Drömspell, sciagura a voi

Così recitavano i dodo in marcia verso l’estinzione ne “L’Era Glaciale” (e così si apriva La Semina E Il Raccolto degli Un Quarto Morto), un’asserzione che mi è subito venuta in mente mentre pensavo al titolo per questa intervista con i Drömspell. Barbarie Futura cattura l’attenzione sia per la proposta musicale che per il taglio distopico e disincantato dei testi, rigorosamente in italiano. Mi è sembrato, quindi, opportuno raggiungerli per scoprire qualcosa in più su una band che non si limita a colpire l’ascoltatore con il volume e la distorsione, ma sembra avere le idee ben chiare anche a proposito della nostra società sempre più malata (e non solo a causa della pandemia).

Partiamo dal dubbio esistenziale, ma voi volete più bene ai Motörhead o ai Discharge? A parte gli scherzi, con che musica siete cresciuti e quale è stato il gruppo che vi ha fatto decidere di imbracciare lo strumento?

Kuse (batteria): Sicuramente il punk italiano e scandinavo degli anni Ottanta, con le loro tematiche e la loro attitudine, hanno lasciato il segno nelle nostre vite. Questa ferita comune è il motivo per il quale siamo qui a suonare questa roba. Per noi non è prettamente una questione musicale ma un’esperienza che scuote il nostro essere al mondo, vogliamo che questo caos coinvolga quanti ancora sentono questa cicatrice pulsare nel loro corpo. Noi siamo stati sfregiati da gruppi come Wretched, Discharge e Anti-Cimex in tempi assai lontani, ma non eravamo mai riusciti a creare un gruppo che avesse simili sonorità.

Cosa vi ha spinto ad unire le forze per formare i Drömspell, com’è nata l’idea di fare qualcosa insieme?

Kuse: I Drömspell nascono dalla nostra amicizia, che fin dai primi anni di gioventù è stata alimentata all’interno degli spazi autogestiti romani e nelle trasferte fatte insieme per le iniziative e i concerti in giro per l’Italia. Proveniamo tutti da altre band, ma volevamo davvero dare vita a questo gruppo poiché il genere e quanto orbita intorno ad esso è sempre stato per noi fonte di grande ispirazione.

Da dove viene il nome della band e cosa significa? Ammetto la mia ignoranza in fatto di lingue scandinave ma, vista l’affinità sonora con la Svezia, mi viene da pensare che vada cercata in quei luoghi la sua origine.

Kuse: Esattamente, è un dramma dello svedese Strindberg: “Ett drömspel”. Noi abbiamo storpiato il nome, che di per sé ha già un’ambivalenza particolare, in quanto sta per sogno ed indica anche uno stato allucinatorio angosciante. Abbiamo aggiunto una “L” in più, incorporando anche la parola inglese “spell”. Ci piaceva questo gioco ansiogeno di parole per gli scenari che sprigiona nel momento in cui ti ci soffermi sopra.

Il disco, uscito per Timebomb Records, si presenta con una copertina che riesce a rendere omaggio all’immaginario di riferimento ma ha allo stesso tempo una sua personalità, cattura subito l’attenzione e resta impressa in mente. Come è nata e chi se ne è occupato?

Kuse: Sia io che Valentino smanettiamo con carta e colla. Il collage della copertina è stato fatto da me, per l’inserto interno abbiamo fatto un lato per uno io e Valentino. La grafica della foto e il lettering delle tracce da Claudio. Francesca Luffarelli, invece, è stata così gentile da farci la foto. Per la copertina volevo rappresentare il sospiro della morte che s’innalza dalle macerie indistinguibili del tempo, sotto una pioggia di monitor che non trasmettono niente e non possono più nascondere il buio che avanza. Un sentiero vuoto tra le rovine. Volevo che la confusione e la disperazione, la frenesia per la salvezza, rendessero difficile distinguere le figure vive da quelle morte.

Abbiamo già nominato Motörhead, Discharge, Scandinavia per tracciare le vostre coordinate sonore, eppure avete scelto di cantare in italiano. Quanta importanza hanno per voi i testi e il fatto di arrivare a chi vi ascolta?

