So che se fossi pazzo… intervista a Edda e impressioni sul suo live

foto di Stefania Villani

La vita è strana, ho un ricordo nitido e cardiologico del mio primo incontro con Edda. Un pugno di anni fa il mio muscolo rosso faceva i capricci e mi hanno dato qualche scossa elettrica per farlo tornare a miti consigli. Proprio il giorno dopo la prima di quella che poi nel tempo si rivelò una serie di necessarie defibrillazioni, incontro Edda per la prima volta, aprendo il suo concerto vicino a Reggio Emilia, ai tempi di Odio I Vivi. L’anestesia evidentemente è ancora in parte in corpo, il rock & roll è sempre il rock & roll e io, seguendo scrupolosamente i consigli del medico, sbevazzo la sera del live e il giorno dopo ricordo poco, se non che Edda era salito sul palco con noi e si era steso dietro di me per ascoltare, a occhi chiusi. Una sensazione di confidenza che si ripete anche oggi, nei camerini del Locomotiv di Bologna, dove lui fa tappa per presentare il nuovo disco, Graziosa Utopia. Il registratore va, il racconto di Edda pure, in un’atmosfera tranquilla e rilassata. L’impressione che resta alla fine è come di aver assistito ad un altro concerto, segreto, intimo e magnetico. Di seguito la trascrizione, neologismi, pause e svarioni compresi, nota per nota.

L’intervista

Edda: Mi piace il mattino, mi piacciono  le prime ore del mattino, mi sveglio molto presto e canto il mantra,  i miei sedici giri del mantra. Quando stavo facendo il disco tutti i giorni suonavo, cantavo e componevo, tanto che ho già i provini pronti per un altro disco intero, e queste canzoni mi sembrano pure molto belle. Vivo molto male questa vita da “artista”, preferivo fare lo schiavo, come si dice, il lavoratore che a fine mese ha il suo stipendio; io non ho entrate, anzi, per fare questo disco ho speso un puttanaio di soldi… Non mi sento di far parte della società, il che per alcuni aspetti è un privilegio, per altri no. Tutto ha un prezzo, e questa cosa mi pesa. Mi sono buttato perciò su questo lato spirituale per mantenere un equilibrio, e questo funziona. Mi sono trasferito in Toscana, in montagna, sembra di stare in Svizzera, Casentino si chiama, ma la Toscana è l’unica regione d’Italia che non mi piace. Sto in montagna, ci sono gli abeti, i pini, la comunità montana. Io sono lì per amore, intanto la vita va avanti, ho 54 anni, ma a me sembra di avere 20 anni, la mia mente si è fermata, anche come maturazione, anche 10 anni, e mi stupisco di come una persona come me, che un tempo sarebbe stata considerata vecchia… Quindi mi sono buttato a pesce fitto, ormai mi invento anche le parole, scrivilo, a pesce fitto, quindi mi sono buttato in questa cosa degli Hare Krishna, come uno che va al poligono di tiro e va tutti i giorni e spara, prima o poi c’è la guerra e ti chiameranno, e siccome sono 35 anni che faccio questa cosa e non ho mai smesso, è l’unica cosa che non ho mai smesso. Ho smesso di essere di sinistra, ho smesso per tanti anni anche con la musica, anche Brian Eno aveva smesso per un bel po’, se lo fai proprio per lavoro dopo un po’… Mi piace scrivere le canzoni, non mi sento più un fallito, mi dà piacere, e non è facile scrivere le canzoni e non è che le scrivi perché sei capace, succede perché ti arrivano, lo diceva pure Battisti: “Non mi vengono più le canzoni di una volta”. Forse con un po’ di disciplina e di regole, mi rimandano ai nostri quattro principi: niente droga, niente sesso, niente carne-uova-pesce, a me l’uovo fa cagare (il quarto non me lo racconta, ndr).

Sei vegano? 

Non lo so che cazzo sono, seguo ‘sti cazzo di principi. Per il sesso invece si apre una parentesi, è come un muscolo che ti deve venire, quando sei andato oltre, nel frattempo fai quello che puoi, anche il fatto stesso di accettare che il sesso è una cosa sbagliata per te, se incominci a ragionare così, piano piano lo accetterai.

E nella musica come ti immagini, che prospettiva hai?

