FERDINANDO FARAÒ & ARTCHIPEL ORCHESTRA featuring CHRIS CUTLER, To Lindsay: Omaggio A Lindsay Cooper

La metà del cielo è un posto dove si levano riff appuntiti, innodici e obliqui, con un fare solenne e feroce (ma sempre controllato) che ha qualcosa dell’eleganza naturale e necessaria degli animali. La metà del cielo è un posto dove in un minuto si apparecchia fragorosamente una tavola con stoviglie che serbano ruggini di Canterbury e poi si mesce un vino che illanguidisce e stupisce senza intorpidire: un respiro melodico largo, ampio, poi sulla soglia del terzo minuto un tema sbilenco apre altri scenari, mentre Chris Cutler alla batteria danza in equilibrio come sappiamo su una corda tesa mille metri in aria, tra contemporanea e rock. Si chiude con una sarabanda incalzante che cresce di dinamica portando letteralmente via, fisica ed intellettuale al tempo stesso, senza essere inutilmente cervellotica. Un inizio mozzafiato, e sono passati solo cinque minuti, e questa è “Half The Sky”, da Western Culture, l’album d’addio degli Henry Cow (1978), una composizione di Lindsay Cooper e Tim Hodgkinson resa splendidamente dal large ensemble (sul libretto si contano ben 26 nomi!) dell’Artchipel Orchestra, di cui già avevamo avuto modo di apprezzare molto nel recente passato il tributo ai Soft Machine che era uscito in allegato con MusicaJazz nel settembre del 2014.

Focus di questo lavoro sono le composizioni della compianta fagottista e polistrumentista scomparsa nel 2013, che entrò negli Henry Cow a ventidue anni, collaborando, tra gli altri, anche con Hatfield And The North, Lol Coxhill, Derek Bailey, Evan Parker, per poi darsi alle musiche per film o per opera, come nel caso di “England Descending”, che si apre come un incrocio tra “Caravan” di Duke Ellington e il “Bolero” di Ravel, regalando magia, con un ostinato dispari che ammalia per aprirsi in un costrutto tipico di quell’Inghilterra che amiamo, a sud di Londra, con la voce di Naima Faraò in bella evidenza. Otto minuti di instant classic, un pezzo che ha 26 anni sul groppone ma non ha accumulato nemmeno un grammo di polvere e torna a nuova vita in questo arioso arrangiamento, con un incisivo solo al baritono di Massimo Falascone che dialoga creando lingue familiari eppure ignote con il clarinetto basso di Alberto Popolla (anche negli ottimi Roots Magic, una delle poche formazioni italiane sulla prestigiosa Clean Feed di Lisbona), mentre il resto dalla sezione fiati organizza un caos che sa di banda di paese ubriaca davanti al conservatorio di Darmstadt, e il leader, direttore e fautore degli arrangiamenti Ferdinando Faraò (abbiamo recensito da poco il suo disco in duo con Enzo Rocco per Setola di Maiale) conduce con piglio fluido e deciso la nave in porti sicuri ma mai risaputi. La composizione si chiude sull’ostinato di piano con cui si era aperta, contrappuntata da frasi memorabili di fiati e voce, con un che di epico ma nulla di tronfio o retorico. Dal repertorio dei News From Babel (quartetto comprendente la Cooper, Chris Cutler, Zeena Parkins e Dagmar Krause) l’Artchipel riprende “Anno Mirabilis”, non così lontana da certe pagine di Kurt Weill e con Falascone a fare la parte del ragazzaccio impertinente al sax alto e a guastare felicemente il clima raccolto e dolente del pezzo. Molto bello l’arrangiamento per sole voci di “As She Breathes” (da Face On, uno dei tanti lavori cinematografici, televisivi, coreutici e teatrali per cui Lindsay Cooper scrisse le musiche), intima e toccante, con armonie delicate e cantabilissime, seppur non banali. Medulla di Björk, un lavoro fatto per sole voci del 2004, e non siamo su piani molto differenti, anzi. Sempre dal primo dei News From Babel viene invece “Black Gold, retta da un’incalzante melodia doppiata da voce e pianoforte, a cui fanno da contrappunto fiati in modalità banda, poi un efficace solo di Rudi Manzoli apre un altro sipario, una fanfara per guerrieri, con un ostinato sghembo di bassi e ance a disegnare strutture apparentemente pericolanti ma solidissime su cui fiorisce un caos pianistico mentre a turno i fiati spingono in alto il masso come un Sisifo destinato stavolta al successo: leggerezza, di nuovo epica e groove sono le parola d’ordine, grazie a un ottimo equilibrio nelle dinamiche, ad orchestrazioni ariose e non eccessivamente pesanti, e ad un materiale di partenza di qualità eccellente. Dopo sei minuti di gioioso e matematico fracasso, di rigoroso disordine, si torna al tema iniziale, che poi si apre in un splendido bridge sospeso che chiude in gloria. Sette minuti e mezzo di pura gioia. È il violino di Eloisa Manera invece ad accoglierci in “To Lindsay”, buona prova autografa di Ferdinando Faraò che ricalca lo stile della Cooper, con i caratteristici obbligati potenti e imprendibili, le aperture melodiche mai scontate, le invenzioni ritmiche, quel fare tra battagliero e beffardo, una ciclicità che rifugge costantemente dalle secche in 4/4 di certo rock ed ampio spazio per i solisti (ben otto assoli all’interno del pezzo, senza che questo risulti un’inutile e vacua parata). Perché questo era, è, rock in opposition. Chiude il disco una versione di “Half The Sky” remixata da Bob Drake  che non aggiunge né toglie nulla alla prima e chiude un disco concepito e suonato con amore (molto belle le foto in bianco e nero della Cooper nella copertina del cd), talento e dedizione, per un progetto che speriamo di poter presto poter finalmente incrociare nella dimensione probabilmente più congeniale, quella del live, e che promette scintille per il 2018 con repertori in allestimento di  Michael Mantler, John Greaves, Gustav Holst e del recentemente scomparso Phil Miller (Matching Mole, Hatfield And The North).


Tracklist

01. Half The Sky
02. England Descending
03. Anno Mirabilis
04. As She Breathes
05. Black Gold
06. To Lindsay
07. Half The Sky