DOGS FOR BREAKFAST, The Sun Left These Places

Dogs For Breakfast

Tornano alla carica I Dogs For Breakfast e colpiscono duro. Rispetto al debutto hanno in parte aggiustato il tiro e mutato pelle, ma non hanno perso per strada la voglia di far male e lasciare profonde ferite. Il nucleo del suono del nuovo The Sun Left These Places, o almeno quello che apre il nuovo parto della band cuneese, potrebbe definirsi come una potente miscela a base noise in odor di grande mela e postcore metallico evoluto, una sorta di matrimonio incestuoso tra Unsane e Burnt By The Sun, cui non mancano una buona personalità e un tiro devastante, soprattutto per la capacità di estrarre dai propri punti di riferimento gli elementi più deflagranti e dolorosi. Tutto ciò significa: riffing affilato e tagliente, continui cambi di tempo e stacchi in grado di donare ai brani una struttura mai troppo lineare, ma senza rinunciare ad una scrittura asciutta e mai troppo arzigogolata. A questo si affianca l’abilità nell’aprire improvvisi squarci nel tessuto sonoro, momenti in cui le acque tumultuose si calmano e lasciano intravedere lo scheletro della costruzione, un procedimento che segna l’intero lavoro ma esplode in tutta la sua forza verso la fine del disco, come all’interno di “Tsaatan”, vero e proprio mostro cigolante e rugginoso, sorta di Golem post-industriale, oppure nelle successive “Red Flowers” e “Pull The Plug”. Punto di forza del disco è proprio questa voglia di rimettersi continuamente in gioco senza perdere coesione e risultare troppo frammentari, quel che basta a riprendere energia e variare il percorso senza abbassare mai troppo la guardia. Giusto un attimo prima del gran finale, una feroce rasoiata che va a chiudere il cerchio e ribadisce come, in fondo, sempre di rumore e follia si tratta, di disagio provocato dal cemento e dalle lamiere, di rivolta contro al macchina e battaglie del quotidiano. Bentrovati.