CRIPPLED BLACK PHOENIX, Great Escape

CRIPPLED BLACK PHOENIX, Great Escape

Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia da quando Justin Greaves si è fatto un nome come batterista di Iron Monkey e Electric Wizard, un lasso di tempo in cui i Crippled Black Phoenix si sono mossi a loro piacimento come collettivo più che come band, sempre con la voglia di rimettersi in gioco e cambiare pelle, tanto da utilizzare e incrociare di volta in volta generi differenti come doom, psichedelia, folk e prog, il tutto con un taglio tipicamente British e la pulsione a forzare sempre più i limiti del loro panorama sonoro.

Great Escape mantiene fede a questa traiettoria e ribadisce, come già in precedenza, il solido legame con i Pink Floyd, dai quali mutua innegabilmente più di un aspetto, eppure lo spessore e soprattutto la varietà della scrittura fanno perdonare qualche richiamo di troppo e rendono il tragitto oltremodo appagante, vuoi per la maturità ormai raggiunta, vuoi per la coesione con cui i musicisti coinvolti sono riusciti a integrarsi a dispetto dei continui cambi di line up. Colpisce, come si accennava appunto, la molteplice natura dei linguaggi utilizzati, dalla più classica psichedelia al folk o agli incipit elettronici, senza tacere dei crescendo in cui le chitarre riprendono il controllo e caricano a dovere l’aria di elettricità, così da far esplodere i brani come fuochi d’artificio. Il tutto viene eseguito con una disinvoltura invidiabile nei cambi di mood e approccio all’interno di un lavoro di lunga durata e ambizioso, un disco che oltretutto segue a poca distanza la decisione di Greaves di rendere pubblica la propria lotta contro una brutta forma di depressione. Proprio questo aspetto potrebbe ben spiegare il tocco malinconico e a tratti oscuro sulle composizioni, come verso metà della notevole “Times, They Are A’Raging”, uno dei momenti più densi di pathos di un album che comunque non manca di appassionare e che, nonostante la delicatezza di alcuni passaggi, non risulta mai stucchevole o melenso.

Ancora una volta, i Crippled Black Phoenix hanno saputo catturare la nostra attenzione e sono riusciti a offrire un solido esempio di come si possano coniugare passato e presente, radici e voglia di guardare avanti, il che non è certo un risultato scontato o da pendere sotto gamba. Poco altro da aggiungere: se avete amato quanto realizzato finora dal  collettivo continuerete ad apprezzarne il percorso eclettico e mai fermo sulle posizioni guadagnate; nel caso ve ne siate sempre tenuti distanti, non possiamo che suggerire di fare un tentativo, perché – data la qualità dell’insieme – non si tratterà comunque di tempo sprecato. Buon ascolto.