EARTH, 28/1/2015

Dylan Carlson

Milano, Lo-Fi. Ringraziamo il bravissimo Stefano Marotta per la foto a corredo dell’articolo.

I “giorni della merla” sono i giorni più freddi dell’anno. Milano è sempre stata una città gelida ed è proprio nel cuore del capoluogo lombardo che la band di Dylan Carlson si esibisce nel primo live dei tre previsti in Italia (gli altri saranno Roma e Bologna) per presentare il nuovo album Primitive & Deadly, uscito lo scorso settembre per Southern Lord. Ad aprire le danze ci sono Don McGreevy & Rogier Smal Duo e i Black Spirituals, ma, sfortunatamente, arrivo a concerti finiti. Il Lo-Fi è colmo di gente, una grande massa scura in trepidante attesa della band di Seattle. La musica di sottofondo si abbassa, le luci si spengono e tutto ha inizio. Se posso permettermi di esprimere un giudizio a priori, uno degli aspetti più rispettabili e allo stesso tempo caratterizzanti della lunga carriera degli Earth è l’inesorabilità della loro ricerca. Un continuo susseguirsi di sperimentazioni e innovazioni a ogni album, che fa sì che ogni loro live sia come assistere a un concerto di una band diversa. E forse è proprio perché la loro musica è così ben delineata, con l’incessante ripetizione di riff e la fermezza costante dei colpi di batteria, che il loro lavoro è tanto più suggestivo e commovente.

Il primo pezzo è “Badgers Bane”, bonus track dell’edizione in vinile di Primitive & Deadly, uno dei più onirici e visionari di quest’ultimo disco, che sembra aver riportato la band su territori più heavy rispetto al passato, come è ben dimostrato da “Even Hell Has Its Heroes”, uno dei brani più pesanti della nuova produzione, tradotto ottimamente dal vivo dal braccio oscillante della Davies e dal basso di Don McGreevy (non ha preso parte alle registrazioni, ma accompagna la band in tour), che si pone come complemento al lavoro ritmico ondeggiante di Carlson. Il trio spazia attraverso alcuni degli album più significativi del progetto (anche se si sentirà la mancanza di Hex; Or Printing In The Infernal Method), proponendo episodi di Angels Of Darkess, Demons Of Light I (“Descendent To The Zenith” e “Old Black”) e The Bees Made Honey In The Lion’s Skull. Se da un lato è impossibile non contemplare i movimenti degli artisti sul palco, che sembrano inscenare una sorta di danza sciamanica, un’evocazione alle divinità più arcane e oscure, dall’altro è difficile non chiudere gli occhi e lasciar andare il proprio corpo a movimenti oscillatori che vadano ad accompagnare la band nel suo rito. Ogni persona è completamente travolta dalle vibrazioni emanate dal palco, specie dalle dita di Carlson, che sembrano accarezzare il corpo caldo di una donna e che ci regalano anche l’esecuzione di “Ouroboros Is Broken”, tratto dal loro primo ep del 1991 Extra-Capsular Extraction: tenebroso e pesante, porta il pubblico a un livello di comunione ancora più profondo con la band, che in questo momento crea una sorta di cerchio compositivo, passando da “il primo pezzo che abbiamo composto all’ultimo”, come detto da Dylan, eseguendo dunque “Torn By The Fox Of The Crescent Moon”, prima traccia di Primitive & Deadly. Naturalmente, uno degli aspetti più rilevanti del nuovo lavoro è l’inclusione di voci, in particolare quella di Mark Lanegan in “There Is A Serpent Coming”, che col suo timbro particolare si adagia sul lirismo della chitarra di Carlson, l’unione di due anime tormentate che cercano nella musica una redenzione per i peccati commessi a causa del serpente tentatore. Ovviamente in quest’occasione il brano viene presentato come strumentale, così come lo struggente “From The Zodiacal Light”, che unisce misticismo e sonorità dallo stampo anni Settanta (interpretato su disco da Rabia Shaheen Qazi, già cantante dei Rose Windows), posto in chiusura, quasi come si volesse tracciare un  solco luminoso all’interno dell’anima di chi ascolta, già pienamente coinvolto dall’incredibile show al quale ha assistito.

Dylan Carlson si conferma ancora una volta un artista dai connotati quasi “messianici”, capace di avvolgere e sconvolgere chiunque assista a una sua performance, come se fosse il portavoce di un credo religioso al quale non si può fare a meno di sottostare. Se cercassi un rifugio spirituale, fonderei la “Chiesa di Dylan” e diffonderei il Carlsonismo come unica via di salvezza.