Daniel “Chewy” Mongrain: natural born Voivod

In occasione del live album in uscita a breve, ho avuto la fortuna di scambiare qualche parola con Daniel Mongrain, chitarrista dei Voivod, musicista affermato (non solo in ambito metal) e insegnante di chitarra jazz al college. Al solito, come da tradizione per la formazione canadese, non è stato difficile entrare in sintonia e l’intervista si è presto trasformata in una piacevole chiacchierata tra appassionati, anche perché entrambi abbiamo cominciato a seguire la band dagli esordi e Daniel prima ancora di entrare nei Voivod ne è stato un die-hard fan per tantissimi anni. In attesa di poterlo nuovamente vedere in azione su di un palco, ecco cosa mi ha raccontato.

Si ringrazia per le foto Benedetta Gaiani – The Hurricane Photography.

Ciao, Dan, come è la situazione da voi in questo momento?

Daniel “Chewy” Mongrain: Un po’ come mi raccontavi che è lì da voi, le regole si sono strette da quando è arrivata la seconda ondata, tutti i concerti sono stati annullati. Come sai, suono anche in varie band locali e tutti i miei spettacoli sono stati cancellati o posticipati. Sono molto fortunato a poter continuare con l’insegnamento al college e con le lezioni private, così ho di che sopravvivere, mentre molti miei colleghi hanno problemi seri ora come ora per la mancanza di tour e i molti locali che stanno chiudendo.

Così, mentre non possiamo vederti di persona, almeno possiamo ascoltare un nuovo live album dei Voivod.

Sì, credo sia il momento adatto per far ricordare a noi e ai nostri fan l’emozione di essere ad un concerto dei Voivod. Siamo molto contenti di come è venuto fuori. Abbiamo fatto alcuni concerti qui in Quebec, in casa, e ne abbiamo registrati alcuni con l’idea che magari nel futuro avremmo realizzato un live album, così da avere la possibilità di utilizzare brani da show differenti. Sono stati registrati da Francis (Perron), che ha mixato The Wake, quindi il suono è davvero buono.

Sì, il suono del disco è davvero ottimo e anche il momento è quello giusto per la band. Io vi ho visto tre volte dal vivo negli ultimi anni: durante il Deathcrusher Tour con Carcass, Napalm Death e Obituary a Bologna, durante il tour di Post Society a Pinarella e, infine, al Frantic Fest vicino Pescara.

Quello è stato davvero un festival fantastico, noi siamo arrivati tra i primi, per cui ci siamo potuti godere tutte le band, è stato davvero incredibile. Le persone sono state veramente accoglienti e carine con noi, è stato tutto grande.

Voi del resto siete una delle band che ha sempre girato per il festival, fermandovi agli stand per guardare i dischi e parlare con le persone. È stato un piacere incontrarvi, perché ogni volta eravate in mezzo alla gente. Mi ricordo che a Bologna te ne stavi tra il pubblico a guardare i Carcass, la vostra attitudine trasmette la sensazione che siete come chi vi ascolta, non delle star…

Be’, io vengo dal loro stesso posto, anche io sono un appassionato di musica e mi piace vedere le altre band suonare. Quando le persone ti si avvicinano durante un concerto perché ti hanno riconosciuto, la maggior parte di loro è davvero gentile, educata, evita di intromettersi nella sfera privata, per cui credo sia molto importante farli sentire a loro agio, entrare in connessione sia che tu suoni in una band o meno, in fondo siamo tutti uguali, siamo tutti umani. I concerti metal sono una celebrazione della musica, di uno stato mentale speciale, è fatta per condividere il momento in cui siamo tutti lì, quindi per me non è mai uno sforzo stare in mezzo alla gente e incontrarla, parlare. Ci piace incontrare persone e chiacchierare, non è come una relazione tra band e fan, ma persone che parlano tra loro.

Lo stesso vale per lo stare sul palco, ogni volta ho avuto l’impressione che voi per primi vi steste divertendo, non sembravate mai una band che stava svolgendo un lavoro. Al Frantic era come se Snake parlasse con ciascuna persona per farla sentire a suo agio, c’era un incredibile scambio di energia.

Ci piace sorridere, ci piace suonare per cui non ha senso fare le facce truci. La musica è seria, i testi sono seri, ma non siamo costretti a prenderci troppo sul serio personalmente.

