C’mon Tigre racconta Toccafondo, 19/10/2016

Carpi, Teatro Comunale – Vie Festival.

Ne “La Terra Vista Dalla Luna”, terza parte del film a episodi “Le Streghe”, del 1967, in un cimitero di periferia Ciancicato Miao e suo figlio Baciù piangono la madre morta per indigestione di funghi avvelenati. I due partono allora per un viaggio alla ricerca di questa Donna con la D maiuscola. Non la trovano, ma si imbattono in un’altra bizzarra creatura, il cui nome promette bene: Assurdina. Succede di tutto un po’ (ho già spoilerato abbastanza…) finché alla fine appare un cartello che recita: “Essere vivi o essere morti è la stessa cosa”. Questa stessa frase icastica funge da didascalia per uno dei video di Gianluigi Toccafondo che hanno accompagnato (quasi tutta) l’esibizione di C’mon Tigre al Teatro Comunale di Carpi per il Vie Festival, rassegna di teatro, danza, musica, cinema.

Nella presentazione del concerto si parla di contaminazione, jazz, sperimentazione, funk. Di jazz c’è qualcosa nelle fioriture melodiche, certo, di funk, ovvio c’è un centro ritmico sempre presente e caracollante, pigro, nero. Di sperimentazione (parola e concetto invero assai spigolosi) non ne ho sentita moltissima, né per quanto riguarda l’impianto ritmico e armonico, né per le scelte timbriche. Ad ogni modo interessante da quest’ultimo punto di vista la scelta strategica di rinunciare al basso, rimpiazzato da una Farfisa che comunque non riempie uno spazio sonoro lasciato direi volutamente vuoto, e qua ci hanno visto giusto, i ragazzi: il groove si crea con i silenzi, con la sottrazione.

Alle mie orecchie però il fulcro di tutto è il soul. Del resto il soul spesso è una lamentazione funebre, o un canto di nostalgia, e soprattutto negli spigoli in penombra che la voce va a frugare, i C’mon Tigre sembrano molte volte un gruppo dedito al soul. Certo, un soul non filologico, ma speziato con aromi di ethio-jazz, arrangiamenti che puntano al jazz, groove che indugiano spesso, e felicemente, su ritmi dispari (5/8, 9/8). Una musica dell’anima che puo’ forse avere come pietra di paragone, e vuole suonare come un complimento, la Cinematic Orchestra.

Le melodie spesso sono dolenti, malinconiche. Canzoni da usare come un ombrello sotto la pioggia d’ottobre, musiche che raccontano una distanza, e in alcuni momenti, al netto di qualche passaggio un poco di maniera (la chitarra incede un po’ sempre sullo stesso tipo di costrutto sbilenco e spesso sale e scende scale ornate da tappeti con i colori caldi e sabbiosi dell’Africa Orientale), il bersaglio è perfettamente centrato, e ci si emoziona per davvero.

Il tocco è sempre leggero, le dinamiche spesso non salgono sopra al piano, volentieri indugiano sul pianissimo. A volte resta solo un soffio nei pezzi, il soffio filtrato da un vecchio microfono di una voce in qualche occasione un poco troppo prigioniera di se stessa (ascoltato moltissimo Antony? Forse…), ma comunque bella e comunicativa per davvero, un leggero unisono di fiati (al sax baritono c’è Beppe Scardino, protagonista di diversi ottimi progetti di jazz italiano, tra cui mi sembra doveroso segnalare almeno Dinamitri Jazz Folklore), un’ombra di vibrafono. Menzione speciale ed inevitabile per la maestria di Pasquale Mirra, già visto e sentito all’opera con Mrafi in una fantastica conduction di Butch Morris (entrambi questi dischi sono usciti per la collana “Tracce” diretta da Pino Saulo e meritano senz’altro un recupero) e sodale del gigante nero della batteria afroamericana, Hamid Drake.

I video… beh, i video sono pura poesia: un tango, Pinocchio, colori che prendono sempre altre sfumature ed altre forme, suadenti come la musica, che è intimamente femmina, sebbene suonata solo ed esclusivamente da maschi. Non serve citare un pezzo o un altro, eccezion fatta per il singolo “Federation Tunisienne De Football”, dal fortunato disco d’esordio, e quando attacca la chitarra ti ricordi subito che, sì, quel pezzo è decisamente azzeccato.

Per il resto la serata di Carpi consegna alla memoria una band con un ottimo senso per gli arrangiamenti e benedetta dalla presenza di ospiti che fanno levitare la qualità delle composizioni. Non tutto è apparso perfettamente a fuoco, e a volte il rischio di suonare un po’ artefatti non è apparso lontanissimo, ma comunque avercene di gruppi con la loro testa ed il loro cuore.