Considerazioni sul catalogo “Gianni Sassi – Uno Di Noi”, Mudima Edizioni

Gianni Sassi

Non ci crede nessuno a che Gianni Sassi fosse soltanto “uno di noi”. Difficile pensarlo, vista la mole di lavoro che è riuscito a metter su in circa trent’anni di attività imprenditoriale e culturale. Una quantità impressionante di idee, spunti e riflessioni, soprattutto di fatti ed eventi artistici così prestigiosi che al solo pensarci oggi ti viene ancora il mal di testa. Facile insomma descriverlo come un non umano. In realtà è una frase usata da chi ci ha lavorato assieme, utile per sentirsi ancora vicino a un personaggio amato e discusso come lui.

Leggendo questo speciale catalogo, che ha accompagnato la mostra a lui dedicata dagli amici storici della Fondazione Mudima di Milano, inaugurata in concomitanza con lo scorso MiArt, viene da pensare che davvero si sia trattato di un alieno sceso sulla Terra a dare felici e “sadici” colpi di frusta a chi gli si avvicinava. Già me lo immagino con quel suo sguardo torvo ed il fisico da omone che si rivolge al collaboratore di turno e gli fa: “beh, che stai lì fermo impalato? A lavorare, su!”. Eppure, colpisce ad esempio un aneddoto raccontato da Sergio Albergoni nel primo capitolo del libro, cioè di quando disse “Signorina, lei non è pagata per pensare” alla sua centralinista, perché in una telefonata la ragazza si era permessa (in sua vece) di chiedere direttamente del “Signor Feltrinelli” all’altro capo della linea. È ingiusto però immaginare Sassi come una specie di “dittatore” che impone regole con fare perentorio, anzi non è certo un caso che questa pubblicazione accolga le tante ed affettuose testimonianze di chi, appunto, gli è stato sempre vicino: il fotografo bolognese Roberto Masotti, il trentino Fabio Simion, Nanni Balestrini, il poeta torinese Arrigo Lora-Totino e altri ancora.

L’attività

Gianni Sassi e John Cage

Un viaggio in cui Gianni riuscì a fare sempre la stessa cosa senza farla mai uguale

Sergio Albergoni

Ma cosa ha fatto di così importante? Sono costretto a sintetizzare parecchio, anche perché mi sembra il minimo che acquistiate il libro, che merita di venire sfogliato e letto, soprattutto minuziosamente osservato, perché il corredo fotografico è notevole. La Gola: eterogenea rivista di cultura del cibo che ha praticamente dato il via al movimento Slow Food, quello che Carlo Petrini fonda a Bra, in Piemonte, a metà degli anni Ottanta circa. Milano Poesia: con ospiti internazionali come Gregory Corso, Walter Marchetti e outsider come Victor Cavallo, il tutto di concerto con le varie giunte comunali della città (che amministratori c’erano ai tempi… impariamolo tutti, anche se non mancavano di certo le difficoltà burocratiche…). Il Treno Di John Cage: splendida avventura sonora nel corso della quale l’autore di “4’33”” interagiva coi suoni d’ambiente delle carrozze, aiutato da ospiti prestigiosi: Daniel Charles, Walter Marchetti, Stratos e Hidalgo tra gli altri, che si muovevano da Bologna a Porretta Terme, o da Rimini a Ravenna. La rivista Alfabeta con Nanni Balestrini del Gruppo 63, dove trovavano posto menti raffinate come quelle di Maria Corti e Umberto Eco. La Cramps Records: Area (il ruolo di Sassi è centrale nella formazione della band di Stratos & soci), Claudio Rocchi, Eugenio Finardi, Alberto Camerini, Skiantos. L’ormai storica etichetta ai tempi vantava pure delle “strane sorelle”, nate per far uscire apposite collane di “ricerca” come DIVerso, Multhipla Records e nova musicha (le copertine erano ovviamente davvero speciali) col socio Gianni-Emilio Simonetti: cito i dischi di Walter Marchetti, John Cage, Demetrio Stratos, Juan Hidalgo, Gruppo Di Improvvisazione Nuova Consonanza. Non vanno dimenticate le campagne pubblicitarie per la sua agenzia pubblicitaria Al.Sa: celebre quella con un giovane Franco Battiato col viso truccato di calce bianca che guarda dritto all’obiettivo mentre sta seduto su una “comoda poltrona Busnelli”. Importanti poi molte altre campagne di promozione, valga per tutte quella per l’azienda di ceramiche Iris di Sassuolo, ma anche con la Polistil, e le grafiche: quella con un triste Frankenstein (nom de plume mutuato da una rivista sempre da lui fondata, usato pure per scrivere le liriche per gli Area) che campeggiava all’entrata del suo ufficio milanese. Sassi muore di una brutta malattia, fumava troppo, nel 1993.