Questo vostro divertirvi credo si avverta chiaramente e dia vita ad uno scambio di energia con le persone, così da creare una situazione rilassata che aiuta la gente a godersi il concerto. Anche se, a dirla tutta, la vostra musica non è affatto semplice da suonare.

(Risate fragorose) Non lo dire a me…

Be’, è come se tu stessi suonando del semplice rock’n’roll, ma non è così.

Suonare la musica dei Voivod è in realtà una sfida, ma andando in tour ad un certo punto si inseriscono degli automatismi, una sorta di pilota automatico: noi continuiamo ogni volta a sentire la musica mentre suoniamo, ma le dita acquisiscono una sorta di routine, per cui non dobbiamo più stare a guardare gli strumenti o i pedali, ma possiamo concentrarci sugli sguardi delle persone e scambiare con loro energia come ha ben detto prima, una cosa molto importante in un live.

Tu, comunque, riesci a riprodurre parti molto difficili, ricche di passaggi tecnici in modo molto lineare, pulito. Una cosa che ho avvertito sia quando vi ho visto dal vivo che dal nuovo live album. C’è molta tecnica nei Voivod.

Di sicuro è musica che ti mette alla prova, mi fa piacere tu abbia avvertito questo aspetto. Per il disco abbiamo registrato vari concerti, ma alla fine abbiamo scelto di usarne uno solo. Quello che ascolti sul disco è il concerto che abbiamo tenuto a Quebec City, nella nostra provincia, erano presenti nel pubblico molti amici, per cui c’era un vibe molto positivo. Tutti si sono davvero goduti la serata e, quando sono salito sul palco l’ho detto agli altri, abbiamo sentito tutti che era davvero uno show speciale. È davvero raro che io abbia la sensazione con i Voivod di aver suonato un brutto concerto, forse in tredici anni sarà successo due o tre volte, ma questo era davvero perfetto. Il motivo per cui lo abbiamo scelto è che si sentiva davvero bene anche dal palco, il suono era ottimo e la gente stava rispondendo alla grande, per cui era tutto lì, non c’era bisogno di scegliere brani da concerti differenti. Siamo davvero orgogliosi del risultato e di quella performance.

Quando mi è capitato di parlare con le persone dopo i vostri live ho sentito spesso dire “era davvero dura, se non impossibile trovare un sostituto per Piggy, ma Dan è la scelta giusta, forse l’unica possibile”. Mi ha dato l’impressione che i fan dei Voivod ti abbiano davvero dato una chance, che ti abbiano aperto il cuore. Tu, dal canto tuo, sei riuscito a restare fedele al suo stile ma anche ad aggiungere un tocco personale, una cosa che i fan hanno apprezzato.

Sono davvero felice di sentirlo, sono stato fortunato ad avere l’opportunità di imbarcarmi in questa avventura, di poter suonare con la mia band preferita di sempre. Sono un loro fan  da quando avevo undici anni, per cui il vocabolario musicale e l’immaginario dei Voivod sono parte del mio dna da tantissimo tempo. Sono felice perché i fan mi hanno accettato molto velocemente, soprattutto da quando ho ottenuto l’approvazione della famiglia di Piggy. Ho conosciuto la madre, il padre e la sorella di Piggy come sono entrato in formazione, abbiamo suonato nella loro città così li ho potuti incontrare e loro si sono dimostrati subito entusiasti del fatto che la band avesse deciso di continuare a suonare.

Credo che questo sia stato molto importante per te soprattutto come fan.

Sì, quando Piggy ci ha lasciato è stato davvero un dramma per tutti noi, eravamo convinti che i Voivod fossero finiti e che nulla sarebbe stato più lo stesso. Credevo non sarebbero più esistiti e non avrei mai pensato che dopo tre anni sarei stato lì a suonare un tributo alla sua creazione, perché credo che il miglior modo per celebrarlo sia suonare la sua musica.

Oltretutto, siete stati capaci di sperimentare una sorta di seconda giovinezza per la band, perché se Target Earth ha rappresentato una sorta di test, Post Society e The Wake sono qualcosa di completamente nuovo. Sono in tutto dischi dei Voivod ma contengono qualcosa di fresco che la gente sembra aver davvero apprezzato. The Wake ha ottenuto tantissimi riscontri positivi.

