Finlay Shakespeare, l’astro nascente della scena synth di Bristol

Il disco: Domestic Economy (Editions Mego)

Domestic Economy

L’esordio di Finlay Shakespeare si inserisce perfettamente in questa Bristol del 2019, come sempre regina del drum’n’bass nonostante l’imminente chiusura di due locali storici per quel genere musicale come il Blue Mountain e il Lakota, ma anche città di etichette fresche e snelle che fanno sempre incetta di premi di qualità anche tra la stampa musicale mondiale, come No Corner, Don’t Be Afraid, Bokeh Versions. I testi di Domestic Economy non sono certo leggeri né manieristici: già con l’apertura di “Lulea” il ragazzo ci fa capire che aria tiri (sta tutto nelle vostre facce, sta tutto nel vostro governo) e che di polvere da togliere e da sollevare ce n’è parecchia. È questa la british-generation che ora ha in mano tutto: la Brexit sarà un banco di prova tostissimo e tutto cadrà sulle sue spalle, nonostante la maggior parte dei votanti per il Leave sia stata la fascia dei genitori e nonni delle persone che le appartengono. Non mancano gli occhiolini alla musica aphexiana, come nell’incipit di “Dublin”, ma Shakespeare dà briglia sciolta alle tastiere che ricordano un’ideale scala verso il cielo, scalino dopo scalino. La perdizione obbligatoria di “Amsterdam” chiama alla libertà di essere quello che non si può quando si è al posto di lavoro dietro nuovi palazzi di vetro che goffamente scopiazzano i lunghi viali della zona centrale della City, o come quando ci si trova seduti ai banchi dell’Università, dove lo stress spesso travolge chi non è pronto a gestire e a gestirsi; ci sono stati dodici suicidi nelle università bristoliane negli ultimi mesi, il dato è piuttosto inquietante… La Bristol che cresce, che fagocita spazi comuni di aggregazione e di cultura di molti per il business di pochi, col Surrey Vaults (dove abbiamo ammirato Carla Dal Forno al prezzo di due merdosissime pizze surgelate) fatto poi chiudere per eccessivo rumore dai vicini… ma casualmente tutta l’area diventerà una selva di nuovi uffici, dove non c’e gente proprio quando fanno musica nei locali serali! Stesso discorso con l’Hamilton House, dove le preghiere al celebre “Cristo rovesciato” e la protezione artistica di uno dei più grandi Banksy di sempre – con l’orsacchiotto che tira molotov alla Police – non sono bastati a frenare la scure comunale che demolirà tutto per creare dei flat per figli di papà. In mezzo a tutto questo delirio l’urlo di Finlay è sempre a un passo dall’invadere la corsia opposta, ma lui ancora crede nelle piccole cose di tutti i giorni da difendere a denti stretti (give me a future or give me an answer… won’t you let me drop it?) e non cede alla tentazione di fare pezzi radiofonici da tre minuti, anzi: lascia andare i synth e si va sempre oltre i cinque-sei-sette. “Perris” è qualcosa che farebbero oggi i NIИ di The Downward Spiral, poi “Monadnock” spalanca di botto le porte sulla crescente e spinosa questione della violenza domestica e dell’aggressività sociale (il problema è tutto nel tuo modo di nutrirti / una specie di filosofia ormonale… tu irritante e arrogante sacco di merda ambulante). “Heston” è un trionfo di ritmo technoide e finisce in una cavalcata trance con sapienti tocchi di organo, mentre le parole continuano a essere dirette come fossero a qualcuno che si conosce bene, che guarda perplesso il fondo di un bicchiere di birra vuoto, metti per il tradimento di un’amicizia, come in “Benedict Canyon”. Un finale corale, “a cappella”, finisce per sorreggere e rincuorare il Finlay stremato di “Birmingham”, che prende, incassa e riparte al contrattacco anche in chiusura con “Christiania” (entrambe queste tracce hanno un incipit alla Sleaford Mods), sempre a proposito di chi predica bene e razzola male. In un Regno Unito dove ogni giorno le radio ancora passano senza pietà “There Must Be An Angel” degli Eurythmics e gli Human League di “Don’t You Want Me”, non ci pare proprio una proposta da poco questo primo album dell’ingegnere. 

