Due dischi Cuneiform: Richard Pinhas / Tatsuya Yoshida / Masami Akita – São Paulo Underground

Doppietta di dischi per la benemerita Cuneiform, culla del suono avantgarde in senso lato con sede a Washington D.C., capace di stare sul pezzo oramai dal lontano 1984.

RICHARD PINHAS / TATSUYA YOSHIDA / MASAMI AKITA, Process And Reality

Il primo disco in esame è a dire il vero deludente Process And Reality, che vede insieme Richard Pinhas, chitarrista dei progster francesi Heldon, Tatsuya Yoshida, batterista monstre di Ruins, e Masami Akita aka Merzbow, quest’ultimo a inondare il tutto di folate di (in questo caso) convenzionalissimo rumore bianco.

La cartella stampa parla di musica brutalmente onesta, politicamente potente: una tumultuosa riflessione sonica sugli ultimi sussulti dell’età industriale. Sarà… A chi ascolta di questa roboante dichiarazione di intenti resta poco, ed all’iniziale interesse per una bella apertura space subentra subito una gran noia: il disco non pare avere né capo né coda, lunghe e piatte digressioni ambientali che disegnano scenari apocalittici, sopra i quali interviene un po’ a capocchia la rutilante e logorroica batteria.  Un disco che a dire il vero suona un po’ gratuito e buttato lì, senza un’idea forte che lo sorregga.

La classicissima montagna ha partorito uno scontato topolino…


SÃO PAULO UNDERGROUND, Cantos Invisiveis

Migliorano, e moltissimo davvero, le cose col disco dei São Paulo Underground di Robert Mazurek, poliedrico trombettista e compositore di Chicago, che abbiamo già amato nelle sue diverse vesti: Chicago Underground (Duo, Trio, Quartet), Isotope 217, Exploding Star Orchestra, fiancheggiatore dei Tortoise, vera e propria testa in fiamme del jazz creativo americano.

São Paulo Underground è il progetto brasiliano di Rob e Cantos Invisiveis è il suo sesto disco con esso: un centro pienissimo, sin dalla bella copertina, opera di Damon Locks degli Eternals. Un arsenale di strumenti tra cui spiccano diversi synth, percussioni etniche, un cavaquinho (cordofono brasiliano), una rabeca (violino tipico del Nord Est brasiliano, fucina di musiche spettacolari come il maracatu pernambucano) e un massiccio ma mai invadente uso dell’elettronica che contribuisce alla creazione di veri e propri mondi sonori, come fossimo in un film di fantascienza dei primordi, tipo “Forbidden Planet”.

Lo stesso spirito pioneristico di Sun Ra anima queste composizioni: da “Estrada Para O Oeste” (un sapido trip di quasi quattordici minuti, dove una linea sorniona di tastiera fa spazio a un ostinato di basso), si parte per Marte ed oltre a alla fine ci si ritrova nella selva con gli indigeni alieni; in “Cambodian Street Carnival”, nomen omen, l’atmosfera è invece quella gioiosa ed esotica di una festa asiatica, e si ritorna con le orecchie e la mente alle indimenticate atmosfere del bellissimo Kingdom Of Champa del sassofonista Michael Blake.

Come da titolo del disco e del quinto pezzo, i canti invisibili di questo infuocato combo non sono altro che boogie degli angoli perduti, e in “Fire And Chime” ritroviamo il mood dei Chicago Underground, con un bel riffone incalzante e svisate di elettronica dal sapore sempre esplorativo.

E alla fine resta impigliato alle orecchie ancora una volta un senso di meraviglia, per un disco sicuramente più rock e meno jazz che in passato per Mazurek, che a questo giro coi suoi sodali ci propone un fantastico miscuglio di Brasile futuristico (come una Brasilia, la capitale del futuro ideata negli anni Cinquanta, pensata questa volta però per l’anno Tremila), attitudine da jazz spirituale (i suoni della mitologica compilation “Universal Sounds Of America” sono fratelli di quelli contenuti in questo lavoro) ed elettronica space.

Grande è l’attesa per il loro concerto a Mestre al Centro Culturale Candiani di oggi.

Ci vediamo lì?