DIVUS, Divus 3
Esterno notte in un futuro indecifrabile più che distopico, davanti a noi lo skyline di una metropoli X, postetnica: si sente l’invito alla preghiera di un muezzin, sax ed elettronica che si frantumano l’uno addosso all’altra, il primo che avvicenda noise a venature blues, melodico e ritmico insieme o in maniera alternata, la seconda che ci avvinghia con le basse frequenze e crea intercapedini di suono, increspature, elargisce scampoli di techno e mareggiate dark ambient: è il ritorno dell’accoppiata Lamanna-Mai per il terzo capitolo del progetto Divus. Pubblicato stavolta dalla Subsound Records – laddove dei primi due episodi si era occupato Onga con la sua Boring Machines – il disco si rivela se possibile ancora più convincente rispetto ai precedenti del sodalizio fra il producer techno e il sassofonista degli Zu, continuando sulla via del connubio fra atmosfere da pellicola noir e scenari futuribili, una sorta di elegia strumentale fumosa e nerissima in sette brani contrassegnati solo da una lettera, quella della facciata, e dal numero della traccia: ogni titolo potrebbe risultare superfluo con una sceneggiatura assai ben congegnata.