CEVDET EREK, Davul

Il davul è una percussione araba appartenente alla famiglia dei tamburi a cornice. Ha una doppia membrana, quindi va suonato stando in piedi e percuotendo entrambe le superfici: la mano destra impugna un battente, la sinistra una sottile verga in legno. È un po’ l’antenato della grancassa da banda di stampo occidentale, pur distinguendosi da questa per una maggiore ricchezza timbrica (fonte). Ne siano prova queste sette improvvisazioni – ovviamente estreme, ben poco ortodosse rispetto alla tradizione – ricavate da due sessioni in solo tenute a Berlino. L’autore è l’artista turco Cevdet Erek, e il disco, uscito a fine giugno per la Subtext dei vari Paul Jebanasam, Roly Porter, Emptyset, si intitola appunto Davul.

I trascorsi di Erek sono a dir poco variopinti: architetto e ingegnere del suono, negli anni Novanta ha dato vita ai Nekropsi, seminale band turca artefice di una singolare mistura a base di post-punk, industrial, thrash metal. Ne era il batterista. Più di recente è in ambito prettamente artistico che Erek ha saputo farsi valere. Quest’anno gli è stato affidato il padiglione della Turchia alla Biennale di Venezia attualmente in corso, e l’infatuazione per questo tamburo di grandi dimensioni ha avuto inizio ai tempi di un’altra biennale, quella di Istanbul del 2015, quando, dopo averlo acquistato da un musicista di Roma, Erek pensò bene di implementare il davul nella sua Room of Rhythms, installazione dal titolo eloquente. Ancora nel 2015 usciva la colonna sonora per il film “Frenzy“, di Emin Alper (titolo originale: “Abluka”), Premio Speciale della Giuria al Festival del Cinema di Venezia. Una pellicola disperata, torbida come le acque in cui versano i protagonisti; individui allo sbando, soggetti paranoici vessati da un’instabilità sociale e politica, quella turca, sempre più allarmante.

Come da comunicato, Erek dice di suonare per allontanare da sé gli istinti aggressivi, la negatività, nella speranza che questo valga anche for the other people surrounding me. Una questione spirituale; e rituale, quando si tratta di performance dal vivo. Poi, plausibilmente, aggiunge che the aesthetics of dark electronics and noise that I’ve been exposed to for decades informs the overall feel as well. Guarda un po’, le musiche di “Frenzy” vagano inquiete nei dintorni del catalogo Blackest Ever Black, da sole o in compagnia di The Haxan Cloak e dei Demdike Stare. Se facciamo il giro largo arriviamo dalle parti di Subtext e di conseguenza al nuovo album.

In Davul, Erek spinge il suo stumento oltre ogni limite, ma lui non è un “batterista espanso” alla maniera di un Eli Keszler, di un Mike Weis o di un Andrea Belfi. E neanche di un Ingar Zach, tanto per rimanere in ambito grancasse e dintorni. Il musicista turco mette in primo piano l’impatto fisico e le ruvidezze, fa risaltare le vibrazioni spontanee e non, copre l’intero spettro acustico a sua disposizione percuotendo (graffiando, strofinando) come un dannato, visceralmente, le due pelli. Così, accorgendoci presto che ad ogni rim shot corrisponde un infarto, finiamo storditi in un mantra ipnotico capace di risvegliare qualcosa di ancestrale. Le frequenze basse rimbombano nello stomaco e si fanno via via più minacciose; le pavimentazioni tremano come non è detto che a un sottomarino techno riuscirebbe. Tutto questo sin dai primi tre estratti, uniti in quello che sembra essere un rito di preparazione.

La cosa abbastanza soprendente è che in Davul non vi è traccia di editing o overdubbing successivi. Basta ascoltare un brano come “Prepare”, sorta di dancehall mentale senza marjuana e senza Jamaica, tutta giocata su rimbalzi armonici che aggiungono notevole forza espressiva. In “Kirast” emergono gli spasmi febbrili di un Cut Hands, mentre i due episodi posti in chiusura sembrano quietare gli animi: “Walnut Interlude” è (appunto) un intermezzo da cui straripano frequenze sub-basse, con Erek impegnato a “studiare” l’intero fusto in legno. Chiudono gli otto minuti di “Dicycles”, parente inconsapevole del disco di Fis e Rob Thorne (qui la nostra intervista al primo), uscito di recente proprio su Subtext. Un attimo prima di slegarsi dal tamburo, Erek emette un sospiro di sollievo e ce ne rende partecipi.