Adotta un synth pure tu! Intervista a Finlay Shakespeare

Finlay Shakespeare (foto di Fabio Lugaro)
Finlay Shakespeare (foto di Fabio Lugaro)

Si chiudono negozi e uffici, sono quasi le sette di sera e ora tocca a locali e studi di registrazione dar libero sfogo ad estro e tecnica degli artisti. È proprio presso i centralissimi Pithay Studios che il vostro prode Cicerone bristoliano incontra questo giovane ragazzo che non ha l’aspetto né di un nerd né di un professorino, ma del classico ragazzo della porta accanto.

Finlay Shakspeare: Hey Diego, come sta il tuo bambino?

No, scusa, è il tuo bambino…

Eh no, è tuo, l’hai fatto tu con le tue mani…

Ti dirò, fa un sacco di casino, è divertente e impegnativo, sa farsi sentire sia dai vicini quando da ubriachi rompono il cazzo, sia dai passanti strafatti quando si azzuffano sotto le mie finestre in piena notte… comunque il bambino è tuo, si vede proprio che avete lo stesso carattere…

Ok, allora diciamo che è nostro, io l’ho progettato e tu l’hai assemblato…

Sì, direi che ormai è tempo di crescere, prenderò un’altra tua patch… Hai in programma altri workshop come quello di otto ore al Brunswick Club che mi ha reso per la prima volta “papà”?

Sì, certamente. Non in questo periodo in cui sono molto impegnato almeno fino ad aprile, poi nella mia agenda troverò il modo di farne.

Grande! Lo sai come la penso, resto convinto che sia un progetto perfetto anche per le scuole. Pensaci…  Finlay, prima di tutto complimenti per il tuo recentissimo live presso il Crofters Rights, è stato un set potente e la tua voce è stata una vera rivelazione, non solo per testi che sono delle belle sprangate sul muso. Hai sempre saputo di essere un punk come attitudine pur adorando e dedicandoti ai synth? Hai lavorato molto per formare la tua voce?

Beh, sono contento che ti sia piaciuto! Devo dirti che non ho mai lavorato molto sulla mia voce, come hai visto nel live non ci metto neppure grandi effetti, resto prima di tutto un ingegnere progettista di nuovi synth, nuove patch, da solo o in collaborazione con altri come per esempio con Chris Carter per la nuova versione del Gristleizer, il mitico synth dei Throbbing Gristle progettato e realizzato da lui.

La tua esibizione mi ha riportato alla mente certe chicche alla Depeche Mode, New Order, i primi Nine Inch Nails, quelli di Pretty Hate Machine ma anche di The Downward Spiral… ma i tuoi suoni stanno benissimo nel 2019, e per me è stata una vera sorpresa!

Guarda, hai colto in pieno il discorso NIИ. Mi sono sempre piaciuti, anche se la molla che m’ha fatto scattare nella testa di fare anche il musicista è stata l’ascoltare Jean Michel Jarre e i suoi primi lavori… Tutto l’album ha suoni puliti, come anche dal vivo. Un’altra cosa buffa di questo disco è che il singolo di lancio, “Routine”, è in verità l’ultima traccia che ho creato e parecchio tempo dopo, tanto che non è nell’album proprio per questo motivo.

La tua console mi ha ricordato quella del live di Kaitlyn Aurelia Smith a Colston Hall col suo Buchla. Stai lavorando anche tu col Buchla o solo con Eurorack e compagnia?

La console a livello estetico in effetti lo ricorda, e il mio è uno one-man-show a tutti gli effetti, ma dentro invece ci sono un 60% di prodotti e creazioni mie e un 40% di cose esterne. Il Buchla ovviamente lo trovo stimolante, ma non sono molto addentro, e tornando al discorso Nine Inch Nails devo dire che sì, ok Suzanne Ciani, la Smith, Caterina Barbieri… ma anche Alessandro Cortini, storico collaboratore di Trent Reznor, ha fatto dei gran pezzi col Buchla.

