DiscoVery #1

Un primo sguardo ad alcune tra le più interessanti ristampe di colonne sonore uscite nel corso degli ultimi mesi. Opere più o meno memorabili conosciute dal grande pubblico, firmate da intramontabili maestri italiani e prestate con successo alla settima arte, non necessariamente legate a doppio filo al solo cinema dei cosiddetti “mondi neri”, in auge persino al botteghino alcuni decenni fa.

PIERO PICCIONI, Le Streghe (2018, Digitmovies Alternative Entertainment)

Piccioni - Le Streghe

Film a episodi, diretti da Luchino Visconti, Mauro Bolognini, Pier Paolo Pasolini, Franco Rossi e Vittorio De Sica, “Le Streghe” (1967) è, soprattutto, un omaggio del produttore Dino De Laurentiis a sua moglie, Silvana Mangano, presente in ciascuno dei cinque segmenti che sono in bilico tra commedia e grottesco. Un’analisi dell’essere attrice, tra finzione e realtà, al netto delle debolezze e dei trucchi. La meschinità dell’uomo contemporaneo contrastata da una donna prossima all’emancipazione. La ricerca della moglie e madre ideale da parte di un padre e di un figlio in un imprecisato e bizzarro futuro. Gelosie, tradimenti e vendette trattati in modo leggero. Una compagna stanca e annoiata immortalata nel quadro di una latente crisi di coppia. Un progetto ambizioso se paragonato ai coevi del cinema italiano degli anni Sessanta, a fronte di un cast che annoverava, in ordine di apparizione sullo schermo, Annie Girardot, Clara Calamai, Massimo Girotti, Alberto Sordi, Totò, Ninetto Davoli e Clint Eastwood. Divi italiani e stranieri utili per un facile successo al botteghino.

Due dei cinque episodi della pellicola sono legati a doppio filo ad alcuni dei temi più raffinati di Piero Piccioni. I correlati “Shake” e “Love Theme”, ad esempio, sono al centro della vicenda de “La Strega Bruciata Viva” di Luchino Visconti. Il primo tanto elegante quanto malizioso ballabile per batteria, chitarra, fiati, organo e pianoforte, facile da assorbire, ripreso e variato più volte a seconda delle alterne vicende della protagonista. Il secondo, delicato, lento e sospeso, ai limiti del sacro per arpa, celesta, contrabbasso, flauto e vibrafono, praticamente, una carezza chill-out ante litteram. Per l’episodio di Vittorio De Sica, “Una Sera Le Come Altre”, il compositore romano ha scritto, invece, un romantico tema d’amore: “Waltz”. Come d’incanto, lo scorrere del tempo si cristallizza per brevi ma intensi minuti. La marcetta per trombone, Fancy March, un buffo divertissement da affiancare alla spensierata “Gogo Girls Choir”, con il contributo vocale de I Cantori Moderni Di Alessandroni, e “Cha-Chat Beat – Long Version”, con la sezione fiati in gran spolvero. Differenti evasioni dalla realtà.

ENNIO MORRICONE, Grazie Zia (2018, Transversales Disques)

Morricone - Grazie Zia

Un titolo dagli inevitabili rimandi erotici cela, in realtà, una trama meno pruriginosa e più drammatica, fondata su un rapporto torbido e destinato all’autodistruzione. “Grazie Zia” (1968), prima pellicola del regista Salvatore Samperi, è un esempio di cinema “arrabbiato” ancora in bianco e nero, sulla scia del celebre “I Pugni In Tasca” (1965) di Marco Bellocchio. Alvise (Lou Castel) è il rampollo di una famiglia di industriali di provincia. I genitori, in partenza per Hong Kong, lo affidano a Lea (Lisa Gastoni), attraente zia che esercita la professione di medico e che, da anni, ha una relazione con Stefano (Gabriele Ferzetti), un vanitoso intellettuale di sinistra. Il giovane rifiuta di seguire le orme del padre, rigetta il ruolo prestabilito e finge una paralisi alle gambe. Una singolare forma di protesta contro la società borghese. Durante la loro convivenza in un’isolata villa di campagna, la donna sarà tanto attratta dal nipote quanto esasperata dai suoi comportamenti imprevedibili (destinati a non dare completezza all’insana liaison), che culminano con la richiesta di un’iniezione letale.

