Fierce⊙: il buio oltre la siepe

Dei Fierce⊙ e del loro nuovo Eclipses From The Duat vi abbiamo già parlato in modo approfondito, lanciando anche un brano in anteprima qualche tempo fa. Oggi vogliamo tornarci sopra, proprio perché la proposta della band ci ha colpito in modo positivo e, soprattutto, ci ha convinto sia per l’aspetto prettamente musicale che per il concept racchiuso nei testi. Per questo, abbiamo voluto soffermarci ancora una volta e darvi la possibilità di andare a scavare tra le sue pieghe.

Ciao, innanzitutto, vi va di raccontarci cosa è successo nel periodo intercorso tra Ashes ed Eclipses From The Duat? Se non erro c’è stato anche qualche assestamento nella line-up, vi va di parlarcene?

Lorenzo (basso): Ciao, era un periodo abbastanza denso di cambiamenti un po’ per tutti quanti noi tra lavoro e questioni personali, e fondamentalmente sentivamo di dover dare una direzione sonora più definita alla commistione di generi presente in Ashes. Oltre a ciò i pezzi che stavamo scrivendo si stavano evolvendo spontaneamente verso altri lidi, più scuri e pesanti. Penso sia una di quelle che cose che capita spesso nei gruppi ed è anche parte di una naturale evoluzione più vicina al proprio stile e ai propri gusti. Sentivamo anche la mancanza di un’altra chitarra ed è subentrato Federico, dando un’ulteriore spinta e aggressività alla band, e con l’arrivo di Miguel alla batteria siamo riusciti a trovare la dimensione per esprimere in modo adeguato le nostre idee.

Nei brani nuovi si avverte, aldilà del cambio di cui dicevamo sopra, comunque una decisa evoluzione nella scrittura e nella vostra coesione interna, in cosa credete siano differenti i Fierce⊙ di oggi da quelli di Ashes sia a livello personale che come band?

Andrea (voce): Oltre alle sfide personali e al cambio di line-up menzionati sopra, credo che la nostra evoluzione come band e individui sia stata molto condizionata dal portare la nostra musica live in Italia e all’estero. Suonare live è un banco di prova ed una palestra sia dal punto di vista musicale prettamente tecnico, sia dal punto di vista compositivo. Ogni live ti consente di analizzare in modo più obiettivo i brani, cosa funziona e cosa no, grazie all’energia che si genera sul palco tra di noi, che va ovviamente a influenzare come la nostra musica viene recepita dal pubblico. Aggiungici il fatto che, nella maggior parte dei casi, dobbiamo sempre fare dei viaggi piuttosto consistenti per andare a suonare e quindi anche la condivisione di un numero sempre crescente di situazioni piacevoli e non (e alle volte ai confini della realtà) ti mette nella condizione di creare un legame molto stretto ed intimo con tutta la band.

Eclipses From The Duat non è un semplice disco di canzoni, ma segue un’idea e una “trama” ben precise che possiamo definire come un cammino di consapevolezza senza lieto fine. Vi va di parlarcene?

Andrea: Hai centrato il punto, il filo conduttore dei brani riguarda proprio l’indagare se stessi e con questo esplorare anche le nostre zone più buie e scomode nascoste sotto la superficie. Un accrescimento della consapevolezza individuale che però per me non ha mai una fine. Per quanto mi sia ispirato al concetto alchemico della “Nigredo” (o opera al nero), che dovrebbe essere la fase iniziale della Grande Opera, intendo il tutto con una visione più orientale e circolare, in contrasto con una versione occidentale e lineare/verticale in cui un percorso inizia da un punto A e finisce in un punto B. In sintesi, credo che possiamo capire meglio noi stessi ed il nostro ruolo in questa esistenza, ma la nostra condizione è quella di continuare a cambiare e le sfide e le ordalie da affrontare cambieranno insieme a noi senza abbandonarci mai. Un percorso a spirale infinito se vuoi.

Ciò che mi ha colpito immediatamente sin dalla prima traccia è una decisa sterzata della scrittura verso lidi black e verso l’oscurità, ma anche la conseguente ricerca di linee melodiche e dettagli che contribuiscano a sottolineare questo mood. Possiamo parlare di un concept che segue l’evoluzione del vostro suono o piuttosto di un suono costruito attorno alla trama dell’album?

Andrea: Ti sembrerà un’esagerazione ma il tutto è confluito in modo molto organico. I testi e la parte musicale sono stati per un po’ strade parallele che hanno finito per intrecciarsi naturalmente. In principio anche i testi non sono stati scritti con l’idea di far parte di un unico concept. È stato solo quando abbiamo concluso la composizione di un po’ di brani del disco che mi sono reso conto quanto il tutto fosse collegato.

