CCCP, 1985: come iniziarono gli stati di allucinazione

CCCP

Non so se avesse ragione Sebastiano Vico con la teoria dei corsi e dei ricorsi, ma bene o male trent’anni dopo i CCCP sono ancora presenti in qualche modo nel panorama musicale italiano. Massimo Zamboni, il chitarrista storico della band, è in giro a suonare con l’attrice Angela Baraldi, proponendo il repertorio dei punk filosovietici. Sempre lui, insieme a Fatur ,Giorgio Canali (chitarrista con Disciplinatha, CSI…), Cisco, Nada e la Baraldi, il 29 di questo mese con un evento unico festeggerà a Reggio Emilia i trent’anni dalla realizzazione di Ortodossia I, il primo 7″ dei CCCP. Giovanni Lindo Ferretti, dal canto suo, ha da poco visto uscire per la rivista musicale curata da Repubblica una compilation di pezzi del suo passato, CCCP inclusi (in questo periodo li sta anche proponendo in un tour per l’italico paese).

Per quello che mi concerne, dopo così tanto tempo certi particolari iniziano a sfumare e gli accadimenti tendono a slittare nella memoria, quindi penso di essere lucido mentre butto giù quest’introduzione, ma non assicuro che le cose siano andate proprio come le descriverò. In ogni caso… Conobbi musicalmente i CCCP grazie ad Alberto Campo, Renato Striglia e alla loro trasmissione radio Puzzle. Dal 1982, e per anni a seguire, diventai un assiduo ascoltatore di Radio Flash e delle sue trasmissioni. Dopo avere ascoltato Police, Adam & The Ants, Kiss e Rockets, a 14 anni stavo iniziando ad allargare i miei orizzonti e mi ricordo ancora quando un anno dopo Mixo, dalla sua trasmissione pomeridiana (che alternava insieme al compianto Gigi Restagno), fece sentire un pezzo dal nuovo lp dei Soft Cell: The Art Of Falling Apart. Non so se il giorno stesso o quello dopo presi il bus che portava da Poirino a Torino per andare da Rock & Folk a comprare la mia copia. Potete immaginare il mio sconforto quando seppi che la tiratura iniziale con il mix in regalo (contenente “Martin” e il medley di pezzi di Hendrix) era già terminata e che la versione normale non gli era arrivata. In realtà, voci di corridoio non confermate dicevano che era prassi imboscare questo tipo di uscite, per farle riaffiorare più tardi a un prezzo più alto. Non ho mai saputo se fosse vero o no, anche perché proprio lì comprai senza maggiorazioni l’edizione di The Sky’s Gone Out dei Bauhaus, quella contenente il bonus lp dal vivo Press The Eject And Give Me The Tape. Tornando ai CCCP: tempo prima che uscisse il 7″, su Puzzle sentii “Spara Jurij” e fu una sorpresa. Il punk filosovietico… diciamo che non riuscivo a collocarlo molto bene, però il suono grezzo e potente arrivava bello dritto alla testa. Mi ricordo ancora che il 7″ uscì con un bel po’ di ritardo rispetto a quanto preventivato, perché all’epoca ai vari banchetti dei concerti punk/hc chiedevo al tavolo delle distro se ce l’avevano. A uno di quei tavoli comprai qualche mese prima Il Cuore Della Bestia dei Rivolta Dell’Odio (è uscita una ristampa su doppio cd della loro discografia, sappiatelo…). Quando riuscii finalmente a mettere le mani su Ortodossia I, rimasi stranito dal vedere quel libretto che sembrava quasi ciclostilato e quindi anche per quello aveva l’aria di un manifesto politico. Anche solo la foto di loro che suonano al balcone dal quale era solito fare i discorsi Mussolini era un qualcosa di evocativo e quasi rivoluzionario. Comunque… Qualche mese dopo, una sera, i due compari di Puzzle misero in onda un paio di pezzi tratti dal concerto che i CCCP tennero al Big nel novembre 1984. Al momento non ricordo quali fossero, anche perché tempo dopo, grazie al fatto che avevo iniziato a frequentare gli studi di Radio Flash, riuscii ad avere una copia della registrazione effettuata dal mixer, con tutti i pezzi che erano stati suonati. Già allora dal vivo Giovanni, Umberto (il loro primo bassista, che rimase nell’organico sino alla firma con la Virgin) e Massimo, coadiuvati da Fatur, Annarella e Sivia, i loro artisti ballerini e teatranti, catalizzatori e rappresentatori delle perversioni dell’Italietta, davano il loro meglio senza risparmiare sudore, distorsione ed ironia. E sempre già allora, con mio fratello Marco, avevamo in mente o stavamo già preparando (non ricordo al momento) il primo numero della nostra fanzine Snowdonia: intervistare i CCCP quando vennero a suonare per la seconda volta a Torino (al Tuxedo), nel maggio 1985, fu una conseguenza logica. Questa che vi accingete a leggere è la trascrizione fatta da Fabrizio dell’intervista che uscì nel primo numero di Snowdonia nell’estate del 1985. La stessa è già comparsa in rete senza che lo sapessi, se no Fabrizio si sarebbe risparmiato le ore passate a farsi venire i crampi alle dita e avrebbe solo aggiustato qualche piccola imperfezione dell’originale. Questa volta, comunque, togliamo i miei disegni fatti con stile incerto e stortigno utilizzando una rapidograph e un foglio di carta trasparente,  coi quali avevamo corredato l’intervista originale.