Vero, abbiamo ricevuto tantissime reazioni e recensioni positive, abbiamo vinto premi come il Juno Award in Canada, che è una sorta di Grammy, la qual cosa ci ha reso molto orgogliosi perché i ragazzi meritano davvero dei riconoscimenti per una lunghissima carriera, oltre 37 anni. La band è molto importante per la comunità musicale e non parlo solo del metal, perché ha influenzato anche gruppi con un pubblico più vasto come i Foo Fighters e i Ghost. Non includo me stesso nel dirlo, ma parlo della loro importanza come band e del fatto che, dopo tutti questi decenni e l’influenza esercitata sugli altri, stiano raccogliendo riconoscimenti importanti come il Visionary Award del Progressive Music Award di Londra nel 2017 o il Juno. Per noi significa davvero moltissimo, ma quello che conta di più è che i fan siano ancora qui ad ascoltarci e apprezzino le cose nuove, cose che come dicevi hanno anche un che di fresco, perché la band è differente e abbiamo dovuto fare un gran lavoro per imparare a suonare insieme, ma è stato anche divertente e abbiamo avuto un periodo molto bello perché creare insieme è al contempo divertente ed eccitante. Non vedevamo l’ora di andare in studio a registrare e poi partire per il tour. Questo essere entusiasti è la cosa fondamentale, perché è il motivo per cui suoniamo e siamo davvero fortunati ad avere questo team, parlo di tutti noi quattro che andiamo insieme verso la stessa direzione.

Quello che mi ha sorpreso è vedere una buona parte del pubblico durante i concerti reagire con entusiasmo anche ai brani nuovi e considerarli una parte del set vicino ai classici, mentre molte band registrano nuovi dischi che sono più che altro una scusa per andare a suonare dal vivo i loro brani storici.

Lo vedo anche io, la gente apprezza davvero i nuovi brani, avverte che sono onesti e a noi fa davvero piacere perché non siamo costretti a vivere nel passato, possiamo mischiare canzoni nuove e vecchie ed avere così delle scalette interessanti che spaziano su tutta la carriera. È davvero difficile stabilire quali brani mettere in scaletta perché vorrei suonarli tutti.

In effetti, nei tre concerti che ho visto negli ultimi anni c’erano delle piccole differenze nella scaletta, alcuni brani erano presenti al posto di altri. Immagino sia difficile scegliere tra le varie canzoni. E questa è la prossima domanda: come riuscite a scegliere e decidere quali brani suonare concerto dopo concerto?

Ci sono brani che saranno sempre presenti e non saranno mai abbandonati, coma “Voivod”, che sarà sempre presente perché è la prima della fila e urlare “Voivod” tutti insieme è sempre una sensazione fantastica. Una delle canzoni che abbiamo lasciato andare è “Tribal Convictions” che non suoniamo da tre o quattro anni e credo sia una cosa giusta per noi e specialmente per Away e Snake che l’hanno suonata tante volte nel corso degli anni. Negli ultimi concerti siamo tornati a suonarla e ci siamo sentiti bene, per cui magari nel prossimo tour torneremo a proporla, ma è stata una cosa positiva lasciarla riposare per un po’. A volte è per necessità o per lasciare spazio ad altri brani, come nell’ultimo tour, in cui abbiamo inserito un paio di brani da The Outer Limits, “Fix My Heart” e ovviamente “The Lost Machine”. È una nuova era dei Voivod e un differente modo di suonarle, quindi è un qualcosa di fresco anche per noi.

Quindi la prossima volta farete anche qualcosa da Rrröööaaarrr?

Perché no? Abbiamo suonato per un po’ “Korgull The Exterminator”, ma si può fare ancora.

Sai, negli anni Ottanta avevo una ‘zine chiamata Rrröööaaarrr come il disco, una di quelle ‘zine crossover con metal e hardcore, perché in fondo il disco era metal ma non del tutto, era un album che rompeva alcuni schemi.

(ride) Sì, capisco cosa intendi. Credo sia un gran nome per una ‘zine.

La cosa buffa è che ora uno dei brani che la gente si aspetta è “Astronomy Domine”. Anche se non è un brano dei Voivod, è comunque diventato oggi un classico per la band.

