DURAN DURAN DURAN, Duran

Ed Flis, classe 1980, è in giro da un po’ col nome Duran Duran Duran. È americano (Filadelfia), ma dovrebbe vivere a Berlino e lavorare per Ableton. È passato per etichette come Cock Rock Disco, Tigerbeat6 e Planet Mu e se conoscete i proprietari o avete dei dischi presenti su quei tre cataloghi, allora siete già abbastanza informati su cosa potrà accadere qui. Troppo facile dire Venetian Snares o Bong-Ra, però è chiaro che ci troviamo di fronte a un imprevedibile che frattura battiti in mille pezzi, ma che è anche capace di partire a cassa dritta, ignorantissimo come il dio della gabber comanda, una caratteristica che si porta appresso sin dagli esordi.

Flis è rimasto a lungo quiescente (il suo ultimo full length è del 2010), ma in questi sette anni, più che cambiare, sembra essere entrato in una specie di criosonno, perché quando si è svegliato ha ripreso – fuori da ogni possibile moda – a fare ciò che faceva già prima, forse più asciutto, con meno campionamenti pazzi e il minimo sindacale – se non ancora meno – di melodie. La sfida, in buona sostanza, rimane la stessa di sempre: da un lato non sembrare stupido, e da qui il taglia e cuci funambolico dei ritmi, davvero intrigante, dall’altro non passare la maggior parte del disco a masturbarsi mentre si guarda allo specchio, e da qui anche le botte di 4/4 a liberare energie rimaste compresse.

Se la copertina sembra un esperimento genetico andato male o qualche pezzo di qualche mostro oceanico trovato qualche migliaio di metri di profondità, è perché la musica di Duran Duran Duran è esattamente questo: una creatura mutante non necessariamente bella da vedere.