CCCP, SSSR, un mondo nuovo…

CCCP - Baciati sulla fronte

1. Stati di agitazione

Come nascono i CCCP?

Massimo Zamboni (chitarra): Io e Umberto (Negri, il bassista, ndr) ci conoscevamo già da prima, suonavamo in altri gruppi, ma solo per divertimento. La storia è nata quando ho incontrato Giovanni (Lindo Ferretti, voce, ndr) a Berlino per puro caso; anche se abitavamo nella stessa città, Reggio Emilia, non ci conoscevamo assolutamente. Ci siamo trovati in discoteca a Berlino e questa ci ha ispirato molte cose: il tutto è accaduto quattro anni fa circa. Ci aveva ispirato il fatto che c’erano un sacco di gruppi berlinesi che suonavano musica che era soltanto berlinese, vale a dire: era cantata in tedesco e parlava di loro, non era né funky né parlava di storie che succedono in America. L’altro stimolo era che un giorno siamo andati a Berlino Est e da lì sono cominciate a frullare un po’ di cose nelle nostre teste. In realtà ci sono chiaramente delle differenze enormi tra le due Berlino, ben visibili, però non erano annullate dalle cose di fondo, vale a dire: anche a Berlino Est ci sono i punks, c’erano delle storie del genere e noi siamo rimasti colpiti da questo fatto, perché di solito pensi che di là c’è la steppa, ben che vada. È anche un po’ vero, però è anche falso.
Dopo siamo tornati in Italia e le cose che avevano cominciato a frullarci in testa sono diventate i CCCP, vale a dire che abbiamo cominciato a fare della musica che per noi fosse soltanto italiana, oppure che fosse soltanto emiliana o magari solo reggiana (anche se non abbiamo mai voluto avere dei contatti con i gruppi reggiani e cose del genere), cantata in italiano, suonata in italiano (che non so cosa voglia dire, però è vero).

Già… in un pezzo si sente un giro di basso che sembra di liscio…

Infatti quando abbiamo voluto definirci ci siamo definiti Punk Filosovietico e Musica Melodica Emiliana, perché viviamo tra questi due estremi e anche perché se tu dici che suoni del Punk Filosovietico nessuno sa cosa vuol dire tranne te, magari non lo sai nemmeno tu e lo scopri un po’ alla volta; lo puoi intuire, ma nessuno può dirti “no, tu non stai facendo quello”. Cazzo, l’ho inventato io, mica me lo verrai a dire a me, che solo io so cosa vuol dire. Questo ci copre da tante storie. Non parliamo degli Stati Uniti, né dell’Ohio, ma dell’Emilia, e più in largo parliamo dell’Italia, ancora più in largo dell’Europa, di Est e di Ovest.  E questa è la storia dei CCCP con un sacco di episodi, concerti, film, dischi e storie varie.

2. È solo una terapia

Quanti concerti avete fatto?

Tanti, però neanche tantissimi, perché non vogliamo fare come quelli che in 30 giorni fanno 28 concerti. Io no, allora vado a lavorare in fabbrica: prendo di più e fatico meno. Per un po’ di tempo abbiamo voluto suonare solo nei posti che ci interessavano davvero, per delle persone che ci piacevano molto. Chiaramente i posti erano pochi, quindi anche le possibilità di fare concerti erano poche, poi allarghi i giri e vai a suonare a Berlino, Amsterdam, torni a suonare in Emilia…

Com’è stato l’impatto col pubblico berlinese, dato che voi fate della musica prettamente italiana?