Ravi Shankar diceva che era nella “decima vita”, che lui si era reincarnato come musicista. A me piacerebbe reincarnarmi in un musicista, non tanto per il successo che comunque non ho, ma perché mi piace cantare e mi piace suonare, anche se a livello spirituale questo non vuol dire niente, sono desideri un po’ sciocchi, è come se uno dicesse “voglio aprire una salumeria”, ma sono i desideri che poi ti incatenano alla prossima reincarnazione, quindi sono cose pesanti. Attento a ciò che desideri, perché alla fine ti capita veramente… Mi piacerebbe reincarnarmi in un musicista che sa suonare, mi chiuderanno in un ashram e andrebbe bene così.

L’autore di questa domanda è uno dei miei alunni, terza elementare, 8 anni. Canti per gli applausi o per i soldi? 

Io canto soprattutto per me. Il primo a sentire il pezzo sono io, se la canzone viene, quello per me è un giorno speciale, e me ne accorgo proprio perché adesso non viene. La canzone, quando arriva, esce tutta in due minuti. Non rifinisco il testo, anzi il testo è l’ultima cosa che voglio toccare, non mi segno mai una frase, quindi sono delle specie di illuminazioni, dei “satori”. Ascoltando altra musica, mi vengono idee.

Cosa stai ascoltando adesso?

Niente.

L’ultima cosa che ti ha colpito?

Pop X e l’ultimo degli Ex Otago, anche se ieri ascoltavo i Marlene Kuntz e i Sonic Youth, anche se sono canzoni pure quelle. Io più che canzoni non riesco a fare…

Come hai deciso di fare il cantante? Pure questa è una domanda di uno dei miei alunni.

Una bella domanda. L’ho deciso nel momento in cui ho capito che se non l’avessi fatto avrei rinunciato all’unico piccolo dono che mi è stato dato, e rinunciare a un dono potrebbe succedere che la prossima volta, ti dicono ‘no scusa, ma tu hai voluto fare i ponteggi’… Che poi scusa tu hai voluto lavorare per fare i soldi, ma fare i soldi per fare che cosa? Per una macchina? Preferisco morire di fame e avere rispetto di una cosa che ti è stata data. E, ripeto, non è una cosa così facile fare canzoni, è un’abilità che voglio onorare, e spero di ottenere risultati nella prossima vita. Se non ci fosse la mia ragazza, non avrei il tetto sotto il quale stare. Io a cinque anni volevo suonare. Non ho mai imparato a suonare nulla, a dodici anni ho comprato la chitarra. Quando ero piccolo la musica era molto bella, adesso ci sono i rappisti, che sono bravi, li stimo e tutto, ma questo è un altro genere, si vola alti, per cui allora dove si ascoltava, si ascoltava bene. Era un momento in cui la musica sembrava una bella colonna sonora per una vita che sembrava una cosa gagliarda. La vita è una punizione, una lezione fatta proprio per noi, ognuno ha la sua che deve proprio imparare, e le lezioni sono tali, o le impari o le impari, con le buone e le cattive, e quindi prima impari, e prima te ne vai, meglio è.

Alla fine di Odio I Vivi citi Sinatra, “the end is near”. Come mai?

Mah, guarda, mi sarà venuto in mente Sinatra, ma non c’era intenzione, le parole come vengono, vengono… Nell’ultimo disco avevo dei testi con dei buchi che rimanevano perché proprio non trovavo le parole, ne mancavano pochissime, quattro. Camminando e correndo sono riuscito a trovarle. Tra l’altro io i testi non me li ricordo mai. Se leggo faccio altre confusioni, per cui devo andare con quello che ho. Non posso aiutarmi in maniera esogena.

Che tipo di ascoltatore sei?

Un tempo andavo alla ricerca dell’emozione, io ho ascoltato musica dai 5 ai 30 anni, quando ascoltavo facevo sessions di tre ore di fila, in cuffia, dondolando in modo autistico sul divano, o con la radiolina sul grembo, senza fermarmi. Io e il mio gemello andavamo su e giù da piccoli con la musica. Il mio gemello fa il geometra in Iraq, sta via tre mesi poi torna. No, non è l’Iraq, sono posti pericolosi…

E, viste le tue credenze, questo fatto di avere un fratello gemello come lo vedi?

