Deradoorian: molto lontano da qui

Deradoorian – foto di Sean Stout

Angel Deradoorian, in arte semplicemente Deradoorian, è un bel mistero su cui far luce. Il nuovo album Find The Sun, in uscita il 18 settembre via ANTI-, arriva dopo il già sorprendente esordio da solista The Expanding Flower Planet ed è senz’altro uno di quei dischi che ricorderemo a fine anno, come minimo, ma il curriculum della polistrumentista americana vanta altre esperienze prestigiose: dalle militanze ormai archiviate nei Dirty Projectors e negli Avey Tare’s Slasher Flicks alle eclettiche collaborazioni con Flying Lotus, Matmos, The Roots e molti altri.

In Find The Sun la padronanza dei propri mezzi è quanto mai concreta. Deradoorian suona flauti, chitarre, basso e sintetizzatori, oltre a cantare con voce eterea o lanciarsi in semi-spoken ai limiti della possessione ritualistica, affiancata da Samer Ghadry e Dave Harrington nelle esecuzioni e da Sonny DiPerry a livello produttivo. Find The Sun è una meraviglia da godersi in flusso unico, introdotta dal blues in volo di “Red Den”, capace di trasformarsi in atavica filastrocca multiculturale che cita tanto la metropoli di Roma quanto le chiese dell’Armenia, sua terra di origine. Andando avanti, “Corsican Shores” stordisce con innumerevoli ipotesi di ritornelli, “Saturnine Night” è un ipnotico e dilatato mantra di purificazione, “It Was Me” frulla reiterazioni di inquietudine e “Devil’s Market” esalta con orecchiabilità la forza della disciplina nell’era del consumismo. I nove minuti abbondanti di “The Illuminator” coinvolgono poi in un’irresistibile danza pagana, controbilanciata dal folk intimista di “Monk’s Robes”, dalla breve ballata di ninfee “Waterlily”, dagli spettri nell’avvolgente dimensione del sogno di “Mask Of Yesterday” e dal misticismo della conclusiva “Sun”. Abbiamo approfondito con la diretta interessata.

Senza contare l’ep Eternal Recurrence del 2017, Find The Sun è il tuo secondo vero e proprio album a seguire la psichedelia cosmica di The Expanding Flower Planet, pubblicato cinque anni fa: cosa è successo nel frattempo?

Deradoorian: Ho realizzato parecchia musica e sono tornata a New York da Los Angeles. Ho trascorso molto tempo da sola, semplicemente facendo musica, per addentrarmi in una pratica più profonda ed esplorare differenti modalità di inventare le composizioni. Mi sono anche riconnessa alla mia comunità musicale di Brooklyn, ho frequentato alcune residenze musicali e ho lavorato su me stessa. Un bel po’ di roba!

Find The Sun, a dispetto del titolo, suona più cupo del suo predecessore, forse perché tende in maniera trascendente verso la luce e nel mentre, prima di raggiungere l’obiettivo, passa altrove. In “Corsican Shores” canti Searching for the light / Light that never showed e in “Saturnine Night” intoni Purify the shadow of the soulC’è poi una traccia, la più estesa in scaletta, che si chiama “The Illuminator” e “Sun” – alla quale tutto sembra riferirsi – è non a caso posizionata alla fine del viaggio. Potremmo considerare l’album come una specie di concept sulla luce e sull’ombra? Ho letto che i brani sono stati sviluppati durante un’estate sulla spiaggia e lo studio analogico che hai successivamente impiegato si affacciava sull’Oceano Pacifico: il Sole ha addirittura generato le canzoni? 

The Expanding Flower Planet si concentrava sul desiderio di “conoscenza”, sul perseguimento attivo di una fuga dalla mia incoscienza. Find The Sun riguarda il raggiungimento di una soglia di autoconsapevolezza e di esperimento dei doppi effetti di ombra e luce, del dolore e della libertà della “conoscenza”. Il Sole rappresenta la nostra anima, la nostra volontà, la nostra motivazione, la nostra fiducia, il nostro potere. Questi aspetti di noi stessi che ho appena menzionato sono spesso velati dal trauma, dall’ignoranza, dalla svalutazione di sé e dalla cultura. Come è possibile trovare il proprio Sole personale? Detto ciò, sì, c’è sicuramente un gioco di chiaroscuri. Credo che dobbiamo attraversare contrasti estremi di autoriflessione, così come dobbiamo attraversare le nostre convinzioni e i nostri desideri, per rimetterli assieme in una versione più “equilibrata” di chi siamo.

Pratichi meditazione e la tua musica ha sempre avuto una forte connotazione spirituale. Find The Sun suona però anche più crudo, più energico, più percussivo e motorik rispetto al passato. Se The Expanding Flower Planet si soffermava sul potere della mente, questo è senz’altro più fisico. In “It Was Me” ti domandi espressamente: What good is a soul without a body? Tutto appare molto duale, ancora una volta…

Sì, c’è stata una sorta di transizione dalla mente al corpo. Penso tu abbia sviscerato l’evoluzione dei temi di questi dischi. I musicisti lavorano sovente “fuori dal corpo”, divinando “recandosi” nei regni eterici e riportando le loro scoperte a terra. I ballerini sono così dentro ai loro corpi, ed è una sensazione abbastanza estranea per me. Quindi Find The Sun ha a che fare con il disagio della fisicità corporea, la consapevolezza che non potremmo essere in questo mondo senza il nostro corpo e che la più vasta porzione della mente e della coscienza deriva dal corpo. Ho inserito anche il movimento in alcuni dei miei nuovi videoclip per cominciare a superare la mia paura dell’espressione fisica. È molto importante avere una relazione con il proprio sé fisico, ed è qualcosa che sto appena iniziando a sviluppare.