È stato buono, perché noi pensavamo di fare della musica italiana, invece non era vero, perché facciamo della musica anche berlinese, nel senso che tutti questi impazzivano, ballavano, si gasavano; proprio per il fatto che non capivano le parole, dovevano reagire in qualche modo, allora ballavano, urlavano. Invece in Italia è diverso, perché uno capisce le parole, quindi il primo concerto nostro che uno vede, lo vede da fermo, ascoltando. Infatti a Torino non capita mai che la gente balli; voi ballavate probabilmente perché conoscevate già le canzoni e i testi.

Io per la verità cercavo di sopravvivere col mio registratore…

Be’, il fatto che stiano lì e guardino è anche una buona reazione.

Infatti uno viene catturato dalle parole.

Va molto bene. Io vorrei che la gente ballasse perché mi diverto anche di più, però va bene.

3. Wir sind die Türken von morgen

Perché questi riferimenti all’Islam e al mondo orientale?

Se vogliamo è un discorso anche ampio.

Ti spiego. C’è stato un periodo in cui molti gruppi italiani, non dico seguivano questa moda, ma alludevano sempre a questi riferimenti orientaleggianti. Va beh che l’Italia… siamo lì… nel bacino mediterraneo…

Da una parte l’influenza islamica è sempre stata negata negli ultimi secoli in Europa, perché gli arabi sono… i turchi, anche se non è vero, sono gli infedeli. Invece per noi non sono gli infedeli, se pensiamo che quella islamica è stata una cultura che è arrivata sino alle porte dell’Italia, anzi, il Sud è islamico a certi livelli: architettura, popolazione, clima e un sacco di cose.
Quindi  è stupido far finta che non esista questa cultura. D’altra parte è ridicolo usarla nel modo in cui lo fa la maggior parte dei gruppi italiani, con quelle melodie tipo cammello e deserto.

… e tipo “Killing An Arab” dei Cure.

Non vi garantisce nessuno che anche noi non vi stiamo fregando, nel senso… chi vi dice che io sappia qualcosa dell’Arabia e che faccia delle cose diverse dagli altri? Questi sono affari miei e affari tuoi allo stesso tempo, ti puoi fidare o no. Noi facciamo delle melodiole arabe abbastanza stupide, capito, piuttosto stereotipate perché ci va bene fare così, perché in realtà non c’è altro da scoprire. Ci fa ridere pensare a quei gruppi che evocano l’Islam come se fosse un’accozzaglia di cammelli, palme e gente che si fa le canne e finito lì, perché è ridicolo. A noi dell’Islam interessano quegli altri aspetti che gli altri gruppi non toccano, tipo Gheddafi: c’interessa molto parlare di questa storia; non ci interessa parlare delle palme, perché basta andare sul lago di Garda e ci sono.

4. Produci, consuma, crepa (da “Morire”, inserita nel nuovo mix dei CCCP)

I testi a un primo ascolto possono anche sembrare demenziali, però poi, se senti bene, ogni piccola parte di testo può essere magari un testo a sé, può significare qualcosa.

È vero. Non c’è niente di demenziale. A noi non piace fare i demenziali, l’han già fatto altri; è stato divertente, mi piacevano molto, ma è finita lì. I testi? Forse è vero che l’impressione è quella…

Li fate tutti insieme o c’è uno che…

In genere li fa Giovanni che è il cantante, qualcuno lo faccio io, sono cose che girano, comunque. Lui è quello che li scrive e li sistema.

Non trovi che i testi siano fatti apposta per contraddire e contraddirsi? Uno può prendere questi frammenti di testi e… a me dei testi rimangono in mente delle frasi come citazioni, che hanno quasi forma di slogan ma che a differenza degli slogan sono abbastanza provocatorie.

Un po’ sono costruiti in questo modo. Non sono costruiti a slogan per il semplice fatto che non vogliamo essere uno di quei gruppi punk di quelli che parlano di “Anarchia, anarchia, tarataratatata!!!” (imita una chitarra “tirata”, ndr), perché non ci interessa assolutamente, perché è una specie di rituale fare una canzone in cui dici Anarchia, Loro/Noi.

L’hardcore solito.

A noi interessa discutere, provocare, contraddirci, perché siamo fatti così, non c’è niente da fare. Ci sono delle canzoni, ad esempio “Sono Come Tu Mi Vuoi”: la prima metà della canzone dice una cosa, la seconda metà il contrario esatto. Ci piace pensare a Giovanni come a un muezzin, come a uno che declama più che cantare, perché a cantare sono ormai capaci tutti, non ci interessa come forma il canto, anche se lui è molto bravo. Ci interessa che lui usi la voce in quella maniera.