Sullo sfondo, l’inizio delle contestazioni giovanili le cui immagini, spesso, ricorrono tra un fotogramma e l’altro, a partire dal loro evento scatenante, la guerra del Vietnam. Il film fu persino selezionato dalla giuria del Festival di Cannes, ma la kermesse, in programma durante il celebre Maggio Francese, restò un’incompiuta, interrotta dall’ondata di proteste degli studenti. Gli organizzatori furono costretti a interrompere la manifestazione, senza assegnare i premi. Un coevo senso di ribellione tout court è raccontato tra le pieghe della sceneggiatura di Sergio Bazzini e Pier Luigi Murgia, complice la vicenda parallela di un amore proibito tra consanguinei, manifestato però senza alcun rapporto sessuale, utile a smascherare le ipocrisie e gli stereotipi della vita borghese di cinquant’anni fa.

La colonna sonora di “Grazie Zia” è tra quelle più singolari di sempre dello sconfinato repertorio di Ennio Morricone, con cinquecento titoli all’attivo, il cui tema “Guerra E Pace, Pollo E Brace”, declinato in numerose varianti, colpisce non solo per le percussioni. Il coro di bambini di Renata Cortiglione, testi surreali, le musiche grottesche. L’innocenza dei più giovani e una certa ironia le diverse e possibili chiavi d’interpretazione in merito alle scelte artistiche adottate, volte a rimarcare sia il trauma vissuto dal giovane e dispettoso protagonista che i bizzarri esiti della sua convivenza con la zia, pronta a cedere alle sue avance. Un mood scanzonato è ripreso con successo anche in “Fratello Biondo”, mentre in “Grazie Zia” emergono le prime inquietudini – o vere e proprie note della paura – del lavoro, per una pellicola di difficile collocazione tra i generi cinematografici. Carillon da brividi, echi di dissonanze, vocalizzi femminili. “Amore Col Cuore” ne ripropone il canovaccio compositivo, con enfasi sulle tastiere. “La Guerra, La Pace” è, invece, l’ennesimo frammento vocale scorporato dal tema portante, da cui sono estratte anche “Guerra E Pace, Pollo E Brace (Marcetta #1)”, “Guerra E Pace, Pollo E Brace (Marcetta #2)” e “Guerra E Pace, Pollo E Brace (Marcetta #3)”. Tra accordi di chitarra e rulli di tamburi militari.

BRUNO NICOLAI, Indio Black (Adiós Sabata) (2018, Dagored)

BRUNO NICOLAI, Indio Black

Sabata è uno dei pistoleri del western all’italiana. Un personaggio ideato dal regista e sceneggiatore Gianfranco Parolini per il suo “Ehi Amico… C’È Sabata. Hai Chiuso!” (1969), il cui nome è, però, associato ad altri film slegati dal seguito “È Tornato Sabata… Hai Chiuso Un’Altra Volta!” (1970). Un “tradizionale” recupero apocrifo per provare a catturare l’attenzione degli spettatori. Non a caso, il protagonista di “Indio Black, Sai Che Ti Dico: Sei Un Gran Figlio Di…” (1970), diretto dal medesimo cineasta ma con differente titolo, fu ribattezzato “Sabata” in gran parte del mondo. I “gringo” Indio Black (Yul Brynner), dall’insolito fucile con impugnatura ‘ad armonica’, Ballantine (Dean Reed) e la banda di picari di Escudo (Ignazio Spalla) sono assoldati dai ribelli messicani, capeggiati da Ocaño (Franco Fantasia) per impadronirsi di un carico d’oro, utile per acquistare armi da impiegare durante la resistenza locale nei confronti dell’imperatore austriaco Massimiliano. Il maggiore Metternich (Antonio Gradoli) proverà a tendere un tranello al gruppo, ma anche il suo forte cadrà.