Cos’è rimasto?

In conclusione direi che per me, senza l’impulso di Gianni, Milano è diventata ormai nient’altro che una città spettrale, una città di merda, come tante altre. E non ci vado più. Certo, ogni tanto mi viene un po’ di nostalgia per il Cenacolo di Leonardo, per il sublime Piero Della Francesca di Brera o per i filosofi della Scuola Di Atene alla Pinacoteca Ambrosiana, ma basta rivederne una riproduzione nei libri d’arte e il mal di cuore va via. Invece non mi frega un cazzo della Triennale, delle stupide vetrine di lusso di via Montenapoleone, delle sfilate ripugnanti di Milano Moda, della Fondazione Prada e della sua merce, della festa di Sant’Ambroeus o dell’Expo, come pure della Galleria dove nacque il Futurismo, poi colonizzata da McDonald’s e infine dalla moda. Finché le nuove leve di indiani metropolitani non faranno tornare lo spirito, la grinta e l’ambiziosa visione globale di Gianni Sassi, non ho più intenzione di rimettere piede a Milano. T’è capì?

Jean-Jacques Lebel

Forse converrete con me che Lebel (per la cronaca: poeta e sodale di Marcel Duchamp) stia esagerando; la sua rimane di certo un’opinione autorevole e nient’affatto infondata. Sono sicuro però, anzi ho le prove, che la città non riposi sugli allori e continui da sempre a proporre realtà culturali (magari piuttosto “underground”, meno appariscenti ai più) ed eventi interessanti, mi viene da pensare alle situazioni a noi vicine come Macao, Cox 18, Cascina Torchiera, e poi Santeria, il festival Terraforma, le serate di Plunge e spazi come Standards, ne dimentico tante altre di sicuro). Nel giro di circa venticinque anni Sassi ha fatto praticamente la Storia della cultura italiana del Dopoguerra, ma molti, troppi forse, ancora non lo conoscono come si deve. Probabilmente ignorano che quello che vedono/vivono in giro è spesso farina del suo sacco (idee ed intuizioni in particolare). Una volta fatta la sua conoscenza potrete di sicuro capire meglio che tipo di cittadini – e di “consumatori” – siamo ora.

“La cattiveria”

Le copertine degli Area. Hai un effetto di lettura d’effetto immediato, poi guardandole attentamente, se le analizzi, attentamente, vieni a scoprire indicazioni e segnali culturali che spostano il discorso su un asse molto diverso dall’impatto iniziale. Un ingrediente, un elemento che cerco sempre di innestare, quando realizzo una copertina, è la cattiveria; la presenza della cattiveria è mia caratteristica. Le copertine sono spesso costruite in studio, quindi sono come una ricostruzione di una realtà ad hoc, che è una specie di lusso che gli artisti possono permettersi, per cui c’è un fotografo che ricostruisce per loro un certo tipo di realtà finta, che assomiglia molto all’immagine pubblicità.

Gianni Sassi