5. Ai punks da collezione vogliamo sbattere in faccia la possibilità del filosovietismo, alle mummie da sezione la possibilità del punk. Come il melodico emiliano non è necessariamente il liscio, così il punk non è necessariamente ruvido.

Voi dite che non v’interessa essere un gruppo punk come gli altri, in generale punk anarchico abbastanza rigido nelle definizioni, però ad esempio nel 45 giri (Live In Pankow, con tre pezzi e interessante libretto allegato) voi sembrate dipingere il punk come un movimento che esprime qualcosa di internazionale al di là delle barriere, che può accomunare sia Est che Ovest. Oppure avete una vostra definizione?

Il punk come movimento per me non esiste, è morto nel ’77 – ’78. È morto e siamo molto contenti che sia morto, perché…

… così ci potete cantare sopra!

No, però noi ci sentiamo punk, e non c’è bisogno di avere catene o cose del genere. Ci interessano delle cose che son saltate fuori con la musica punk a livello di – non tanto di testi – ma di modo di affrontare la vita, che non vuol dire che necessariamente ti devi ubriacare, sniffare della colla o quelle puttanate lì. C’è scritto sui giornali che i punk fanno così e allora i punk furbini dicono “io sono un punk, allora devo far così”. Dio ce ne scampi da queste storie.

Il punk è illuminazione e nasce dalla constatazione che non c’è futuro.

CCCP - Ortodossia

6. Quando l’America indica la Luna, gli idioti guardano la bandiera.

Magari è una domanda provocatoria. Come descrivereste la vostra ascesa a gruppo di cui forse si parla di più in Italia? Com’è stata costruita questa storia per cui prima nessuno parlava di voi e ora un articolo qui, uno là, uno su l’Espresso… o vi sapete gestire bene o…

Molto modestamente l’aspettavamo da tempo. Ci sappiamo gestire bene perché non abbiamo un manager, non abbiamo una casa discografica che ci trovi i concerti, non abbiamo organizzazioni alle spalle. Non è vero che siamo protetti dall’ARCI, anche se abbiamo contatti con loro a livello commerciale, ma così come li abbiamo anche con altri. Questa storia è saltata fuori perché in Italia quando succede qualcosa di nuovo che sia davvero sentito, qualcuno prima o poi se ne accorge e lo tira fuori. In questo caso eravamo noi, del resto chi cantava in italiano fino a qualche anno fa a parte i cantautori? Oppure chi suonava la chitarra qualche anno fa a parte i gruppi hardcore? Nessuno. Suonavano le tastiere, cantavano in inglese con il ciuffo dritto da una parte. Noi abbiamo detto di no subito, ci siamo detti “a noi non ce ne frega niente degli USA, non ce ne frega niente di Londra: ci può andare male, è una scommessa che facciamo con noi e con gli altri. Noi facciamo del punk filosovietico, dopo di che vedete voi che cosa vuol dire”.

Diciamo che siete partiti già con le idee ben chiare, con la volontà di avere un impatto, quindi di fare delle scelte anche di spettacolo?

È stato così, anche se chiaramente le idee ti vengono mentre le fai. Il nostro problema fondamentale è che noi siamo tutti molto vecchi…

Cioè?

È vero, be’, 27, 28, 30. Non ho voglia di scherzare. Non ho voglia di fare dei giochi; i miei complessini anarchici li ho fatti da giovinetto o pochi anni fa. Adesso avevamo tutti davanti la scelta: o fare una vita del cazzo, che vuol dire fare anche lavori in cui guadagni (però non mi basta), o rischiare questa cosa. Abbiamo rischiato e se rischi molto può anche darsi che ti vada molto bene, come può darsi che ti vada molto male. Non vuol dire che ci sta andando molto bene, però non ci sta andando molto male.

E il fatto che il vostro disco ha raggiunto anche l’Inghilterra?

Il nostro disco uscirà in Inghilterra, tra una settimana più o meno, perché viene pubblicato come ep, rimixato, con una canzone in aggiunta, e viene distribuito dalla Rough Trade attraverso Crass Records, e anche in Germania sta per uscire.

Hai detto che avete già suonato all’estero: Berlino, Amsterdam.

