CHICAGO / LONDON UNDERGROUND, A Night Walking Through Mirrors

La stessa suadente nevrosi dei noir americani degli anni Cinquanta, un inseguimento notturno, è il contrabbasso a dettare il ritmo mentre la batteria fa fiorire ipotesi e deragliamenti, la cornetta tenta di accarezzare il cielo ma il pianoforte la riporta a terra, in un ingorgo di tensioni metropolitane bellissime e laceranti. Sono solo i primi quattro minuti di un pezzo lungo più di venti, il terzo, di quattro, del Chicago London Underground, incarnazione estemporanea della fenice Chicago Underground, unità multiforme il cui leader, Rob Mazurek, è una delle teste in fiamme dell’attualità del jazz più consapevole e spericolato. Una notte camminando attraverso gli specchi, A Night Walking Through Mirrors: così si intitola, con scelta felicissima, questo fenomenale live di Mazurek e Chad Taylor, per l’occasione raggiunti al Cafe Oto di Londra (mecca dell’improvvisazione e delle musiche altre) da Alexander Hawkins al pianoforte e da John Edwards ( lo ricordiamo già con Spring Heel Jack e Phall Fatale, tra i mille progetti) al contrabbasso, e proprio di una notte a camminare attraverso specchi che rimandano lampi e immagini sempre differenti si tratta, per un disco per cui per una volta usare la parola sensazionale non sembrerà troppo enfatico.

La mistica febbrile del free si sposa lungo questi quattro veri e propri viaggi con le consuete, torride atmosfere da big bang tropicale dipinte da Mazurek nei suoi viaggi interstellari. Momenti più lirici e rarefatti danno spazio e profondità ad un lavoro dove riluce in tutto il suo splendore lo spirito del catalogo BYG  e l’anima del jazz più libero e coraggioso, dalla etno panteista di Don Cherry al caos primordiale di Alan Silva, ma i riferimenti potrebbero essere molti altri e nessuno, perché la voce dei quattro musicisti in azione è estremamente personale ed energica.

Perché il jazz viva qualcosa deve accadere, e per fortuna da molto tempo sta accadendo grazie ad artisti a 360 gradi come Rob Mazurek; proprio “Something Must Happen” si intitola la seconda traccia di questo monolite kubrickiano e apocalittico, e restiamo ancor una volta abbagliati dai misteri di una luce abbagliante (l’ultima traccia, “Mysteries Of Emanating Light”, che si apre con una giungla di percussioni e in seguito si fa prima minimale poi acida e soulful come un Pharoah Sanders in orbita), come ci avesse sfiorato una cometa.