collaborazioni – segno dei tempi – perlopiù a distanza e procedendo a livello di produzione principalmente assieme allo spagnolo El Guincho. Se leggendo il titolo del lavoro avete pensato alla nostra isola, alla bella vita tinta di blu, siete per fortuna fuori strada, ché l’ispirazione proviene dall’astrologia, dalla testardaggine del segno zodiacale di FKA twigs che ha fatto da benzina nel trasformare il dolore in aggregazione social(e) ed energia (ri)creativa. Non era mai successo che la songwriter-ballerina britannica chiamasse a raccolta in un colpo solto così tanti amici a dare una mano: Koreless, Arca, Mike Dean e molti altri.

Qui dentro, lungo il genuino scorrere a getto continuo di diciassette tracce, c’è roba più o meno valida, costellata di input, buone per quanto mai geniali intuizioni, flash catartici e auto-citazioni ironiche. Dallo street rap di “honda” con Pa Salieu alla rinascita soul di “meta angel”, dal singolone “tears in the club” con The Weeknd – killer triste sul dancefloor nonostante gli affondi reggaeton – all’hip club di “papi bones” con Shygirl (a seguire su un piano ideale l’indimenticabile “Papi Pacify”), sino all’afrobeat iper melodico di “jealousy” con Rema o all’ode urban alla città di Londra di “darjeeling” con Jorja Smith e Unknown T. Ci sono tre interludi (“track girl interlude” vede il contributo di Warren Ellis) e ci sono appunto anche episodi musicalmente superflui, puri e semplici divertissement a un passo dal mainstream, nondimeno persino in quel caso quasi mai privi di un loro senso narrativo, e poi da ultimo, va detto, ci sono anche ballad decisamente meno memorabili del solito, ma l’ascolto nel complesso è uno spasso dall’insospettabile potere aggregativo.