Bruno Nicolai fa, invece, proprio il dettato morriconiano già utilizzato per musicare i capolavori western di Sergio Leone. Il Main Theme è, infatti, una godibile cavalcata fondata su un arpeggio di chitarra classica e il successivo contributo di archi, assoli di chitarra elettrica, coro de I Cantori Moderni Di Alessandroni, dolce fischio dello stesso Alessandro Alessandroni e una conclusione trionfalistica. Il tema, ripetuto numerose volte con l’aggiunta di pianoforte, oboe e tromba per accompagnare le vicende del protagonista sul grande schermo, è alternato al rullo di tamburi di “The Big Fight”, all’interludio colmo di tensione quale “Suspence Sequence” e, soprattutto, alle distorsioni di “Action Sequence”, con taluni frangenti sonori, probabilmente, su misura anche per le atmosfere rarefatte di qualche giallo-thriller tricolore. Le variazioni del tema portante sono, inoltre, come agganciate ad altri brani quali “End Theme”, “Pastorale” e “Deguello”, con il recupero dell’immancabile carillon e di melodie etniche, poi esplicate anche con toni più spensierati in “Mariachi” e “Mariachi 2”.

RIZ ORTOLANI, The Etruscan Kills Again (2018, Arrow)

RIZ ORTOLANI - The Etruscan Kills Again

Jason Porter (Alex Cord) individua la tomba di Tuchulcha, il dio etrusco della morte, in una necropoli nelle vicinanze di Spoleto. Nella camera funeraria ci sono alcuni affreschi che raffigurano la divinità che uccide una coppia di amanti. È il fascino macabro dell’ambientazione de “L’Etrusco Uccide Ancora” (1972). Alla scoperta dell’archeologo fa seguito un duplice omicidio: vittime due ragazzi intenti ad amoreggiare nei pressi dell’agglomerato di sepolture. È l’inizio di una serie di delitti per mano di un misterioso serial killer, mentre i sospetti della polizia sembrano convergere sull’innocente Jason Porter. Come in numerosi thriller tricolori coevi degli anni Settanta, un violento trauma legato al sesso è la causa scatenante di un’inarrestabile follia omicida, anticipata – in termini di fotogrammi – da brevi flash del volto dipinto del terribile demone dell’antichità, a cui segue un rituale macabro con la disposizione dei cadaveri in ossequio a quanto ritratto sui muri. Un’intuizione di Armando Crispino, quasi a suggerire l’ipotesi di una spiegazione soprannaturale dei vari decessi.

Non c’è solo musica classica, “di repertorio”, a commentare tali strane vicende. Pianoforte, flauto, chitarra e batteria. Semplicità a servizio di nostalgia e romanticismo per una colonna sonora di assoluto rilievo, firmata da Riz Ortolani, già vincitore di un Grammy Award con “More (Theme From Mondo Cane)”, canzone dell’anno nel 1964, per il famoso mondo movie di Gualtiero Iacopetti, poi incisa anche da Frank Sinatra, Nat ‘King’ Cole e altri artisti. Non a caso, “Seq. 1 – Titoli” è un concentrato di bellezza in note, un tema quasi pop, di facile presa sull’ascoltatore e, soprattutto, ideale per introdurlo ad atmosfere più rarefatte, se non ipnotiche. È il caso di “Seq. 2”, incentrata ancora su strumenti a fiato e a percussione che sottolineano una tensione latente destinata a crescere. Dolcissima “Seq. 3”, con gli archi sullo sfondo. In chiaroscuro la più lunga “Seq. 4” che, seppur ridotta all’osso in termini di pentagramma, riesce a instillare un certo sentore di mistero, grazie al contributo dell’oboe. Un suono nel vuoto può risultare più espressivo di un’intera orchestra.

Con alcune variazioni, “Seq. 5” marca la prima ripresa del tema iniziale. Il silenzio torna a essere centrale in “Seq. 6”, supportato dalla chitarra elettrica. “Seq. 7” presenta, invece, un’ulteriore versione del tema principale, affidato proprio all’oboe, pronto a sconfinare in territori più jazz. La spinetta fa capolino in “Seq. 8”, trasformando il solito canovaccio in un segmento ora più malinconico. Antitetiche “Seq. 9” e “Seq. 10”: la prima tesa, la seconda ariosa. “Seq. 11” come sintesi di metà score, tanto frammentata quanto introspettiva, con echi rock. Un parziale riutilizzo del tema è, poi, centrale in “Seq. 12”. Al netto di divagazioni minimaliste, la lunga “Seq. 13” appare su misura per essere sovrapposta a frangenti notturni, su cui fa leva anche “Seq. 17”. Cambia l’ordine degli addendi, ma non il risultato. Delicata “Seq. 14”, fondata su un maggiore ricorso agli archi, in primo piano rispetto al pianoforte, poi dominante in “Seq. 16”. L’approccio lounge di “Seq. 15” è una gradita sorpresa con la quale si prova ad allontanare alcune striscianti paure. “Seq. 18” è la vibrante conclusione. In grande stile.

