DEAD NEANDERTHALS, Craters

Immaginatevi centomila anni fa, entrate in una caverna e, dopo aver percorso chilometri a piedi lungo corridoi umidi e lisci, vi sedete per tre giorni: la luce non esiste e i suoni si riducono al vapore condensato, alla coscienza e alle allucinazioni. Tutto il resto è talmente lontano da non esistere. Per quanto mi riguarda questa recensione potrebbe finire qui, ma aggiungerò dell’altro.

I Dead Neanderthals hanno scelto un approccio ambientale e oscuro allo stesso tempo per il loro ultimo lavoro, Craters. Rudimentale, paranoico e pietroso, questo disco si sfoglia in quaranta minuti senza scavare livelli più o meno profondi. È un solo grande pezzo di roccia sospesa nell’aria. Per gli amanti delle definizioni: ambient drone strumentale atmosferico a dir poco, mistico a dirla tutta. Per iperbole si potrebbe parlare del disco definitivo del genere, contemporaneo nei suoni e nelle registrazioni, massiccio nel master. Lo sviluppo non è cronologico, è più naturale, più vicino al soffio del vento che a una traccia; le variazioni sembrano dipendere dallo stato d’animo, da come la meditazione sta avendo effetto sullo spirito. Un viaggio, insomma, e penso che – dato il nome che si è scelto questo duo olandese – ci troviamo al traguardo, chissà solo se ci sarà una resurrezione…