CHAOS ECHŒS, Transient

CHAOS ECHŒS, Transient

I francesi Chaos Echœs sono guidati dai fratelli Kalevi (chitarre, voce) e Ilmar Marti (batteria, percussioni) Uibo, che già suonavano insieme death metal nei Bloody Sign, il cui ultimo album s’intitola appunto Chaos Echoes (2010). Sono appena stati in tour anche in Italia con i Portal e gli Impetuous Ritual, due band che riappaiono come termine di paragone nelle recensioni di Transient, uscito da poco per Nuclear War Now!. Collegamento giusto solo in parte, basato sul fatto che tutti e tre i gruppi si trovano in una specie di periferia death metal, forse un’Interzona, per usare la parola burroughsiana con cui i Chaos Echoes legano assieme una serie di improvvisazioni che attraversa la loro discografia (qui abbiamo la quarta, la quinta e la sesta). Se nei Portal e negli Impetuous Ritual i riff sono un magma ipnotico che sembra quasi una “texture” ambientale (un’operazione in qualche modo accostabile a quella dei Sunn e dei Pyramids col black e ovviamente col doom metal), nei Chaos Echœs la questione è un po’ diversa: spingono ancora di più sull’atmosfera, ma non sono necessariamente soffocanti come i loro compagni di strada, e in più si direbbero quelli meno vincolati al loro sound/genere originario, che mollano e riprendono a seconda di quello che vogliono fare, non senza combinarlo col black.

Probabilmente, per capire come nei Chaos Echœs ci sia una componente ambient mortifera bisogna anzitutto concentrarsi sull’uso delle percussioni (rintocchi sinistri, poi gong e piatti strusciati/sfiorati quasi à la Thomas Köner), ma anche sul basso ipnotico e le chitarre deformate di “Interzone IV – Intoxicating Beauty”, improvvisazione (parziale?) che sfocia in “Advent Of My Genesis”, dalla quale a un certo punto si sprigiona quel death vorticoso e zanzaroso che giustifica i paragoni di poco sopra e che si conclude con dei violini laceranti (forse stanno passando l’archetto sulle chitarre, forse no). Si passa attraverso una nuova Interzona più melmosa per sentire anche come i Chaos Echœs intendono il black metal: “Kyôrakushugi” arriva qui direttamente dall’underground dei primi anni Novanta, senza trucchi e senza giri di parole. È la volta di una nuova Interzona, coi tossici stesi per terra che osservano inespressivi la band: il disegno generale comincia a essere più chiaro, siamo sempre di fronte a una dialettica pieni-vuoti, ma più libera, meno furba o costruita. La successiva “Soul Ruiner”, del resto, è una nuova fiammata che ristabilisce l’equilibrio tra parti atmosferiche e parti aggressive, chiudendo l’album in due mosse: prima con una chitarra puntuta che buca le orecchie, poi con un colpo secco sul setto nasale.

Transient è uno di quei dischi in apparenza difficili che – ammesso e non concesso che lo si voglia – va lasciato crescere, consapevoli che poi entrerà in circolo e modificherà in parte il nostro modo di essere. I Chaos Echœs stanno cercando di costruire un loro genere musicale a sé stante, provano in qualche modo ad andare oltre e non è detto che abbiano successo. Da quell’oltre che stanno cominciando a esplorare hanno avuto la fortuna/bravura di riportare indietro fin da subito colori e sfumature disturbanti che s’imprimono sulla retina. È un quid che le band migliori possiedono e che con gli anni a volte perdono per strada, motivo per il quale tante volte nell’ambito dei generi estremi alcuni preferiscono la sincerità dei primi dischi di un progetto alla raffinazione di quelli “maturi”. In questo caso siamo sicuramente di fronte a degli outsiders che verranno o completamente ignorati o considerati come una delle più riuscite espressioni del 2015, senza vie di mezzo. Io sto con loro.

P.S.: Sull’artwork serve un pezzo a parte, ma non sono in grado di scriverlo.

CHAOS ECHŒS, Transient

CHAOS ECHŒS, Transient

CHAOS ECHŒS, Transient

CHAOS ECHŒS, Transient