FRANCO MICALIZZI, «Hold Up», Istantanea Di Una Rapina (2018, Spettro)

MICALIZZI Hold Up

Robert Cunningham (Frederick Stafford) è un ex poliziotto statunitense. Ha perso la memoria nel corso delle indagini su una rapina e si è trasferito a Sanremo con la sua compagna Judy (Nathalie Delon) che, in realtà, è stata ingaggiata dall’unico gangster sopravvissuto, Steve Duncan (Marcel Bozzufi), paradossalmente convinto che l’uomo si finga confuso per godersi la refurtiva. La speranza è poterla recuperare grazie all’aiuto della donna, ma la coppia si spinge a Cannes, continuando a perdere denaro con il gioco d’azzardo. Sull’orlo della disperazione, l’agente in pensione finirà, addirittura, per prendere parte a una rapina presso il casinò locale. Robert Cunningham ricorda, allora, il vero colpevole del colpo in banca: è l’ispettore Mark Gavin (Enrico Maria Salerno), ora pronto ad arrestarlo. “Hold Up, Istantanea Di Una Rapina” (1974) è una piccola coproduzione italo-spagnola, con la regia di Germán Lorente, che non brilla affatto per l’originalità della trama, ma che confonde le idee allo spettatore almeno sino in prossimità del finale rivelatore.

L’elegante score è firmato da Franco Micalizzi ed è fondato sul cadenzato tema “Titoli”. Basso pulsante, clavinet, vocalizzi di Edda Dell’Orso. Il groove del musicista romano declinato nel modo migliore, poi ripreso in “Hold Up (Versione Disco)”, rallentato in “M40” e, con alcune variazioni, in “M40 (Versione Spagnola)”. La vena nostalgica è l’intangibile valore aggiunto. Trascinante il ritmo espresso in “M36/M38/M6/M37/M9”, un’altra dimostrazione muscolare. “M31/M27/M35/M33” un segmento di grande atmosfera, con flauto riverberato. Misteriosa “M13/M14/M8”, che racchiude parte degli elementi più oscuri del blaxploitation sound, con quelli funky destinati a movimentare la più lunga e articolata “M22”. Ariosa e delicata, invece, la sequenza “M26/M7/M5/M16”, per inaspettati momenti di relax, altrettanto espressi dal pianoforte in “M32”, con gli archi in primo piano e vocalizzi femminili sullo sfondo. Un mood “vacanziero” avvolge “NO. 3 (Versione Disco)”, con basso e chitarra all’unisono per imprimere un’ulteriore svolta alla ricca partitura, conclusa in bellezza da “M19/M4”.

GOBLIN, Squadra Antigangsters (2018, AMS)

Squadra Antigangsters

Inseguimenti, scazzottate, battute becere e triviali. La sceneggiatura in odor di poliziesco un puro pretesto narrativo a favore di un intrattenimento in bilico tra commedia e film d’azione. L’ambientazione d’oltreoceano il naturale seguito del precedente “Squadra Antimafia” (1978). Diretto dal solito Bruno Corbucci, “Squadra Antigangsters” (1979), è il quinto capitolo delle avventure del commissario Nico Giraldi (Tomás Milián), stavolta al servizio dell’Interpol come infiltrato in una gang che pratica l’usura e gestisce il denaro sporco negli Stati Uniti. Una volta a New York, incontra l’amico Salvatore Esposito (Enzo Cannavale), che ha tentato la fortuna aprendo un ristorante a Little Italy, indebitandosi, però, con la malavita italo-americana. Per aiutarlo è, quindi, costretto a mettersi in contatto con Maria Sole Giarra (Margherita Fumero), sgraziata figlia di un defunto boss, che ha sempre nutrito un certo debole per lui, e a coinvolgere la sexy ballerina Fiona Strike (Asha Puthli), agente FBI sotto copertura, per inchiodare definitivamente gli strozzini.

