CUT, Second Skin

Sesto album e un quasi-ventennale di carriera per la stimata band bolognese e il suo urticante garage punk venato di blues. A sette anni dall’ultima prova, i Cut tornano alle cronache con lo stesso piglio degli esordi e facendosi accompagnare da una serie di ospiti, tra cui Mike Watt e Stefano Pilia.

Quasi un riepilogo riveduto e corretto delle scorribande del passato, Second Skin è un susseguirsi di brani schietti e rumorosi in cui elementi presi dal noise (e più in generale da certi sussulti indipendenti tipici degli anni Novanta) vengono piegati alle logiche di un punk’n’roll nervoso e ruvido. Le chitarre prendono più di una volta angolature alla Sleater-Kinney o ripercorrono tagli e aperture alla Unwound prima maniera, l’irruenza dei Rocket From The Crypt non si fa sentire solo nell’utilizzo dei fiati che qua e là intensificano l’assalto del gruppo, e alcune progressioni e dissonanze rimandano direttamente ai Sonic Youth più asciutti. Tutti spunti che aiutano il dispiegamento dei rapidi blitzkrieg di un terzetto che riesce a comprimere con estro e mestiere un irrequieto e conciso senso del groove, un persistente afflato blues’n’roll e un’inquieta pensosità che affiora in alcune improvvise decompressioni.

È inutile girarci intorno, i Cut ci hanno sempre saputo fare e quest’ultima aggiunta in discografia, al netto di qualche momento un po’ troppo derivativo, non fa che confermare l’incisività dei tre.