Due dischi Maple Death: Chamaerops di Heart Of Snake & Mira e The Flip Side di J.H. Guraj
Due dischi di raffinatissima fattura dove le chitarre la fanno da padrone, ma c’è tanto altro: due lavori che con gesti misurati riescono a restituire all’orecchio immagini sfuggenti.
Heart Of Snake è un progetto attivo da quasi un decennio che vede la partecipazione di Vincenzo Marando (Movie Star Junkies, Krano), Alberto Danzi (oAxAcA) e Cosimo Rosa (Krano); con loro troviamo qui la violinista romana Francesca Colombo in arte Mira, già parte de Il Quadro Di Troisi e Misto Mame, anche lei con un lavoro per Maple Death di prossima uscita. Il titolo si riferisce al nome scientifico della palma nana e mi sembra un’ottima metafora del contenuto, due lunghe tracce, facilmente sezionabili in diversi movimenti, in cui regna un esotismo minore, a tratti velato di un esile sentimento di malinconia, collocabile geograficamente in qualche punto fra la Polinesia, il Mediterraneo e gli Appalachi. Le chitarre si dividono fra slide dal gusto tropicale e frasi scomposte, il violino a tratti sembra mimare voli d’insetto, nel frattempo cicale, passi sulla ghiaia, quella che sembra pioggerellina tropicale, la voce di Andrés Segovia che cita Eugeni D’Ors, una sorta di yodel che ricorda lo Slim Whitman nemico dei marziani in “Mars Attacks!”; da segnalare anche i contributi di Everest Magma, che ci mette il suo sciamare – elettronico – e di Paul Beauchamp, che oltre ad aver curato la registrazione di “Chamaerops” si è divertito a suonare la sega ad arco nella seconda parte del disco. A Torino fanno base gli Heart Of Snake, nella città sabauda fece base a lungo, per poi morirvi, Emilio Salgari, artefice di incredibili viaggi immaginari, in terre – come noto – mai visitate, uno che si è tolto la vita facendo harakiri in un parco pubblico: in questo disco mi sembra di rintracciarne un po’ lo spirito, di ritrovarvi lo stesso esotismo inquieto.
Passando a The Flip Side vi riscontriamo un tiro diverso, qui la luce sembra riverberare timidamente svelando una palette di estrema eleganza: un disco che mi sarebbe piaciuto ascoltare con le ultime piogge primaverili – quando era prevista originariamente l’uscita di entrambi i lavori – e con qualche grammo di lana addosso, ma ce lo facciamo andare bene lo stesso perché trattasi anche in questo caso di un gioiellino di raffinata composizione. J.H. Guraj altri non è che Dominique Vaccaro, chitarrista di origine calabrese di stanza a Bologna, già ascoltato in altre uscite marchiate Maple Death e Boring Machines oltre che all’interno del progetto BeMyDelay di Marcella Riccardi. Pare che Dominique abbia avuto un brutto incidente qualche anno fa e questo disco suona proprio come l’uscita da una fase depressiva, intriso sì di dolore e costernazione ma per niente cupo, uno sguardo dilatato capace di vedere lontano, quasi commovente nella sua resa sonora. Chitarra in assoluto primo piano attorniata da qualche rumore di fondo, acqua, leccate di pianoforte, una batteria che affiora, più che altro con accenti jazz. Due dischi da ascoltare con cura, paesaggi in cui perdersi alla ricerca di particolari sempre nuovi.