Orfani di Massimo Morante, che ha abbandonato la band per una carriera solista, i Goblin accolgono in formazione il cugino di Agostino Marangolo: Carlo Pennisi. Quest’ultimo, dopo la buona prova per i brani di Amo Non Amo (1979), è infatti confermato per quelli di Squadra Antigangsters, al cui progetto partecipa anche Antonio Marangolo, il fratello del batterista, con il suo sassofono. È, inoltre, l’ultima colonna sonora di Claudio Simonetti con la band, prima della sua definitiva svolta disco (si spinegerà oltre il trio Easy Going, adottando i moniker Capricorn e Kasso). Dopo i fasti thriller e horror di Profondo Rosso (1975) e Suspiria (1977), all’apice del sodalizio artistico con Dario Argento, il gruppo si confronta sia con partiture da realizzare per film più leggeri, sia con temi d’amore o comici, sia con l’esecuzione di quelle scritte, ad esempio, da Stelvio Cipriani, per “Solamente Nero” (1978) e “Incubo Sulla Città Contaminata” (1980). Sfide a cui erano abituati già da alcuni anni Fabio Pignatelli e soci, vincolati dal contratto con la Cinevox.

Non a caso, “The Whip” e “The Sound Of Money” sono canzoni imbevute dello zeitgeist soul dell’epoca, cantate da Asha Puthli, ma utilizzate nel corso della pellicola solo in chiave strumentale. Una terza, “Welcome To The Boogie”, dai rimandi più funk, è affidata all’ugola di Charlie Cannon, ex componente dei Four Kents e già apprezzato corista per altri score. “Banoon” è, invece, il primo brano dei soli Goblin ai limiti del reggae, con un ottimo motivo eseguito dalla chitarra elettrica. Se “Disco China” recupera ulteriori stilemi disco e “Stunt Cars” offre arpeggi in stile country, se non western, per un inseguimento automobilistico, “Sicilian Samba” garantisce tre minuti di inatteso relax, dall’apprezzabile contributo della tromba. “Trumpet’s Flight” la vera gemma, con fughe di tastiere e chitarra elettrica in gran spolvero, più la tromba in sordina del non accreditato Oscar Valdambrini. Antitetiche “Squadra Antigangsters” e “Squadra Antigangsters (Movie Take 2)”: la prima spettrale esecuzione alle tastiere, la seconda tutta stacchi e percussioni per commentare una rissa in un bar.

PIERO UMILIANI, Bollenti Spiriti (2018, Cinedelic Records)

“Bollenti Spiriti” (1981) di Giorgio Capitani è la classica commedia degli equivoci che diverte senza volgarità. Film dalla sceneggiatura prevedibile, in scia al simile “Mia Moglie È Una Strega” (1980) di Castellano e Pipolo, ma ben calibrato sui due protagonisti Giovanni Degli Uberti e Marta, cioè Johnny Dorelli e Gloria Guida, destinati tra l’altro a convolare a nozze dopo il primo film realizzato insieme.

Un nobile squattrinato è assalito dai creditori. Vittorio (Alessandro Haber), il suo avvocato, può fare poco. Un colpo di fortuna risolleva, all’improvviso, le sorti del conte: ha ereditato un magnifico castello da uno zio defunto. Un’immobiliare svizzera è pronta a rilevarlo al fine di trasformarlo in un albergo. Giovanni Degli Uberti non è, però, l’unico erede: l’infermiera che ha curato lo zio negli ultimi tempi ha ricevuto una percentuale della proprietà, infestata, tra l’altro, dal fantasma di Guiscardo, antenato condannato a vagare tra le sue stanze finché non riuscirà a fare l’amore con una donna. Cliché abilmente riciclato da Bruno Corbucci per il successivo “La Casa Stregata” (1982).