Forse eravamo marito e moglie nella vita precedente. Ancora adesso, anche se mio fratello non parla più con me, il legame è molto forte. Oggi io e te abbiamo parlato molto di più di quanto io e mio fratello non abbiamo fatto negli ultimi trentacinque anni. Lui sembra Depardieu da giovane. Siamo i gemelli diversi. Poi comunque tutto finisce. E stasera non ci sarà nessuno.

Con “Signora” ti è uscito il singolone…

“Signora” è un pezzo vecchissimo. La sua forza è l’arrangiamento, che vuol dire tantissimo. No, dai stasera non c’è nessuno.

La voce l’hai educata in qualche modo?

No, assolutamente. Sono un cantante selvatico. Infatti la mia voce non mi piace manco p’o cazz’, mi piace la voce di Calcutta. La mia è un po’ come un viso strano, che non mi piace. In questo disco mi pareva di aver cantato proprio in modo sbagliato. Non sono un fan della mia voce.

E quando eri in India non ti è mai venuto di cantare secondo il modo indiano?

Guarda, a me in India, a parte i canti devozionali, mi piaceva la cucina. La prima volta che ho sentito una canzone Hare Krishna era in “Goddess Of Fortune” di George Harrison.

E voci che ti hanno colpito?

Mi piace moltissimo la voce di Pop X, mi arriva. Mi piacciono Samuel, quello che ha vinto il festival di Sanremo, mi piace Calcutta. Sto parlando di voci, al di là di quello che dicono o in che canzone lo dicono, per me hanno qualcosa.

E andare a finire a Sanremo?

Ma speriamo di no! Trovo che sia anche un po’ umiliante, se hai bisogno di Sanremo per sentirti importante sarebbe un’umiliazione che potresti pagare con anni di analisi. Per fortuna fino ad ora non c’è mai stato questo rischio.

E le prossime canzoni?

Un po’ di canzoni per un disco ce le ho già, una decina che mi fanno sussultare, solo chitarra e voce, ancora da arrangiare, che se potessi andare in sala registrerei queste invece di quelle che ho messo nel disco. Speriamo che arrivino, le prossime canzoni. La canzone che apre il disco, quando l’ho fatta mi pareva un capolavoro, ultimamente la sto vedendo come un piccolo cliché, è un brano che avrebbe potuto fare Mina, però adesso quando lo riascolto, non è tra i miei preferiti.

Di questo disco la mia canzone preferita è “Zigulì”, la trovo una canzone per bambini. Io ho il difetto di essere un po’ troppo melodrammatico nell’espressività, però tutti i cantanti che ti ho citato non sono così. Mi piacciono queste voci che ti arrivano e sembra che stiano sedute sul cesso. Senti la voce che ti penetra e non vedi lui che si ammazza. Senti cantare gli Afterhours, me, Le Vibrazioni, lo vedi che ci stiamo dannando. Mi piacciono di più queste.

La canzone che vorresti aver scritto tu?

Accenna l’inizio, “So che se fossi pazzo, oppure internato”… “Hommage A Violette Nozieres” degli Area. La batteria di Capiozzo che non capisco che cazzo di tempo tiene, il testo che è pazzesco. Minchia, domani mi aspetta un digiuno allucinante! Da stanotte fino a sabato mattina (il concerto è di giovedì). E domani devo pure cantare. Senza neanche bere acqua. La sete non la sento tanto. Lo faccio perché ci sono ‘sti bonus, sono diventato un po’ tipo Wanna Marchi, domani il digiuno protegge contro i fantasmi e i demoni. Il cibo è una droga, serve per calmare l’ansia, quindi per questo per me sarà dura. Ma io mi metto lì a cantare col rosario, adesso che so che c’è il bonus, per adesso i vantaggi io non li ho ancora visti, oramai ci credo. La Bhagavadgītā ha 5000 anni, se dopo 35 anni io credo ancora a queste robe, andiamo avanti…

L’attualità la segui?

Non me ne frega niente. Quando c’erano i Visigoti che dovevano attraversare il Danubio, era più facile? Non c’entra un cazzo. Il problema non è l’Isis, il problema è che tu muori, qualcuno ti fa del male non perché ha il potere di ucciderti, ma perché tu hai un corpo che muore. Il problema non è cosa ti fa morire, ma che muori. Per me è come un esame, se lo passo mi danno la laurea, se non lo passo…

Il live – Edda, 23/3/2017

foto di Elena Angioletti

Locomotiv, Bologna.

