DÄLEK, Endangered Philosophies

Un intro distorto alla Atari Teenage Riot, bordate di rumore che aleggiano minacciose su un boom-bap aggressivo, la verve delle rime di Will Brooks (siamo all’ incrocio tra un agitatore politico e un predicatore di strada millenarista) e la sensazione di trovarsi in quell’attimo particolare che precede uno scontro. Si presenta così il nuovo album del gruppo del New Jersey, realizzato da quella nuova formazione che già si era cimentata poco più di un anno fa con Asphalt For Eden.

Una traccia d’apertura in cui è evidente quella commistione tra industrial, noise e hip hop considerata, forse troppo sbrigativamente, il marchio di fabbrica dei Dälek, ma che già dagli ultimi secondi, con un sample grattato che gira a vuoto nel bel mezzo del nulla, introduce perfettamente un lavoro che sembra privilegiare soluzioni meno aggressive ma più ottundenti. Endangered Philosophies, più di altri episodi della discografia dei Dälek, utilizza il rumore e le distorsioni come elementi quasi ascetici. Masse sonore che creano una trama ipnotica dai confini sospesi, squassata da ritmiche old-school talmente esasperate da sembrare o versioni da sottobosco urbano di tribalismi a cui abbandonarsi in stato di trance, o la messa in sonoro delle superfici ruvide di una grotta nella cui oscurità circolano scorie distanti e sample evanescenti. Il risultato è un sound che in molti degli undici brani trasmette un generale senso di attesa inquieta, in una densa coltre prima dello squarcio finale.

Non a caso il comparto testuale – e politico – di  Endangered Philosophies indugia spesso nella raffigurazione del senso di minaccia concreta derivata da questa malsana aria fascistoide che appesta gli Stati Uniti (e non solo), unita alla consapevolezza della necessità di riorganizzarsi di fronte a una simile sfida. E alla consapevolezza ci si arriva solo attraversando dubbi, nebbie e sconforti vari, come i manti ambientali di “Beyond The Madness”, il noir fumoso di “Weapons” e “Battlecries”, o le chitarre lontane che si agitano nell’atmosfera piovosa di “Sacrifice” sembrano illustrare. Un sentiero da percorrere fino alla fine, coi blocchi di rumore della traccia conclusiva che si scuotono, non più per ripiegarsi ma per dispiegarsi con rinnovata coscienza di quello che verrà.

Endangered Philosophies sicuramente non possiede la spinta sperimentale dei Dälek degli esordi o pre-rottura, confinando quegli spunti in un formato probabilmente più abbordabile. Ma ciò che si è perso in arditezza è stato sostituito dalla capacità di coniugare tortuosità esistenziali e politiche con l’urgenza di chi sta cercando un inderogabile moto di rivalsa.