Sì, a volte la suoniamo e a volte non la facciamo, credo che abbiamo smesso di farla negli ultimi tour ma la teniamo come secondo bis. A volte ci stanchiamo di suonarla, a volte la ritiriamo fuori. Ci fa piacere assecondare i fan e renderli felici, è una sorta di guerra interiore: “Dobbiamo suonarla o meno?”. Dovremmo lasciarla per farne un’altra, magari tirando fuori uno dei brani dei Voivod meno conosciuti, uno di quelli che magari abbiamo provato ma non abbiamo mai proposto dal vivo. Alcuni fan ne sarebbero davvero felici, anche se magari chi ci conosce meno vuole ovviamente sentire “Tribal Convictions” e “Astronomy Domine”. Quindi è sempre una guerra per trovare l’equilibrio giusto, per questo cambiamo spesso la scaletta. Così, tre anni fa avevamo tre scalette diverse per il tour europeo e le scambiavano da un concerto all’altro: avere almeno quattro canzoni differenti da suonare era per noi una cosa positiva.

Anche per non sentirsi ancorati ad una routine.

Esatto, alla fine c’erano alcuni fan che guidavano o volavano da uno show all’altro dello stesso tour per vederci anche tre o quattro volte. Abbiamo fan che sono davvero dentro alla nostra musica e, magari, passavano dalla Polonia, alla Germania, all’Italia e li incontravamo ad ogni show dicendo: “Che ci fate qui, siete matti?”

Perché volevano ascoltare tutti i brani, del resto anche io vi ho visto tre volte di seguito a distanza di poco tempo… Senti, passando ad altro, credi che la tua preparazione jazz e la tua tecnica ti abbiano aiutato ad entrare nel mondo dei Voivod o credi siano due aspetti separati?

Credo sia un insieme, conoscere il tuo strumento a certi livelli ti aiuta di sicuro in tutto ciò che fai, ma ho anche dovuto modificare un po’ il mio modo di suonare, perché i nostri approcci sono differenti. Lui (Piggy, ndr) era più il tipo che bilanciava la sua mano destra sulle corde, aveva un tocco molto delicato, mentre io sono uno da pennata potente, che non è necessariamente un buon modo di suonare. Per questo ho dovuto imparare a stare più rilassato e a fare più attenzione nel limitare il suono, perché se picchi duro è decisamente differente. Diciamo che ora sono a metà strada tra il mio modo di suonare e quello di Piggy, perché siamo molto diversi, quindi tengo la mia personalità soprattutto per i solo e per le mie composizioni, mentre tendo a rispettare il suo sound originale e il suo approccio per i pezzi scritti da lui. Quindi è un mix, ma quando poi sono insieme con gli altri tutto va al suo posto come in un puzzle e ha senso.

Non deve essere facile combinare i due mondi, visto che tu hai suonato anche in altre band come Martyr, Gorguts e Cryptopsy. Quando hai deciso che volevi iniziare a suonare metal e diventare un musicista?

Ho comprato la mia prima chitarra che avevo undici o dodici anni, dopo aver visto o meglio sentito un programma metal su un canale TV disturbato, perché non avevamo i soldi per permetterci la televisione via cavo e quindi riuscivo a vedere questo programma metal in modo molto distorto su una vecchia TV. Una volta hanno trasmesso Celtic Frost, Coroner e Voivod uno dopo l’altro e così ho scoperto queste band, sono diventato un fan dei Coroner e ho imparato a rispettare i Celtic Frost. Ma i Voivod mi hanno completamente sconvolto la mente, perché non avevo mai sentito nulla di simile e non sapevo neanche che venissero dal Quebec. Così, quando, per pochi secondi i disturbi sono spariti e ho potuto vedere il video di “Ravenous Medicine” con tutti questi disegni assurdi, la chitarra dalla strana forma di Piggy e lo schermo verde, mi sono detto: “Che diavolo sta succedendo?”. Questo è il video che mi ha convinto a comprare una chitarra e cominciare a suonare, perché volevo mettere su una band, la mia band. Così, a quattordici anni ho messo su il mio primo gruppo chiamato Martyr e abbiamo composto le nostre prime canzoni.

Si direbbe che hai un istinto naturale per suonare, visto che non è semplice iniziare così da giovane e fondare una band, soprattutto raggiungere i tuoi risultati, di sicuro predisposizione e doti innate ma immagino anche tanto esercizio e studio.

Di sicuro tantissimo duro lavoro, ore e ore di esercizio, di non uscire e sacrificare la vita sociale per suonare la chitarra.

Hai anche un diploma in composizione, giusto?