Kuse: Il messaggio è cruciale! Già con la nostra prima cassetta abbiamo fatto uscire un piccolo comunicato, una specie di dichiarazione d’intenti oltre ai testi delle canzoni presenti. Abbiamo stampato una ‘zine in occasione dei nostri primi live, sulla quale – oltre ad alcune nostre riflessioni – erano riportati i testi in maniera tale che fosse possibile, per chi volesse, comprendere le nostre parole. Sempre, come per gli inserti del vinile, vicino ad ogni testo è presente una specie di riassunto in inglese che rende l’idea del concetto affrontato. I testi parlano del tormento interiore e della condizione psicologica che sperimentiamo nella quotidianità e nei rapporti sociali, altri parlano degli orrori compiuti dagli uomini, guerra e devastazione del pianeta… è sempre più difficile tracciare una linea di confine tra questi argomenti. Questa matassa merdosa nella quale viviamo ogni giorno è composta da crudeltà e opportunismo, i testi cercano di metterlo a fuoco.

A questo punto pariamo della vostra visione della società attuale, che se possibile ha superato qualsiasi scenario distopico descritto dai gruppi crust nel secolo scorso. Credete ci sia ancora una minima possibilità di fermare la corsa verso l’estinzione? Avete ancora qualche speranza nel futuro?

Kuse: Crediamo che questa situazione abbia costretto anche i più ottusi ad alcune riflessioni relative all’andazzo generale, al nostro rapporto con gli altri e con il pianeta. Possiamo vedere quanto in realtà per molti sia più facile produrre ed elaborare teorie che possano mitigare la brutalità e la mancanza di senso dei tempi che stiamo vivendo. D’altronde anche queste visioni del mondo hanno la funzione di alleggerire l’insopportabile peso di essere degli individui che possono disporre delle proprie facoltà e fare le proprie scelte. C’è un non so che di confortante nell’essere privato giorno dopo giorno di ogni prospettiva e coltivare solo la propria distruttività. La nostra società è piena di monumenti a questa rinuncia. Crediamo che ogni possibile soluzione non sia più nella speranza ma nell’impegno, che niente di diverso possa provenire da ciò che non sia guardare negli occhi questo collasso che permea ogni aspetto del presente. Per noi è importante che ci sia una zona di confronto, un messaggio che sia l’interruzione di questo abisso. Non crediamo che ci sia un freno a questa corsa verso la fine, ma conosciamo l’importanza che ha per noi arrivarci insieme.

A piovere sul bagnato, ci si è messa pure la pandemia, che anziché servire da spunto per un ripensamento delle nostre politiche globali, mi sembra aver spinto ancora di più la gente verso l’egoismo, l’intolleranza, il prevalere delle ragioni economiche su quelle sociali. Insomma, non credo che ne usciremo migliori, convenite?

Valentino (voce): La società non ne uscirà migliore, non ne uscirà migliore il rispetto dei diritti individuali, ma questo a mio modo di vedere fa parte di una tendenza indipendente dalla pandemia; quest’ultima ha forse solo accelerato i tempi, ha offerto allo Stato una situazione ideale in cui mettere in atto misure stringenti sul controllo della vita privata, sempre più militarizzata e sacrificata all’economia parassitaria. Prove generali di dittatura, anche se è chiaro che viviamo in un regime che solo di facciata si professa democratico. Basti come dimostrazione il modo in cui persone vengono imprigionate praticamente senza aver commesso reati di sorta, solo per il loro antagonismo. Senz’altro siamo di fronte ad un evento globale che segnerà un prima e un dopo, sull’esempio paradigmatico dell’attentato dell’11 settembre. Non perdiamo speranza e fiducia solo per non abbandonarci ad una sterile rassegnazione, ancora oggi si può e si deve fare qualcosa, ognuno a modo suo nel proprio piccolo, anche soltanto immaginare in termini pratici un mondo diverso.

