DROPKICK MURPHYS, Turn Up That Dial

Rispondiamo subito al quesito fondamentale: come suona il nuovo Dropkick Murphys?

Semplice e veloce, esattamente come ci si aspettava dal nuovo album della band, il decimo di una lunga carriera partita nel lontano 1996. Più irlandese che punk, o meglio un punk irlandese nel condividere lo spirito dei padri putativi Pogues, di cui all’inizio i bostoniani rappresentavano l’ibrido con la scena hardcore locale e di cui ora ricordano molto più una versione punk-rock come l’avrebbe intesa Joe Strummer, ma del resto il richiamo ai Clash (sottolineato anche dagli stessi musicisti) balza all’occhio già da quel ghetto blaster che fa tanto “Radio Clash”, “Rock The Casbah” e molto altro ancora. Quindi, sì, è ciò che ci si sarebbe aspettati dai Dropkick Murphys nel 2021, una band capace di suonare il suo punk virato folk e impregnato di tradizione irlandese, con una strizzata d’occhio a band come i Dubliners e (soprattutto) i Wolfe Tones ma trapiantati negli States, di preciso a Boston. Distanti i tempi delle chitarre distorte e la cattiveria che aveva fatto la colonna sonora perfetta per un film come The Departed, ma questo già si sapeva e quindi poco stupisce, figurarsi a pensare ai primi dischi. Soprattutto, non sorprende dopo averli visti usare come cornice per il loro live in quarantena il Fenway Park (per chi non lo sapesse, lo stadio dei Red Sox) e chiamare come ospite tal Bruce Springsteen che con loro aveva già collaborato sul rifacimento di “Rose Tattoo” nel 2013, così a far capire a che livello di popolarità ed accettazione siano arrivati e non da oggi. Piuttosto, meraviglia che questa raccolta, concepita prima della quarantena ma completata in pieno lockdown, ottenga alla perfezione lo scopo finale per cui la band ha inteso farla uscire: un modo per aiutare i fan a dimenticare le difficoltà del periodo ottenendo puro divertimento, senza ovviamente dimenticare quella punta di malinconia tipicamente irlandese qui affidata alla finale “Wish You Were Here” dedicata al padre di Al Barr scomparso di recente. Per il resto, è una festa in leggerezza, tra canti, bevute e qualche alterco immancabile quando si bazzicano certi ambienti, ma non c’è violenza o tensione, solo una manciata di brani che piaceranno ai fan che hanno sempre seguito le vicissitudini e i cambi di umore della formazione, meno a chi si ricorda solo dei primi dischi e non ha mai digerito del tutto lo spostamento degli equilibri interni, ma questo è un discorso fuori tempo massimo, almeno arrivati ad oggi. Quel che interessa è che non si tratta di un disco fiacco o di mestiere, non presenta filler e rispecchia la volontà dei suoi autori, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Niente di più, niente di meno. Questo è quanto.

Tracklist

01. Turn Up That Dial
02. L-EE-B-O-Y
03. Middle Finger
04. Queen of Suffolk County
05. Mick Jones Nicked My Pudding
06. HBDMF
07. Good As Gold
08. Smash Shit Up
09. Chosen Few
10. City By The Sea
11. Wish You Were Here