In realtà, ho studiato jazz interpretation per chitarra elettrica, non composizione o arrangiamento, ho seguito corsi di armonia, arrangiamento, orchestrazione ma non studi specifici in quei campi, anche se ho delle competenze. La mia laurea triennale è orientata in modo specifico alla chitarra jazz.

Quindi, immagino che come ascoltatore apprezzerai differenti generi musicali…

Ovviamente, amo generi differenti come le musiche da film, la musica classica, la contemporanea, il jazz, il blues, il rock… Ho suonato in band e formazioni molto differenti, ho accompagnato in Quebec anche cantanti pop alla televisione e in studio. Cerco di non strafare, ma mi piace bilanciare e la sfida di provare differenti tipi di estetiche musicali per incorporarle nel mio modo di suonare e di scrivere. È sempre stimolante, come se sei un cuoco in un ristorante e impari a cucinare il pesce, poi la carne e cose differenti, non resti sempre attaccato alle stesse ricette, così io sono molto curioso per quel che riguarda la musica.

Del resto, i Voivod si sono dimostrati in grado di scrivere quella che io definisco una incredibile canzone pop, mi riferisco ovviamente a “The Prow”. Mi sono sempre stupito non fosse finita in hit parade, è semplicemente una hit perfetta e quando la suonate dal vivo la gente impazzisce e comincia a ballare.

È vero, è una delle canzoni dei Voivod più semplici ma funziona alla perfezione, ci dà anche modo di fare una pausa durante il set: “Pausa caffè, godetevi questa canzone”.

Anche se non è semplice scrivere un brano pop che raggiunga le persone. Non sempre scrivere canzoni complesse vuol dire raggiungere le persone e, almeno per me, la magia dei Voivod sta proprio nell’equilibrio tra i differenti aspetti. Non è solo una dimostrazione di capacità tecniche nel suonare brani difficili come musicisti ma è un tutt’uno tra musica, i testi, i disegni di Away. È un universo completo.

Lo credo anche io ed è così per me, che prima di suonarci ero un loro fan, per te o per quelli in ogni angolo del pianeta. Noi abbiamo per lo più fan affezionati da tempo, non abbiamo molti nuovi fan o di passaggio. Se ami i Voivod, li ami per sempre.

Ricordo che provavo a riprodurre i disegni di Away col gesso sui muri della mia scuola. È tutto, l’alfabeto di Away così particolare, ogni aspetto è come un viaggio che si intraprende.

(ride) Un lavoro davvero complicato.

Credo però che il nuovo album vi abbia permesso di allargare la vostra audience, perché ai concerti ho visto molti ragazzi giovani che conoscevano i pezzi di Post Society o The Wake.

È meraviglioso perché vediamo persone che portano ai nostri concerti i figli sulle loro spalle e loro conoscono i testi e li cantano.

Quindi era il momento perfetto per celebrare con un disco dal vivo questa nuova parte del vostro percorso.

Sono passati dieci anni dall’altro live album e credo che in questo contesto pandemico, che ovviamente nessuno si augurava, rappresenti l’occasione per portare un sorriso e dei bei ricordi sulle facce di chi ci ha visto dal vivo o ci verrà a vedere nel prossimo tour ora posticipato. Nel frattempo puoi avere un piccolo scorcio di quello che è un concerto dei Voivod.

Quale è secondo te il futuro dei concerti, credi saremo in grado di tornare a suonare sui palchi in pochi mesi?

È difficile dirlo, io spero soltanto che la gente sia al sicuro e mantenga la sua salute, quindi per ora è triste non poter lavorare ma è secondario, ciò che conta è la salute delle persone, per cui finché non sarà sicuro tornare a suonare in giro noi rispetteremo le regole sperando per il meglio. Per quanto ci riguarda, è strano provare anche a causa di tutti i limiti che ci sono, ma quando ci siamo ritrovati in sala prove prima del concerto in streaming, al primo accordo tutti abbiamo cominciato a sorridere.

Credi ci sarà un dvd del disco dal vivo?

È difficile da dire, i dvd si vendono sempre meno, magari potremmo trovare un modo migliore e differente per condividerlo, ne stiamo parlando ma è ancora presto, forse ci sarà qualcosa di speciale per fine anno ma è ancora tutto in forse. Nulla di confermato ma ci stiamo lavorando per cui restate sintonizzati

Grazie mille, è stato un piacere parlare con te, spero di incontrarti ancora di persona quanto prima.

È stato un piacere anche per me, amico mio, spero di vederti di nuovo molto presto.