Nel caso di chi ha sempre associato l’immagine di un concerto con quella di corpi ammassati e tuffi dal palco, abbracci e sudore, si preannunciano difficoltà ancora maggiori nel tornare ad una situazione di normalità. Vi siete posti il problema di come presentare il vostro disco dal vivo e quali alternative possano esistere oltre al semplice “far passare la nottata”?

Valentino: Certamente ci siamo posti questo problema. Dato che il disco è uscito a metà ottobre 2020 siamo stati in dubbio fino all’ultimo sull’organizzare un eventuale piccolo tour in Italia, in concerti con poche persone, ma pensiamo che suonare in pubblico ad oggi sia piuttosto irresponsabile. Non amiamo le restrizioni imposte alla popolazione ma non siamo neanche per ignorare il problema che rappresenterebbe un boom dei contagi.

Alleggeriamo sul finale se no sembra che voglio descrivervi come un gruppo di nichilisti in attesa della fine del mondo, qualcosa mi dice che avete anche un lato cazzaro e che alle vostre prove/trasferte le gag non manchino. Confermate o negate ogni addebito? Ovviamente, in caso affermativo, attendiamo qualche dettaglio in merito.

Valentino: Siamo amici di vecchia data e quando ci ritroviamo insieme perdiamo facilmente il senso della misura. Ricordo che Leonardo mandò a fanculo in modo clamoroso un crucco colpevole solo di avergli fatto i complimenti, per poi scoppiare in una risata o quando, sempre Leonardo, andò in giro con le mutande bucate. Quando cagammo tutti e 5 contemporaneamente in autogrill ascoltando i Blind Guardian. Potrei raccontarti un milione di aneddoti e non ti nascondo che questa bella chimica è uno dei motivi per cui tengo tanto a questo gruppo. Tra di noi, come già detto, ne combiniamo di tutti i colori, scorribande negli autogrill, scritte, giochi con la merda, ultravandalismo. Ma ci teniamo a non buttare in caciara cose importanti.

Intorno a noi, soprattutto sui social, vediamo che l’hardcore punk è una barzelletta e non ci stiamo. Personalmente questa simpatia ostentata, sto volemose bene da spaghetti punk fatto da gente che neanche ti degna di uno sguardo o un saluto dal vivo, questa voglia di strapparti un like, non ha niente a che vedere con quel che siamo o dovremmo essere, al di là dell’assunto semplice che la realtà non è Facebook. Il nodo cruciale secondo me è il voler creare qualcosa di diverso dalla società in cui viviamo, odiare questo mondo e darsi come regola il non ripeterne gli errori, il non emularne i sistemi. Quello che cerco dal punk, dischi, ‘zine o concerti che siano, è rabbia e un barlume di intelligenza, non materassini gonfiabili e false amicizie in cui il collante principale è il bisogno di un cartonato umano con cui ubriacarsi. Lungi da me rendere al contrario tutto un’austera e sobria rappresentazione, ma neanche la pagliacciata svilente a cui assistiamo. Gruppi di hipster col marsupio a tracolla che neanche conoscono la musica che fanno e non si sognano lontanamente di portare un messaggio cosciente farebbero meglio a dedicarsi ad altri generi, una volta era così, ma la moda dice ancora hardcore e gag. Una gag in cui ci stiamo dissolvendo. Nella sovranità del riso è il nostro sorriso isterico che ci seppellirà.

In attesa di vedervi sul palco, vi saluto e vi ringrazio per il vostro tempo, a voi le conclusioni…

Kuse: “Speriamo” che questo nostro lp sia di conforto per quelle entità sovversive che soffrono del nostro stesso male. Abbiamo visto negli ultimi tempi un revival del “raw” punk che ha provato subdolamente a svuotare questi suoni da ogni concetto, renderla un’altra proposta commerciale usa e getta da club alla moda. Speriamo che non solo il nostro lp e le nostre ‘zine, ma il nostro impegno come persone e le nostre scelte possano fare da collante e dare il messaggio che c’è ancora molto per cui combattere.