DYLAN CARLSON + CONNY OCHS, 8/10/2013

Dylan Carlson

Bologna, Freakout.

Chiunque sia venuto a questo concerto con l’idea di beccare gli Earth ha sbagliato serata. Oggi siamo qui per vederci una fetta, molto personale, della ciclopica band drone doom: Dylan Carlson, unico membro fondatore e permanente di un gruppo basato in primis sulle sue chitarre. Per questo il percorso in solitaria di Dylan, sovente a nome D.R. Carlson, ricorda – e in parte ripropone – il sound che caratterizza in particolare gli ultimi due, levantini album degli Earth. Almeno in ciò che ci offre dal vivo.

Il Freakout Club è da un paio d’anni la nuova meta bolognese della musica “alternativa”, dato che la sua programmazione oscilla fra punk, post-rock, noise, neo-folk (e dentro c’è un po’ di tutto, a dir la verità). Le proposte, curate soprattutto dalla Sunday Morning Booking, sono sempre ottime e ricordano quelle dell’Unwound (RIP), storico locale di Padova. Purtroppo, come notiamo già da tempo, il luogo non è bellissimo. Ha delle enormi potenzialità e si nota lo sforzo fatto dal punto di vista dell’acustica (decisamente migliorata negli ultimi mesi), ma anche l’occhio vuole la sua parte. Non è possibile far suonare gruppi come Shining, Deafheaven, Krisiun, Mono, Antimatter, Negură Bunget, Discharge, lo stesso Carlson (tutti loro sono o sono stati in cartellone) davanti a uno sfondo a spirale bianca e nera con una scritta rossa, perché l’atmosfera, e non sono solo io a dirlo, ne risente parecchio, si tratta di qualcosa d’inadatto al tipo di eventi organizzati.

Fino alle undici veniamo assuefatti da un dj set (Messner) che propone pezzi in tono con la serata, creando un’atmosfera cupa e silenziosa, un buon tappeto su cui far camminare i musicisti che verranno. Quando l’ora si fa tarda abbastanza per garantirci che siamo ancora in Italia, Conny Ochs dà il via alle esecuzioni. Il musicista tedesco cerca di ricreare il clima della tradizione soul e blues del West Side, definendo “dark-folk” questa sua decontestualizzata visione americana. Il suo set è composto da una chitarra acustica e da una grancassa per tenere il tempo e da canzoni come “Black Happy” o “Burn Burn Burn”, che trattano di temi-cliché come morte e droga. Se i primi due pezzi ricordano vagamente ambientazioni lynchiane, poco dopo la chitarra si lancia in un country più veloce e si finisce con un brano solo per armonica. Un po’ banale, forse, e non coinvolge poi così tanto, ma ben confezionato e sicuramente coraggioso.

Dopo qualche minuto di pausa sarà compito di Dylan Carlson intrattenerci. In questo tour viene accompagnato dall’eccellente batterista jazz Rogier Smal, insieme al quale è uscito, in occasione appunto del tour, un 7” split per la Toztizok Zoundz: Holly’s Jeans / Een Trommel Is Geen Percussie Instrument. Quando parlavo di delusione per chi fosse venuto convinto di sentire qualcosa di simile agli ultimi Earth di Angels Of Darkness, Demons Of Light I e II, non mi riferivo a una deviazione stilistica, bensì a una di tipo tecnico: Carlson viaggia con un Marshall da museo (forse più un punto a favore) di misere dimensioni (punto decisamente a sfavore), amplificato in presa diretta dalle due casse voci messe a disposizione dal locale, il che fa così sparire la coperta sonica che ci avvolgeva agli Earth e che soprattutto valorizzava un suono con un timbro tipo questo che ci viene proposto oggi. Il concerto, quindi, si svolge nella sua silenziosa accezione del termine, veniamo cullati dai classici minimalismi chitarristici che ben conosciamo, mentre vengono suonati pezzi ascoltati raramente, perché presi da compilation in cassetta, jam-sessions durante viaggi e parte del nuovo split. Ci sono anche brani riconoscibili, come rivisitazioni della title-track e “The Faery Round” tratte dal celebre La Strega And The Cunning Man In The Smoke (Latitudes, 2012), inoltre si chiude con un pezzo degli Earth. L’insieme risente della mancanza di volume, e anche di un po’ di atmosfera, ma le varianti free-jazz apportate da Smal alla batteria sui ronzii accordati di Carlson ci fanno apprezzare molto di più l’aspetto “musico-tecnico” della situazione. Il batterista del collettivo artistico Dagora gioca con cambi di tempo improvvisi, si lancia in rullate sconnesse facendo spesso vibrare i piatti, vira di stile con l’utilizzo di mallet, spazzole e Vic Firth standard, facendo nascere una fusione originale che riesce a non farci uscire proprio tristi dal Freakout, ma solo incerti riguardo il nostro totale apprezzamento.