Egisto Macchi, un alieno in cattedra

Affondo sulle ristampe de Il Deserto e Pittura Contemporanea / Moderna N. 1 & 2

Sia benedetta la Cinedelic, che ha avuto l’idea di rimettere sul mercato due tra le più interessanti pubblicazioni soliste di Egisto Macchi. Il compositore toscano ha una storia così complessa e ricca di esperienze che si fa fatica a sintetizzarla in poche righe, ma tant’è… rimane necessario inquadrarlo storicamente. Nato a Grosseto agli inizi del Novecento, compie studi musicali e letterari a Roma e da lì incomincia a frequentare la crème della cosiddetta avanguardia capitolina, capeggiata da Franco Evangelisti, aderendo all’Associazione Nuova Consonanza, che a sua volta sarà l’embrione per il Gruppo Di Nuova Consonanza. Nel frattempo, come tanti suoi colleghi, collabora con la Rai e mette a punto numerose musiche per documentari, le più disparate peraltro, ricordiamo almeno quelle raccolte in Bioritmi, I Futuribili, Voix, Africa Minima, Città Notte e Nucleo Centrale Investigativo, uscite per le più svariate etichette del settore (la Gemelli di Bruno Nicolai, la Cometa Edizioni Musicali, la CAM). Quelle stesse musiche torneranno a distanza di tempo a interessare appassionati e collezionisti grazie al recupero appunto effettuato da piccole ed agguerrite realtà discografiche come la Cinedelic, ma citerei pure la milanese Black Sweat Records, che ha rimesso sul mercato alcune preziose rarità di Piero Umiliani. Ora eccoci al cospetto di questo paio di ristampe che non fatico a definire fondamentali per la ri-scoperta del suo mondo, fatto di partiture che sintetizzano coraggiosamente musica colta e deciso appeal popular.

Hidden Gem 1

Il-Deserto

Come amano scrivere nei mailorder esteri, trattasi davvero di gemma nascosta. Il Deserto è registrato il 6 giugno del 1974 col tecnico del suono Giuliano Giunti negli studi della Ayna Records (come testimoniato nelle note di copertina), etichetta del fiorentino Aldo Bruzzichelli sulla quale si trova(va) anche Pietro Grossi. Rimane però praticamente celato ai più, serve per potenziali documentari e filmati per la TV e di conseguenza a percepire i diritti d’autore dalla SIAE. La scorsa estate è proprio la Cinedelic (Ennio Morricone, Sandro Brugnolini, Giuliano Sorgini, Daniele Baldelli), gestita da Marco D’Ubaldo e specializzata proprio nelle ristampe di quel particolare tipo di uscite della macro-area che comprende library e colonne sonore, a reinserirlo nel mercato in cinquecento copie in vinile con copertina in velluto, ma è di poco tempo fa anche una salvifica versione in cd (cercatela negli store più forniti). L’album consta di nove tracce, tutte più o meno ascrivibili a una sorta di musica d’ambiente desertico (i titoli va a sé, parlano da soli) e quindi gli strumenti utilizzati da Macchi sono fiati, tastiere, tappeti percussivi che servono a ricreare atmosfere quasi baluginanti che ricordano la lontana e afosa Africa (la tribale “Cammelli”) o certamente luoghi dove puoi immaginare di trovare oasi sperdute e nomadi in sosta per abbeverarsi all’unica e preziosa fonte d’acqua disponibile (le reiterazioni di “Il Sahara”, che sintetizza bene il senso generale del disco). Si fanno poi notare la delicatezza di “Suoni Per Un Rito” e la struggente e maestosa suite “La Notte Del Deserto”: qui Macchi si spende profondamente, come a perdersi quasi, in una lunga e straniante composizione dove spiccano ancora i fiati e i pizzicati del violino, e a conti fatti si tratta della sua opera più affascinante. Va inoltre sottolineato come egli fosse in grado di sfruttare in maniera magistrale gli strumenti della tradizione classica, fondendoli in un’unica peculiare formula che univa il rigore della tradizione a tensione avanguardistica come a pochi era riuscito di fare fino a quel momento, ma è logico attribuire quest’inclinazione ai suoi studi accademici e soprattutto al coinvolgimento nei fondamentali GINC. Il discorso perciò vale per l’intero lavoro, che è nel suo insieme esempio di rara ispirazione e padronanza esecutiva. Non è un caso che Macchi abbia con costanza negli anni messo mano a molte colonne sonore per il cinema (per opere dei fratelli Taviani, Joseph Losey, o di veri outsiders come Romano Scavolini e Gianfranco Mingozzi) e la tv, un esempio per tutti: in quella di Storie Dell’Anno Mille (ai cori pure l’amico Alessandro Alessandroni dei Braen’s Machine) di Franco Indovina, regista di una serie televisiva per la Rai che vedeva protagonisti, tra gli altri, un giovane Carmelo Bene. Recuperate il film, ne vale la pena. Degna di nota pure la collaborazione col documentarista e film-maker Luigi Di Gianni per le immagini di Nascita Di Un Culto e Il Processo.

Hidden Gem 2

Pittura Contemporanea / Pittura Moderna N. 1 & 2

Consequenziale, in ordine di ristampa, Pittura Contemporanea / Pittura Moderna N. 1 & 2, triplo vinile con incluso pennello-gadget contenuto in un box rivestito di stoffa. Qui l’autore si prende la briga di omaggiare le varie correnti artistiche (e alcuni artisti in particolare) che caratterizzano il tumultuoso Novecento. La partenza è per “Arte Cinetica”, una specie di lunga e articolata marcetta (quasi un compendio di ciò che si ascolta nell’intera raccolta) composta da archi e note di pianoforte che via via si fa sempre più minacciosa (viene in mente una sorta di omaggio al Futurismo), ma si distinguono anche la quasi ascetica “Alberto Burri” e la metallica “Fontana (Ann. Cannone)”. Ancora più complesse la funerea “Pino Pascali” e “Jannis Kounellis”, tra scampanellii e consueto e reiterato senso del ritmo (come a creare un’articolata sinfonia di stampo minimalista) e il rimando all’artista greco è logico, data la frequentazione di quest’ultimo con la galleria d’arte capitolina nata dalla fervida mente di Fabio Sargentini, L’Attico (celebre l’opera-istallazione coi cavalli fatti entrare fisicamente in quegli spazi). Nel secondo disco trovano posto la lunga “Chagall”, coi violini e i fiati in primo piano a rendere ariosa una melodia triste, la tromba solitaria in “Surrealismo” e “Arte Sociale” e l’incedere quasi felliniano o, per meglio dire, à la Nino Rota di “Picasso”, che a metà strada si fa improvvisamente introspettiva. C’è poi lo spleen che può ricordare certi compositori ingaggiati per alcune pellicole della Nouvelle Vague, in particolare quelle di George Delerue per François Truffaut ad esempio, il pianismo suadente di “Post-Impressionismo”, senza l’impiego massiccio degli archi però. A Macchi non mancavano fantasia e ironia, come non pensarlo se ci si imbatte in un titolo come “Espressionismo Pragmatico”, corrente artistica credo inventata di sana pianta, o la voglia di rendere il più gradevole possibile l’ascolto, nonostante il considerevole minutaggio di quasi tutte le composizioni, si vedano le suadenti note della conclusive variazioni sul tema “Pop Art 1” (linea melodica di sax) e “Pop Art 2” (qui la medesima linea è svolta dal pianoforte).