Eredità nascoste – Daniela Casa e Alessandro Alessandroni visti Oltremanica

Daniela Casa

Diciamo la verità: fa un certo effetto notare che delle agguerrite etichette discografiche inglesi si prendano la briga di rimettere sul mercato le uscite di un paio di artisti di casa nostra (il merito va al “giro” Demdike Stare e al boss di Finders Keepers Andy Votel, musicista-collezionista di Manchester con all’attivo numerose attività in campo elettronico e hip hop, che verga le note d’accompagnamento al disco della Casa e cura l’artwork di quello di Alessandroni con il nom de plume Anthony Shallcross). Premesso che le edizioni sono comunque quelle della nostrana Flipper Music (che a sua volta comprende alcune delle storiche etichette legate alla library: Octopus Records, Deneb, Canopo), in questa sede è importante soprattutto sottolineare quanto sia ancora necessario porre l’accento su due artisti piuttosto decisivi per una cultura musicale forse dai più dimenticata (ma sapete bene che proprio gli stessi Demdike Stare con i loro dischi avvalorano esattamente il contrario), anche se per Alessandroni il discorso può dirsi leggermente diverso, visto che in realtà lo conoscono in tanti, pure quelli che non lo associano a determinate musiche: quelle di Ennio Morricone, ça va sans dire.

Analisi degli album

Partiamo dalla Casa, allieva di Domenico Guaccero (sodale di Franco Evangelisti ed Egisto Macchi), con una carriera ben avviata nel mondo del pop dell’epoca (traduttrice delle canzoni di Petula Clarke e Sandy Shaw e dietro al duo Dany & Gepy), e collaboratrice di Enrico Simonetti, papà di Claudio dei Goblin. Viene purtroppo a mancare a poco più di quarant’anni e la figlia, Valentina Ducros, prosegue lungo il solco materno come cantante. Lo scorso anno vede la luce Sovrapposizione Di Immagini, raccolta di pezzi provenienti da album del passato: “Arte Moderna”, “Società Malata”, “Lo Sport Vol. 1” e “Ricordi D’Infanzia” (tutti usciti tra i Settanta e i primi Ottanta). Chiaro che l’etichetta britannica, specializzata proprio in queste riscoperte (Suzanne Ciani, Bruno Spoerri), prova a dare un assaggio di quello che è un percorso tortuoso e abbastanza singolare. Prendete una traccia potente come “Grosse Cilindrate”, con quella linea di basso che comanda i copiosi fuzz della chitarra e la batteria tribale, oppure l’oscura e inquietante “Occultismo”, in coppia con la tenebrosa “Ricerca Della Materia”, o la melodia di “Circo Dei Bimbi”. Non mancano l’esotismo fanciullesco di “Esodo”, o le atmosfere feline delle più che aliene “Pericolo” e “Fantastico”, per non dire delle dissonanze d’archi della title-track, e la sinfonia costellata di suoni sinistri “Dimensione Concreta”. In un certo senso stiamo parlando di pagliuzze dorate che finalmente sono “visibili” a occhio nudo.
Di Alessandroni, invece, va detto che ha avuto una carriera forse più articolata e folgorante: celebri il suo caratteristico “fischio” in alcuni brani, lo dicevamo sopra, di Ennio Morricone, e poi le sue incarnazioni, vedi i magnifici Braen’s Machine (uscita da poco per Schema la reissue di “Quarta Pagina”) e I Cantori Moderni Di Alessandroni, gruppo dove svettava la splendida voce di Edda Dell’Orso (il nome di Sergio Leone e alcune delle colonne sonore per i suoi film dovrebbero dirvi più di qualcosa).

(industrial by alessandroni)

Anche qui, qualche mese fa, esce un disco dal laconico titolo di “Industrial”, di tipica library-music per ambienti appunto “industriali”, ed il risultato è qualcosa di assolutamente sorprendente (le registrazioni provengono dal lontano 1976, effettuate nello studio di Piero Umiliani). Titoli eloquenti come “Fusione”, “Discesa Tensione”, l’esotismo dark di “Moto Sincrono” o l’apertura della coriacea “Stozzatrice” (con quel piano trattato che conserva una sonorità eccezionale ancora oggi) la dicono lunga sulle intenzioni del musicista laziale. Prendete poi le febbrili marcette metalliche e funk di “Comitato Aziendale” e “Compressione” o l’incedere convulso di “Viabilità”: vero che trattasi di temi da utilizzare per scopi prettamente legati alla sonorizzazione d’immagini di repertorio, ma va anche detto che il tutto sembra fatto apposta per venire ascoltato a sé, dimostrazione che la Dead-Cert Home Entertainment ci ha visto giusto.

Conclusioni

Cosa rimane alla fine della fiera? Un paio di considerazioni si possono fare in tutta tranquillità: si tratta innanzitutto di musiche affascinanti, composte da artisti che si sono confrontati in molti ambienti diversi tra loro, e va sottolineato ancora una volta il fatto che se metti in cantiere un discorso interessante, prima o poi, anche se passano decenni, qualcuno se ne accorge, e rende appetibili pure le ristampe (un esempio per tutti: quella di Feed-back del Gruppo Di Improvvisazione Nuova Consonanza), alimentando una piazza sempre più ricolma di uscite di questo tipo. D’altronde i piccoli numeri di questo mercato, per quanto appunto “settoriale” possa risultare, parlano chiaro; non è un caso, infatti, che spesso questo tipo di album vada a ruba. Anche tale dato può servire a porre l’accento sul valore stesso delle pubblicazioni. Fatele vostre.