Abbiamo suonato abbastanza in Germania. In questo periodo ci interessa molto suonare in Italia, però devi andare all’estero a un certo punto, perché se no in Italia non ti ascolta nessuno, per i soliti motivi.

… poi, appena torni dall’estero…

… ti si buttano addosso. Adesso magari quando la gente scopre che abbiamo un disco che esce in Inghilterra, che il film che abbiamo fatto è stato in programmazione a Berlino per un sacco di tempo eccetera, tutti grideranno “oh! I CCCP!”. Ed è ridicolo.

7. Se tu ti proponessi di recitare te, “Emilia Paranoica”…

Che cos’è questo film? Perché anche noi non ne sappiamo niente…

La storia è questa, che c’è un settimo CCCP che nessuno conosce, che è lo psichiatra…

… quello che vi cura.

… spesso e volentieri, guarda, è una specie di stregone. Ha sotto terapia un certo numero di… chiamiamoli ragazzi, anche se non è vero, perché c’erano anche degli adulti: tutti delle montagne reggiane, e con loro non ha voluto fare delle cose assistenziali. Ha detto “io sono un regista e voi siete degli attori”, dopo di che è stato vero, hanno fatto un film e loro sono stati i protagonisti a tutti gli effetti, ed è saltata fuori una cosa molto bella e interessante, quindi abbiamo partecipato come musica, come scene, con un sacco di cose. Questo film si chiama “Ahimè: il congresso del mondo”. Forse non lo vedrete mai, forse lo vedrete, spero. Tutto lì.

Voi siete interessati a questo aspetto un po’ spettacolare. Secondo voi è una componente essenziale? E perché?

Diciamo che per la componente spettacolare ci sono le due “ballerine” e lo “spogliarellista”.

Mimi vari…

Chiamali come vuoi. Sono diventati una componente fondamentale. È stata una specie di sublimazione: all’inizio avevamo qualche batterista, poi non ce l’abbiamo più avuto, ed eravamo solo noi tre a suonare molto immobili e molto fermi, ed andava anche bene, poi a un certo punto il batterista non si trovava. Abbiamo detto “facciamo senza e prendiamo altre tre persone”; ed adesso siamo contentissimi perché hanno aggiunto quello che mancava allo spettacolo, perché le canzoni non sono solo canzoni, sono anche esteriorità e un sacco di altre cose. La loro presenza aumenta la tensione in sala e va molto bene.

C’è una coreografia di base che viene prestabilita e che provate o decidono loro?

Praticamente non la proviamo quasi mai.

Viene spontanea?

Diciamo che a ogni canzone o a un certo gruppo di canzoni è abbinata una situazione. Però in genere viene improvvisata o fatta il giorno prima.

Volete anche fare un concerto tipo punk-cabaret?

No, il cabaret non ci piace molto, perché il cabaret…

… magari “preso in giro”, volevo dire…

… sì, ma ondeggia sempre tra satira, ironia, il non detto, questo genere di sottointesi e malintesi.

Mentre voi volete…

Vogliamo dire delle cose chiare, e secondo me noi siamo chiari nella nostra confusione totale, perché se uno vuole vedere la chiarezza, la vede. Non ci interessa fare “provocazioni sottili”, ci interessa molto di più pescare nel torbido, nel torbido davvero. Allora qualche volta suoniamo del liscio, perché lì peschi davvero nel fondo delle persone, e non facendo quelle cose per cui dico una parolaccia ma la mascherò un po’ così tu sorridi perché tu sai cosa vuol dire ma io non lo dico.

8. Solo tu

Adesso mi viene in mente un brano che non avete fatto oggi: “Solo Tu”, non so se è il titolo.

Tra di noi si chiama “Tango”, poi uno la chiama come vuole.

Ha un qualche riferimento specifico? Un particolare tema che sviluppa?

Sì, ma non te lo dico. In realtà uno la riferisce a quello che vuole; qualcuno di noi sa a chi la riferisce. In realtà parla anche di te, di te, di te…

Voi pensate che questo vostro cercare di spiazzare sempre lo spettatore, anche mettere il vostro disco in mezzo così tante parole, lo valutate positivamente per preservare un po’ la vostra sanità mentale di musicisti e agire come vi pare, o è anche secondo voi una cosa positiva per chi vi ascolta?

In fondo è vera la massima che c’è molta confusione sotto il cielo e la situazione è eccellente. È vero perché a noi ci preserva da un sacco di guai e di malanni, perché a me non piace avere un’immagine una volta per tutte e seguire quella.

