DYNFARI, Myrkurs Er Þörf

Il mondo sta cambiando. La musica cambia, anche le droghe cambiano.

Così in una scena di “Trainspotting”, film ambientato verso la fine degli anni Ottanta, la giovane (troppo giovane!) Diane rinfacciava a Renton la sua incapacità di accettare la necessità del cambiamento. La musica ha continuato ad evolversi (magari non sempre in direzioni apprezzabili) e anche il black metal, piaccia o non piaccia, per sopravvivere si è dovuto mettere al passo con i tempi: niente più eccessi sul palco o fuori, facepainting ormai ad appannaggio di Abbath e pochi irriducibili, produzioni più raffinate che hanno mandato in soffitta le care vecchie registrazioni in presa diretta nel capanno sui monti Jotunheimen.
Il black metal degli albori era un genere peculiare, figlio di un Paese, di un periodo e di condizioni sociali ben precise, e riproporre oggi ciò che caratterizzò gli inizi di Darkthrone, Mayhem e Immortal avrebbe il sapore di una brutta pantomima. Per questo band come gli islandesi Dynfari hanno scelto di recuperare soltanto gli aspetti più viscerali dell’opera di quelle anime dannate dei primi anni Novanta, rafforzandone l’impatto emotivo attraverso contaminazioni di più ampio respiro.
Il titolo del loro ultimo lavoro, Myrkurs Er Þörf (“L’oscurità è necessaria”) non lascia alcun dubbio sulla volontà del gruppo di non abbandonare l’aura cupa e alcune delle tematiche tradizionali del genere (depressione, perdita, morte); tuttavia, per quanto le radici dell’album affondino negli elementi tipici del metal estremo (cantato in screaming, utilizzo della lingua madre per i testi, chitarre in tremolo picking e parti di batteria in blast-beat regolarmente presenti all’appello), i Dynfari non esitano a cercare nuove forme di espressione, dilatando i tempi dei brani ed enfatizzando la componente malinconica.
Ecco quindi comparire, accanto a strutture dalla forma più consueta, i sontuosi scenari sonori di “Ég Fálma Gegnum Tómið” e le atmosfere decadenti di “Peripheral Dreams”, brani crepuscolari da cui emergono componenti post-rock e ambient che ben si sposano con il riffing aggressivo e nulla tolgono alla solidità del disco. Le mutevoli contaminazioni che influenzano lo sviluppo di Myrkurs Er Þörf, oltre a richiamare le sperimentazioni di band come Agalloch, Drudkh e Sólstafir, accrescono le sensazioni di spiritualità e introspezione, evocando immagini di paesaggi nordici selvaggi e rituali ancestrali.
Questo album è solo l’ultimo della serie di interessanti lavori che stanno arrivando dall’Islanda nell’ambito di questo “nuovo black metal” altamente atmosferico e impegnato (si pensi alle recenti uscite di Misþyrming, Sinmara, Almyrkvi e Svartidauði). Con il suo affascinante entroterra e le lunghe notti artiche, l’isola sembra essere diventata la nuova patria della musica più tetra: un’oscurità probabilmente necessaria per poter far luce sulla propria interiorità.