E il banco di prova del live il nostro Stefano lo passa? Assolutamente sì, e pure senza copiare. In un Locomotiv non gremito, ma nemmeno vuoto come prospettava lui stesso, Edda si presenta in quartetto, lui alla chitarra, graffiata con efficacia, assieme a basso (ed occasionalmente tastiera), un’altra chitarra e batteria. Il concerto rispecchia fedelmente l’inclinazione pop-rock dell’ultimo lavoro in studio. È utopico pensare di lanciare a razzo l’autore di un capolavoro scabroso come “Io e Te” verso l’airplay radiofonico? Secondo chi scrive no, perché in molti di questi pezzi il tiro giusto da modulazione di frequenza non manca affatto, anzi. Svettano sopra ogni altro brano, tra quelli nuovi, “Spaziale” (“l’amore d’ogni giorno diventa normale”, eco attutita de “l’amore diventa merda dopo due settimane” cantato nello splendido e terribile disco d’esordio ), un pezzo che lo stesso Edda, e a ragion veduta, definisce alla Mina, e scusate se è poco. E “Signora”, innodica e struggente, senza essere sdolcinata, con un arrangiamento che porta in cielo la voce, oltre che attraversata da due righe di testo fulminanti e destinate a restare (“É vero, è vero, è vero, ho sempre rifiutato l’intimità, mi disgusta solo il pensiero? Allora, allora, allora, che cosa ne facciamo dell’umanità? Porompompero, ne facciamo a meno”). Brani che hanno il tono confidenziale di un Battisti  randagio, spesso e volentieri assestati su robusti mid-tempo  e graziati da una voce unica. Molto bella anche “Brunello” (“Io che ho fatto tante cose, ho tutto il male del mondo, puniscimi e gettami nel fango, da qui ne uscirò biondo”), che esibisce un arpeggio à la Radiohead e un intermezzo da Italia anni Sessanta proiettati nel cosmo, così come “Un Pensiero d’Amore”, che inizia lunare nella musica ma è terrigna nel testo, per poi sfociare in un ritmo funky facile e felice che rimanda dritti dritti proprio a Lucio. La voce di Edda sa frugare dentro come poche, sono quelle intraducibili affinità elettive che capitano e non sai spiegare, tutta questa enfasi nel portare la voce in altri contesti ci ha sempre allontanato, qua invece ci tocca, e chissenefrega di psicanalizzare il perché. Succede e basta… La sua poetica selvatica a volte regala lampi di pura poesia (“Ho preso il nome dalla  mia mamma, con delle fughe dalle tue gambe che non mi sembrano vere”). Perché si sente che dice la verità, su disco, come in concerto e durante l’intervista. Non ci sono pose, nessun artificio. L’arte e la persona coincidono. Nel live fanno capolino anche alcuni pezzi dal terzo disco Stavolta Come Mi Ammazzerai, come “Pater” e “Coniglio Rosa”, rocciose nei suoni e anche nelle parole. Dal primo album, il lancinante e bellissimo Semper Biot (la sparo: il corrispettivo italiano del disco solista di Mark Hollis?), ascoltiamo “L’Innamorato”, che beneficia di un nuovo arrangiamento e, durante il bis, “Milano”, cruda e ammantata di romanticismo straccione. La nostra scaletta ideale avrebbe contemplato anche altri pezzi, ma va bene così. Perché la voce di Edda è la voce di un angelo caduto, di un diavolo santo o di qualcuno che gli assomiglia molto e che comunque ha tanta dimestichezza con la rovina e con il fango. Perché tutti aspiriamo a nient’altro che a staccare i piedi dal suolo per qualche minuto, se possibile, e sentirci meno mortali, magari.

Con te non piangeremo mai, con te non ci annoieremo mai, non ci arrenderemo, non ci ammaleremo mai, non dormiremo mai” canta ne “Il Santo e il Capriolo”.

Ti prendiamo in parola, Edda, i più grandi sanno dirle benissimo, le bugie, quindi ci si vede al prossimo giro di ruota, a Krishna piacendo…