Cos’è un quaderno punk?

Alla scoperta de “Il Quaderno Punk 1979-1981. La nascita del nuovo rock italiano” di Fabrizio e Stefano Gilardino (libro + cd, Goodfellas) 

Quaderno Punk

Questo dei fratelli Gilardino è un libro piuttosto sui generis, non capita spesso di vedere un quaderno privato trasformarsi in pubblicazione anastatica. “Il quadernone”, così veniva affettuosamente chiamato dagli autori, era proprio quell’oggetto scolastico che serviva a prendere appunti, a fare i compiti, lo sappiamo tutti… che però i due fratelli biellesi utilizzavano anche per segnarsi i nomi più underground, e più assurdi, del nascente rock italiano, siamo a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta. Fabrizio è più grande di Stefano, è stato tra i collaboratori più assidui di Musiche, rivista che si occupava di “avant” e dintorni e che usciva nelle librerie o in sottoscrizione tra la fine degli anni Ottanta e i Novanta, cercatela nei mercatini. Stefano, invece, è sempre stato più legato al punk, tanto da scrivere una recente Storia del Punk che ha fatto tanto parlare di sé lo scorso anno, mentre in passato ha prestato la sua penna per Dynamo, Rocksound, Rolling Stone, XL di Repubblica, e dato vita a una rivista, Vida.

Ma cos’era esattamente questo “nuovo rock italiano”? È presto detto: fate conto che fino alla fine dei Settanta, in ambito alternativo, avevano avuto un grosso peso le produzioni della Cramps, dunque gli Area in primis e poi tanto progressive-rock (e non solo), quindi Le Orme, Premiata Forneria Marconi, Stormy Six, Banco del Mutuo Soccorso e via elencando. In risposta a tutto ciò, e in concomitanza e pure conseguenza dell’avvento del punk in Gran Bretagna, in Italia nascevano realtà legate a forme musicali più dirette, certamente schiette e all’apparenza meno intellettuali, ma qui il discorso si fa scivoloso, era solo per capirsi… Arrivano dunque tutta una serie di nomi, in particolare bolognesi, dagli Skiantos ai Gaznevada, dai Confusional Quartet agli Stupid Set, poi ancora il Great Complotto pordenonese, il punk in salsa milanese delle Clito e dei 198X, i fiorentini Neon prima della svolta wave e via elencando, tutte band che i Gilardino amavano e che si vanno ad aggiungere alle centinaia di nomi citati in queste pagine scritte con la biro, dove peraltro fanno capolino un sacco di gruppi sconosciuti o semi-sconosciuti, e qui va dato atto ai due di aver in qualche modo scavato parecchio nell’underground: ai tempi, ricordiamolo, Internet non c’era, quindi l’impresa resta ancora più incredibile.

Breve digressione critica

Da poco tempo ho letto un vecchio libro del musicologo Alessandro Carrera, “Musica e pubblico giovanile – L’evoluzione del gusto musicale dagli anni Sessanta agli anni Ottanta” (ristampato da Odoya Edizioni). È un testo piuttosto importante, anche storicamente parlando, utile per capire come si arriva al periodo della nascita del punk e del successivo avvento della new wave. L’autore, uno studioso che proviene da ambienti accademici, a un certo punto accenna proprio al cosiddetto “nuovo rock italiano” e scrive (siamo ne 1980 e non sono parole d’amore, ma il loro senso ce l’hanno eccome): È infatti cosa degli ultimi tempi la diffusione di quello che è stato già chiamato “nuovo rock italiano”, sorto a Bologna come ‘pendant’ del movimento del 1977. Si tratta di un fenomeno appena uscito dalla stagione underground: pochi gruppi finora hanno firmato contratti discografici e la maggior parte si serve di cassette riprodotte in numero limitato. Il termine ‘nuovo’ ha un significato più che altro generazionale, perché di nuovo c’è poco e di buono, per ora, ancora meno. Alcuni gruppi hanno fatto proprio, senza por tempo in mezzo, l’insegnamento della new wave americana più sprezzante, con tutta l’aggressività tecnologica che l’accompagna; altri, e questo è il lato più curioso, seguendo un’altra frangia della new wave che si dedica a un maniacale revival, sono andati a ripescare lo stile dei complessini beat italiani della seconda metà degli anni Sessanta, i Rokes, l’Equipe 84, i Dik Dik. L’intenzione è a volte ironica, a volte no. Tutto sommato a quei modelli un po’ ci si crede ancora. Ma tratto comune a questi gruppi è che non si riuniscono per ‘fare musica’: essi vogliono ‘fare il rock’, sic et simpliciter, convinti sino alla pazzia che il giovane non abbia altre lingue per parlare.

La vera alternativa (?)

Sono certo che Carrera non fosse l’unico ai tempi a storcere il naso verso quelle musiche. Non è solo così, ovvio. Il punk, e di conseguenza il nuovo rock italiano, probabilmente nascono per creare un’alternativa rispetto a un certo tipo di rock, e i fratelli Gilardino questo lo sanno bene, così come sanno bene che le influenze stilistiche d’Oltreconfine sulle band prese in esame sono palesi. Il loro quaderno ci regala dunque uno spaccato divertito, ma scritto con acribia, di quanto è passato anni fa, un’onda che ha poi continuato a dare i suoi frutti, più o meno interessanti. La questione è ancora aperta, e insieme al libro potrete ascoltare un cd con numerosi pezzi, anche live e inediti. Il Quaderno ha come ulteriore valore aggiunto una serie di interviste particolarmente utili per comprendere meglio un fenomeno che si stava creando in larga parte al Nord del Paese, ma per fortuna anche altrove in Italia, e che ci ritroviamo a distanza di anni a storicizzare, analizzare e catalogare con curiosità, e naturalmente a ri-ascoltare.