FENNESZ, Bécs

Fennesz

Christian Fennesz, nato a Bécs (Vienna, in ungherese), ha già quasi 52 anni e ricorda sempre di più l’uomo bicentenario del racconto di Asimov: la storia (diventata anche un brutto film) è quella del robot NDR-113 (Andrew), che mostra un’inspiegabile sensibilità e che, chiedendo e strappando lui stesso ai suoi padroni determinate trasformazioni del suo corpo, pezzo dopo pezzo, organo dopo organo, a un certo punto ci assomiglia in tutto e per tutto e smette di vivere, come succede a noi.

Lo squarcio improvviso nel rumore da cui sbucava una pura chitarra acustica in “Black Sea” (2008) sembra essere simile, come scelte di fondo, alla comparsa in “Static Kings” della batteria e del basso di Martin Brandlmayr e Werner Dafeldecker, due noti musicisti appartenenti più o meno alla stessa scena di Fennesz, il quale, con loro, chitarra e computer a portata di mano, in qualche modo cerca di produrre un pezzo più pop e “naturale”, memore certamente del calore di Endless Summer del 2001. Lo stesso discorso vale per “Liminality”, che ospita il percussionista australiano dei Necks Tony Buck ed è la dimostrazione che in realtà l’austriaco è uno degli Slowdive. Esiste già una traccia intitolata “Liminal” (in Seven Stars del 2011, un 10’’ con quattro pezzi), con alla batteria Steven Hess, ed esiste già una collaborazione Fennesz-Buck, segno che come sempre tutto è un processo di sedimentazione e di presa di coscienza molto complicato, un po’ come quello di un robot che impiega duecento anni per capire bene cosa vuole essere, mentre intorno scompaiono tutti quelli che gli sono cari. L’unica cosa che infatti oggi mi sento di dire/confermare è che Fennesz negli anni ha cercato di umanizzarsi, non tanto in risposta alle accuse di sterilità ricevute da un genere che lui ha contribuito a fondare, ma forse solo perché, dentro di lui, questa pulsione c’è sempre stata… Tanto per continuare il gioco, si possono menzionare i suoni reali e il romantico synth modulare di “Sav” (suonato da Cédric Stevens), ma si dovrebbe parlare anche di tracce diverse tra loro come “The Liar” e “Paroles”, per provare a capire se l’artista sia riuscito ad andare ancora una volta oltre le nostre aspettative o se – con tutta calma – abbia semplicemente tirato fuori un compendio delle sue magie passate, che non sarebbe comunque poco.

Tra un secolo e mezzo vedremo Fennesz spegnere il suo laptop e poi morire, ma immaginate che disco ne verrà fuori…

L’album esce oggi e, nel momento in cui andiamo on line con la recensione, Editions Mego lo ha messo tutto su YouTube, non sappiamo per quanto. Buon ascolto.