FENNESZ, Agora

È un Christian Fennesz tirato a lucido, questo di Agora. Dopo le ultime, sparse collaborazioni (OZmotic, Jim O’Rourke, Alva Noto, King Midas Sound), ora è la volta di un disco in solitaria. Si parte con la placida melodia in forma di drone-rock di “In My Room”, una traccia epica, lenta e metallica al punto giusto, ma in fin dei conti non proprio memorabile, e si prosegue col romanticismo ridotto in cristalli noise di “Rainfall”: qui a tratti pare di ascoltare un pezzo black metal, suonato però in tutta lentezza dai My Bloody Valentine. La traccia che dà il nome all’album ci porta su lidi ancora più crepuscolari, con suoni che si muovono e si affievoliscono come polveri sottili, ma anche qui il risultato finale è leggermente sotto le aspettative.

L’austriaco gioca in punta di fioretto, data l’enorme esperienza acquisita sul campo, ma finisce per farsi troppo aeriforme. Con “We Trigger The Sun”, poi, si affonda definitivamente in un maelström fatto di una melodia che si perde tra gli effetti e i feedback della chitarra processata, quest’ultima uno dei suoi marchi di fabbrica, ed ecco forse perché la sensazione resta quella di un gioco che si conosce a memoria. Si parla di uno dei depositari di un genere peculiare, di cui qui si riconoscono tutte le caratteristiche: nuovo capitolo scritto nello stesso stile del passato, Agora finisce per rimanere solo un album piacevole, anche dopo ripetuti ascolti. Ai fan di Fennesz andrà certamente bene così.