Come hai messo a fuoco le canzoni dalle jam di partenza insieme ai tuoi musicisti?

Ho perfezionato alcune canzoni con i miei colleghi Samer e Dave. È successo in studio, rimpolpando i dettagli e le strutture. In gran parte, il tutto fluiva naturalmente. Diverse altre canzoni, invece, sono state finalizzate in forma e produzione soltanto da me.

L’album, modellato in quattro parti, è stato pensato come un vinile e uscirà infatti in quel formato.

Le persone dovrebbero ascoltare gli album dall’inizio alla fine. È così che sono stati progettati. So che è chiedere tanto oggigiorno, ma non puoi elaborare gran parte del contenuto musicale se lo metti su e vai avanti, incurante, nella tua giornata. I testi di questo album sono piuttosto intensi, c’è molto da digerire. Dal punto di vista sonoro, è bello mettersi ad ascoltarlo sdraiandosi nel buio. Penso che in generale sia un’ottima tipologia di fruizione dei dischi. Ma a ognuno il suo!

Find The Sun è anche “un’espressione della natura non lineare del tempo, dell’idea che non ci sia una versione corrente del proprio Sé”. Ultimamente i paradossi temporali sono gettonati in vari campi artistici: penso a serie televisive come Dark e Tales from the Loop, oppure all’ultimo chiacchieratissimo film di Christopher Nolan, TENET. Ti piace la fantascienza che porta a interrogarsi sul senso dell’esistenza? 

Sì, penso che esperiamo costantemente emozioni ed eventi e ci attacchiamo a questi momenti. Questo tipo di attaccamento può creare una illusoria traccia lineare di auto-evoluzione. Credo che siamo in grado di sperimentare quasi tutto e che potremmo semplicemente accettarlo come tale: un’esperienza. Se non creiamo attaccamenti mentali, abbiamo più libertà di perdonare noi stessi e rimanere aperti a nuove esperienze. Ritengo che possediamo alcune fondamentali caratteristiche animalesche, ma anche che possiamo esaminare quelle parti di noi stessi e come fare per “ricablarle” o per cambiare quel che sentiamo immutabile. Per qualche motivo, però, non sono una grande appassionata di fantascienza. Capisco la filosofia alla base, ma non ho mai provato molta attrazione verso il genere. Forse è perché vivo così tanto nella mia testa che elaboro di continuo i concetti da sola. Ho appena iniziato a guardare Lovecraft Country e mi sta piacendo molto. Un sacco di fantascienza mi fa però uscire di testa, come Black Mirror (se lo consideriamo fantascienza), perché mi lascia addosso una annichilente sensazione di vuoto e paura. Mi piacerebbe scoprire questo genere da adulta e vedere cosa mi sono persa in gioventù. C’è molto da esplorare!

Tra le ispirazioni per questo disco, ci sono Can, Damo Suzuki, Pharoah Sanders e Sun Ra. Aggiungerei una songwriter come Judee Sill. Cosa apprezzi, invece, tra gli artisti contemporanei? Ci sono nuovi dischi che hai ascoltato più di frequente quest’anno, magari durante i lunghi mesi di quarantena?

Amo Room For The Moon di Kate NV (abbiamo anche una band insieme). Patrick Shiroishi fa meravigliosi album sperimentali di sassofono. Apprezzo il duo composto da Amirtha Kidambi e Lea Bertucci, oltre a Ka Baird, Robert Aiki Aubrey Lowe, Greg Fox Quadrinity, PC Worship, la fantastica Rosalía, Lucrecia Dalt, Edan the Deejay. Una delle migliori band che ho visto quest’anno (e in tutta la mia vita) è stata una formazione di cumbia chiamata Son Rompe Pera, a Città del Messico.

A proposito di distanziamento sociale, “Monk’s Robes” – che parla della libertà nella solitudine ma anche del bisogno di integrarsi con gli altri – suona molto attuale. Come sei arrivata ad affrontare l’argomento e come stai vivendo questo controverso periodo storico?

“Monk’s Robes” è una delle canzoni più vecchie, che ho iniziato a sviluppare nel 2017. Riguarda la volontà di fuggire dalla realtà attuale, parlando in generale, e del vivere questa esistenza monastica, appartata, altamente spirituale, che è in definitiva illusoria. Sarebbe una vita molto difficile da vivere, e l’ho percepito in modo rinnovato e diverso proprio durante questa pandemia. Pandemia che, per me, è stata un’esperienza mentale ed emotiva estremamente fluttuante. Gli Stati Uniti stanno attraversando un momento molto spiacevole, triste e stressante, ed è opprimente elaborare tutte le notizie che riceviamo ora dopo ora. Tutto questo ha costretto molti di noi a mettere in discussione le proprie credenze, ciò che rappresentiamo, ciò che combattiamo, come agire, come non agire… Insomma, si tratta di un’enorme quantità di elaborazione. Sto riprendendo i corsi universitari e sto cercando di espandere le mie conoscenze in Storia, Inglese e Filosofia. Mi aiuta a organizzare le mie giornate e aiuta la mia mente a non andare troppo lontano.