Anche la scelta dei suoni e l’artwork di copertina si sposano a quanto detto finora, per ottenere un insieme coeso e nel quale ogni elemento contribuisce all’effetto finale. Chi si è occupato di questi aspetti e come vi siete mossi in fase di registrazione e sull’aspetto visivo del disco, avevate già le idee chiare o avete lasciato spazio di manovra ai vostri partner?

Andrea: Rispetto alla realizzazione di Ashes, in cui avendo in mente solo una traccia di quello che volevamo ottenere ci siamo lasciati un po’ trasportare dagli eventi sia per la parte grafica sia in studio, questa volta abbiamo dedicato molto tempo durante la scrittura dei pezzi alla ricerca sonora. Siamo quindi ritornati al Track Terminal Studio di Francesco Bardi mettendo però subito l’accento su cosa volevamo ottenere. C’è stato magari qualche attrito iniziale per far arrivare la nostra idea, ma possiamo dire che questo ha portato ad un fruttuoso scambio di opinioni che si è concluso con un risultato finale di cui credo possano ritenersi soddisfatte entrambe le parti. Per quanto riguarda l’artwork trovo giusto lasciare sempre la libertà artistica a chi se ne occupa (in questo caso Raoul Mazzero, in arte View From The Coffin), ma, anche in questo ambito, rispetto al disco precedente abbiamo dato indicazioni specifiche sulle tematiche e i simbolismi presenti nel disco e che volevamo fossero prese in considerazione. Non possiamo che ritenerci soddisfatti!

Lorenzo: Dopo aver realizzato Ashes, abbiamo messo in discussione molte cose e ci siamo lanciati in una ricerca sonora, sperimentando con effetti e accordature differenti. Diciamo che è stato proprio un assetto nuovo e più determinante rispetto a prima e grazie all’attenzione scrupolosa di Bardi in studio siamo riusciti a concretizzare quello che volevamo.

Una domanda provocatoria: al di là dei vostri obbiettivi e della soddisfazione personale, credete che il pubblico oggi dedichi la giusta attenzione e avverta la differenza tra dischi come il vostro e lavori meno rifiniti/curati? Oppure dobbiamo credere che ormai la soglia di attenzione si sia allineata alle dinamiche e tempistiche di internet/social anche nella vita reale?

Andrea: Catturare l’attenzione del pubblico diventa sempre più difficile, gli aspetti più classici quali un disco ben prodotto ed un buon live sono messi a pari (o quasi) importanza della risonanza “virtuale” della band. La rete ha fornito strumenti fantastici per connetterci ed ha aperto la strada a tutti aumentando la concorrenza ed a volte semplicemente creando molta confusione. Come giustamente fai notare la soglia dell’attenzione al giorno d’oggi è diminuita in tutti gli ambiti della vita e di conseguenza il linguaggio si è “evoluto” in tal senso. I social network stessi sono i primi a dettare legge su come si deve comunicare nel modo giusto, ad esempio video su Instagram che non devono superare il minuto, post che devono avere un testo sintetico preferibilmente con un elemento multimediale che accresca l’interesse, altrimenti la visibilità verrà limitata dalla piattaforma. Senza contare hashtag, storie, meme, tag e chi più ne ha più ne metta. Sono tutte variabili di cui tener conto al giorno d’oggi se vuoi che il tuo lavoro abbia almeno una chance di essere considerato con un po’ più attenzione. Non è una cosa facile da accettare se si è vissuto un buon periodo della propria vita in cui tutto questo non esisteva.

Lorenzo: Da come percepisco io attualmente la scena musicale rispetto a un po’ di anni fa mi fa sembrare che tutto deve essere fatto di fretta a seconda dei canoni che ci sono in quel determinato momento. Non che anni fa non fosse così, ma le tempistiche erano molto più dilatate. Internet ha un importante ruolo in questo processo, ahimè, e invece che stimolare a cercare un’autocritica fa l’opposto, tende a spingere sull’acceleratore e a far passare inosservate tante perle in un mare infinito di nulla. Non ci si prende un minuto per fermarsi e capire cosa migliorare e cosa effettivamente sta andando male, o semplicemente si crea un’ennesima copia piatta che aderisce al consenso comune senza dare effettivamente qualcosa di sé, mettendosi in gioco.

Uscite per label nate in seno alla scena hardcore (per quanto dotate di una visione sonora tutt’altro che limitata) e credo che anche il vostro background provenga da lì, credete ci sia ancora una differenza netta tra l’approccio hardcore e quello metal almeno a livello gestionale/organizzativo?