Così come il jazz scelto da Piero Umiliani quale genere su cui fondare l’intera partitura, di gran pregio, tra le ultime composte nel corso di una lunga carriera al servizio della settima arte. Il genio e, soprattutto, l’esperienza del musicista toscano sono riscontrabili tra le pieghe della colonna sonora sin dalla frizzante “Sophisticated Comedy (Titoli Di Testa)”, a cui segue “Romantic Piano2”, con una vena quasi malinconica. Chitarra elettrica mai invasiva, basso pulsante e batteria sullo sfondo: “Funny Ghost” è una ripresa in chiave funky del tema principale, poi riarrangiato in “Society Life” senza mai rinunciare a un certo groove, dominante in “Slapstick”. Solare “California Mood”, con la sezione fiati in primo piano, una circostanza ripetuta per “Too Much Funk”. Se i rimandi di un passato jazz mai sopito riaffiorano copiosi in “Dixie Time” e “Sweet And Warm”, la tradizionale ironia in note del compositore si spinge oltre il mero esercizio di stile quale “Old Fashioned Tango”, più ballabile dell’interludio “Hammond Quotation”. Una pausa romantica prima della spumeggiante Final Kiss.

FRANCESCO DE MASI, Fuga Dal Bronx (2018, Death Waltz Recording)

FRANCESCO DE MASI Fuga Dal Bronx

Uno dei titoli cult del post-apocalittico all’italiana. “Fuga Dal Bronx” (1983) è il seguito di “1990 – I Guerrieri Del Bronx” (1982). Medesimo lo scenario distopico, così come l’occhio dietro la cinepresa di Enzo G. Castellari. Soggetto povero, dai contorni pessimistici, al limite dello splatter. Il celebre quartiere di New York è ancora soggiogato da bande di teppisti, schierate contro la Manhattan Corporation, che intende trasformare l’area in un complesso commerciale e residenziale. Trash (Mark Gregory) è il leader di una delle gang. Il giovane proverà a convincere gli abitanti a non abbandonare le loro case, accettando un’offerta di una “ricollocazione” in New Mexico, nonostante il sopraggiungere di un battaglione di “sterminatori”, ufficialmente incaricati di bonificare la zona da eventuali malattie, guidati da Floyd Wangler (Henry Silva). Il rapimento del presidente della multinazionale immobiliare, il signor Clarke (Enio Girolami), la leva da azionare per l’avvio di trattative con la controparte, pronta a combattere la resistenza attraverso il ricorso ad armi chimiche.

Magistrale la colonna sonora a cura di Francesco De Masi. Una partitura splendidamente orchestrata, senza rinunciare a influenze tipicamente anni Ottanta, a partire proprio da “Sequence 1”, il tema portante. Archi, chitarre elettriche, percussioni, tastiere e quel mood quasi codificato, tipico di un’ambientazione futuristica. Grande suspence durante la prima parte di “Sequence 2, 3”, più ottimistica la seconda, con l’ausilio della tromba. Di gran pregio l’ assolo di sassofono. “Sequence 4” recupera il tema principale, avvolto dal solito alone di polvere e piombo, con un seguito più delicato, ancora in chiave jazz, con un picco finale di pura tensione. “Sequence 5, 6” mette in mostra come strumentazioni elettroniche possano convivere al meglio con quelle classiche. In “Sequence 7, 8, 9” emerge dapprima il lato più melodico dello score, poi quello notturno, con i fiati al centro delle composizioni. Un tratto comune con un’altra brillante soundtrack per il cinema dei “mondi neri” firmata dal compositore romano, quella de “Lo Squartatore Di New York” (1982) di Lucio Fulci.

“Sequence 10, 11, 12” è suddivisa in tre brevi frammenti, utili per commentare momenti di stallo o di azione della pellicola, complice un parziale riutilizzo del tema principale, velocizzato con l’aggiunta di nuovi archi. Ellittica “Sequence 14”, mentre “Sequence 15, 16, 17” offre un’ulteriore summa dell’atmosfera tesa ideata dal maestro. È un sound che, a turno, fa affidamento su uno o più strumenti: è il caso, ad esempio, di “Sequence 18”, fondato sul riff di chitarra elettrica. I frammenti raccolti in “Sequence 19, 21, 22” continuano sulla medesima falsariga, stavolta ponendo in maggiore evidenza il basso, per una manciata di minuti più rock. “Sequence 23, 24” è, invece, fumosa quanto basta per essere sovrapposta alle immagini di una metropoli dormiente. Se un brano come “Sequence 25” non avrebbe sfigurato per un poliziesco o un thriller del decennio precedente, “Sequence 26” alza l’asticella della paura in note. I frammenti presenti in “Sequence 27, 28, 29, 30”, strumentali per calare il sipario sulle vicende di un b-movie gore ammantato di fantascienza. Artigianale, ma di successo.