Finlay Shakespeare (foto di Fabio Lugaro)

Veniamo al tuo disco di debutto appena uscito, Domestic Economy. Devo dirti che sono rimasto molto sorpreso del fatto che la label sia la Editions Mego: la tua musica non ha molto della classica produzione di quell’etichetta molto avant, il tuo è un disco coi suoni puliti di un glorioso passato…

Guarda, è una storia molto particolare. Io non ho mandato nessun promo a nessuna label e non pensavo di fare musica in formato fisico, ho fatto in questi mesi delle cose in digitale per il mio Bandcamp. Un giorno però Peter Rehberg, che è un mio cliente, mi dice che gli piacciono molte cose mie e che vorrebbe che io facessi un disco per lui! E Rehberg come sai è Pita come artista, ma è anche il fondatore e boss della Editions Mego… Io per combinazione avevo anche delle tracce inedite appena fatte, lui mi manda da Russell Haswell che è il suo mastering-engineer e in poche ore di lavoro in studio abbiamo fatto l’album. Devo dire che una sola traccia è stata completamente stravolta, le altre hanno avuto ritocchi leggeri ed il lavoro di Russ è stato fondamentale, conosco a Bristol quei tre-quattro mastering-engineer che ci sono, ma con lui c’è stata un’intesa immediata, ha capito subito quello che avevo in testa.

Quali sono gli artisti più interessanti e stimolanti per te in questo periodo?

Ora sto apprezzando molto il disco di Gazelle Twin, Pastoral, che sarà qui live a marzo, però non indovinerai mai chi ammiro più di tutti da sempre: Clipping. Mi piace l’hip hop, mi è sempre piaciuto molto, ma loro hanno qualcosa di diverso, sono unici, niente suona come i Clipping, sarebbe un sogno fare qualcosa con loro…

Qualche mese fa hai organizzato il primo raduno di bristoliani con la passione dei synth, in certi casi anche autocostruiti in casa, e ricordo benissimo la presenza in quel weekend proprio di Chris Carter. Mi hanno colpito la sua disponibilità e gentilezza, non ha nulla della leggenda vivente che è in realtà.

Assolutamente! È una persona adorabile, una mente sveglissima, resto in contatto con lui per consigli, suggerimenti e futuri progetti, magari da fare con lui…

Cosa mi dici dell’attuale scena di Bristol dal tuo punto di osservazione di progettista, produttore e suonatore di synth? Vedo che la scommessa Elevator Sound procede bene, un negozio di quel tipo nel centro del quartiere artistico dove nasce musica molto diversa è stata una scelta coraggiosa, sono contento stia facendo un gran lavoro anche coi tuoi prodotti. Ho molto apprezzato la tua iniziativa del raduno di appassionati del synth contemporaneo in quel weekend alla Rough Trade con Chris Carter disponibilissimo, e ora il progetto Machina Bristronica che esordisce a fine marzo con grandi eventi…

Hai perfettamente ragione. Machina Bristronica è un’iniziativa che potrebbe veramente essere un punto di svolta nella scena bristoliana contemporanea e futura, di simile in UK c’è solo il Synth Festival di Sheffield a cadenza annuale. Machina Bristronica parte anch’essa come evento annuale, ma visti i nomi, le idee e i progetti potrebbe diventare qualcosa di più frequente ed imponente. Io sarò lì sia come imprenditore che come musicista, conosco molto bene e apprezzo parecchio Batu che sarà anche lui live una notte… ma sai come siamo fatti a Bristol, nascono ogni giorno nuove collaborazioni, ogni musicista ed artista porta il suo contributo e si fanno cose nuove.

Non me ne parlare, ci litigo tutte le settimane con amici musicisti italiani che fanno la guerra ad altri per difendere il proprio orticello chiuso, invece di aprire le porte a nuove idee, nuovi modi di pensare e di fare musica… A proposito di progetti sempre”liquidi”, in che rapporti sei con la crew di Bristol più in voga del momento, i dodici componenti fissi della Young Echo e la sua cinquantina di ospiti esterni estemporanei?

Ti dico solo questo: uno dei dipendenti della mia Futuresoundsystems è Jasmine, una dei tre Jabu che stanno appunto nella crew Young Echo, e che era pure nello stesso workshop a cui hai partecipato pure tu… quindi domani può accadere veramente di tutto!

Fantastico! A questo punto non resta che aspettare un tuo tour internazionale, pure in Italia ovviamente. Come pensi di conciliare d’ora in poi i tuoi impegni da ingegnere con quelli di imprenditore, e pure di musicista al suo album ufficiale d’esordio?

Ah, bella domanda! Per i prossimi tre mesi sono pieno ma sarebbe fantastico venire a suonare in Italia, magari in qualche festival estivo. Sono l’agente di me stesso, quindi contattatemi direttamente, sarà un vero piacere!