Lorenzo: Più o meno tutti quanti noi veniamo da lì, io mi sento ancora parte integrante di quel mondo. Come diceva un mio vecchio amico, “l’hardcore è uno stile di vita”, molte persone che ho conosciuto nel corso degli anni l’hanno applicato anche nel lavoro e affrontato con lo stesso spirito tante altre cose. Alla fine anche questo gruppo è nato in questa situazione e fa determinate cose con quella mentalità, che oserei dire punk. In questi anni, almeno per me che ci sono finito agli inizi del 2000, è cambiata di molto la situazione con internet e con la velocità in cui puoi entrare in casa di persone che altrimenti avresti dovuto sentire per telefono a gettoni o che non avresti neanche conosciuto. I contatti li facevi girando, andando nei posti e, comunque, anche con i primi forum già la situazione era molto agevolata. Oggi come oggi puoi pagare 30€ un’app che ripropone continuamente un concerto che organizzi. Cosa che non è del tutto negativa dal mio punto di vista, anzi di certo aiuta a crescere molto di più un ambiente che altrimenti resterebbe di nicchia, soprattutto qui in Italia. Ho notato comunque che nonostante la massa di contatti che si può racimolare, è sempre faticoso suonare in Italia o riuscire a chiudere delle date, sia nell’hardcore che nel metal. Secondo me, rispetto al mio passato e alle cose che vedevo in giro, oggi come oggi l’hardcore è diventato un altro genere musicale un po’ svuotato dai contenuti. Se una volta mi ponevo il quesito del perché ero a quel determinato concerto, fermo restando che sì anche il divertirsi e ascoltare musica era l’obbiettivo primario, oggi lo vedo più come un punto di ritrovo e basta. Cosa positiva, perché altrimenti ci sarebbe il nulla cosmico ma potrebbe dare molto di più.

Se non erro in questo periodo siete in giro con gli Haunting Green. Come vedete attualmente la situazione concerti in Italia? Credete sia più difficile ora rispetto a qualche anno fa portare avanti certi discorsi in ambito musicale e, se sì, quali credete ne siano i motivi?

Lorenzo: Percepisco un netto se non totale cambiamento di certi approcci ai concerti, almeno della maggior parte che vado a vedere o a cui partecipo attivamente come band. Sono rimasti davvero pochissimi gruppi che tra una canzone e l’altra offrono una spiegazione o danno un significato a quello che stanno per interpretare. Come dicevo nella risposta precedente, ormai si sta svuotando di argomenti qualsiasi genere musicale, semplicemente perché alla gente non interessa più o, più in generale, è cambiato il modo di informarsi e reperire informazioni ed è stato sradicato da questa dimensione. Il live è diventato il più delle volte un’occasione per ritrovarsi a fare festa e stop. Inoltre vedo pochissimi gruppi con ragazzi di sedici anni nascere e tentare di uscire allo scoperto e un po’ mi lascia capire che il ricambio generazionale farà fatica a manifestarsi. Senza essere frainteso o risultare tragico, perché credo che ci siano comunque ancora molti gruppi validissimi che anche senza dire mezza parola trasmettono molto al pubblico sia artisticamente che visivamente.

Il disco è uscito già da un po’, che effetto fa avere in mano il risultato dei propri sforzi? Siete una band che si concede il tempo per godersi il momento o siete già proiettati verso le prossime mosse?

Andrea: Personalmente la soddisfazione di avere in mano il vinile di un lavoro di cui vai fiero è molta, complice anche l’ottima stampa, di cui si è occupata Shove Records. Tempo per godersi il momento ce n’è ben poco perché le cose su cui lavorare sono sempre tantissime! Diciamo che siamo già con la testa e la composizione vero il passo successivo e nel frattempo siamo molto felici del responso positivo che stiamo ricevendo.

Lorenzo: È stata davvero una soddisfazione molto profonda, ci sto mettendo molto di me stesso. Per me anche solo fare una prova con gli altri ragazzi vuol dire stare in macchina per un’ora e mezza. Per preparare questo disco mi sono praticamente allenato il 90% delle volte a casa da solo davanti al computer con il metronomo e quando ho preso in mano il vinile sono stato ripagato di tutti questi sforzi. Cerco di suonare ogni giorno e suonare per me è una continua prova contro me stesso (I against I, cit.) e i miei limiti e ti posso dire che siamo già concentrati a produrre nuovo materiale e con la mente lanciata per la prossima sfida.

Grazie mille per il vostro tempo e chiudete pure questa chiacchierata come preferite.

Andrea: Grazie mille a voi per lo spazio che ci avete dedicato e ascoltate Eclipses From The Duat se non l’avete ancora fatto! La situazione nell’underground in Italia può sembrare tragica a prima vista, ma le band valide non mancano ed etichette guidate con sincera passione da persone in gamba come Gab di Epidemic Records e Manuel di Shove Records sono essenziali per mantenerlo in vita. Per cui date una chance ascoltando online (non costa nulla!), andando ai live e, se vi piace, supportate!
Lorenzo: supportate le etichette indipendenti come Epidemic Records e Shove Records e soprattutto rispettate i loro sforzi, è grazie a persone come Gab e Manuel che l’underground in Italia sopravvive e ha vita, dando sostegno a loro date anche nuova linfa vitale a questo paese che altrimenti meriterebbe di sprofondare in mezzo al mare.