THE DEATHTRIP, Deep Drone Master

Deathtrip

Le care, vecchie sicurezze. Il capo della Peaceville di sicuro ha ascoltato ottimi dischi black metal (quelli che ha pubblicato, tipo), ha imparato la lezione, preso la chitarra e messo su un progetto con Bjørn Dencker, cioè Aldrahn dei Dodheimsgard, chiamando poi, dopo anni d’incubazione, un batterista e un bassista in carne ed ossa a completare la band. In cabina di regia, invece, ha voluto Snorre Ruch (Thorns), che sul black metal norvegese è influente quanto Euronymous. Di questo si tratta: prendere la “second wave” (Svart Records, che pubblica Deathtrip, dice Bathory e Celtic Frost, ma forse va un po’ troppo indietro) e riscoprirne la semplicità e le atmosfere, aiutati da un protagonista del periodo, magari all’epoca impegnato a portare un po’ più avanti il discorso, però questa è un’altra storia. Ne esce un disco con dei riff indovinati e grossi, scuri e che tagliano in due l’aria come solo chi ascolta black può capire (e sta già ordinando il disco o ce l’ha già). Su questi riff svetta, intellegibile, la voce di Dencker, che interpreta per la maggior parte dei casi testi scritti da lui stesso, ermetici, legati a trasfigurazione e morte. La band non vuole essere la più veloce (anzi) o la più cattiva, ma cerca di catturare (riprodurre?) un’atmosfera particolare, connaturata al genere, grigia e – non serve essere intelligentissimi – mortifera. I Darkthrone “storici” dicevano che occorreva essere “necro and low”, i Deathtrip sono “necro” e un po’ meno “low”, senza esagerare. Un’operazione apparentemente non nuova, che sembra però ambire a esserlo, effettuata in ogni caso nel migliore dei modi pensabili. Proseguirà?

There’s something growing in the trees
I think it’s a different me
With a spinal cord adapting to anger
Raging in a world of lost commands