Poi devi sempre renderne conto.

9. L’esistenza di altre possibilità

Non voglio vestirmi da sovietico perché c’è scritto su un disco, capito? Magari domani suoniamo con le bretelle e le stelline perché ci gira così. Chi ascolta o l’accetta o non l’accetta e mi va bene in ogni modo; però non mi va di dover costruire un’immagine. Di solito i gruppi vengono con delle idee e fanno un disco con una casa discografica, poi fanno un video e nel video la casa discografica dà loro i vestiti e il modo di parlare, ed è successo a così tanti gruppi che neanche dico i nomi. Dopo di che devono parlare a quel modo, vestire a quel modo, suonare a quel modo perché tanto c’è il video e non puoi smentire tutto.
A me piacerebbe smentirci molto di più di quanto non riusciamo a fare perché poi certe volte per stanchezza, per mancanza di tempo non riesci a fare tutto quello che vuoi, però se c’è della confusione è positiva per noi e per gli altri.
Stavo pensando ad un’altra cosa: sabato a Reggio Emilia ci sarà una specie di convegno a cui partecipa la rivista “Alfabeta”, dove ci sarà il noto sociologo giovanile che parlerà di un grosso problema che è l’obbligo di essere giovani, una roba così. Beh, tutto parte dal fatto che in una nostra canzone c’è scritto “chiedi al ’77 se non sai come si fa”. Allora lui ha fatto una gran bella storia dicendo che il ’77 – adesso c’è una mitologia molto rapida – è già mito, allora ti rifai a quello… E non ha capito un cazzo perché ’77 è un nostro amico e si chiama 77 e ha quattordici anni e gli capitano le peggior storie del mondo; lui ha una sua maniera di reagire agli eventi, che non valutiamo positivamente, la teniamo presente in ogni caso e ogni tanto chiediamo come si fa al ’77. Questo per dire che è ridicolo basarsi così tanto sulle parole, su quello che uno pensa voglia dire una cosa. D’altra parte mi va bene.

D’altra parte voi favorite queste cose, le date in pasto, perché dalle frasi delle vostre canzoni si possono costruire in effetti moltissime cose.

A me va bene perché io non so che storie c’hai tu alle spalle, cazzo ne so, quindi io dico un frase, tu la interpreti come ti pare e a me va bene, perché anche io interpreto come mi pare quello che sento per radio: magari ci sono delle canzoni stupide in cui una frase mi scuote perché per me vuol dire un certa cosa che per qualcun altro non vuol dire assolutamente niente.

Sì, c’è stato un momento nel concerto, non ricordo quando, ero seduto lì e stavo a sentire le parole, vedevo la bolgia scatenarsi davanti, e mi ha preso una qualche emozione, mi stavano venendo le lacrime agli occhi, non so a cosa stavo pensando, alla condizione mia, e degli altri…
Rispetto a questo qual è il vostro rapporto col pubblico? Perché ho l’impressione che voi invece in un certo senso amate provocarlo ma siete anche, non so, freddi, forse non volete cadere nella trappola…

Non so, a noi piace coinvolgerci. Chiaro, ci sono di mezzo dei problemi personali, il fatto che non sai mai come va a finire. Certe volte sei troppo propenso a concederti e non succede un cazzo, certe volte sei scazzato e succede un gran casino. È difficile sapersi comportare in questi casi. A me piace molto, se vedessi tutti piangere per una canzone li andrei ad abbracciare uno per uno, andrei fuori di testa perché sarei molto contento, come se tutti ridessero o ballassero quando vuoi provocare delle emozioni, che è quello che voglio io quando vado a un concerto e che in genere non mi succede.

CCCP - Mi Ami?

10. Felicitazioni!

Quando dite qualcosa nei testi non temete di essere fraintesi? La gente capisce tutto il contrario di quello che volete dire, oppure è questo che cercate?

Non è che cerchiamo questo. Ognuno lo riferisce a sé stesso. È un po’ come quando uno legge gli oroscopi: non vuol dire un cazzo, tu li leggi e riferisci a te stesso quello che succede. Se noi diciamo “spara Jurij”, tutti capiscono, che ne so, “spara Jurij”, un terrorista, allora tutti tirano su le tre ditina e si sfogano in questo modo e non c’è verso di far capir loro che invece Jurij è Jurij Andropov…

… l’affare dell’aereo coreano.

Be’ se la vuoi capire così a me va bene, perché quando sento un’altra canzone chissà che cosa capisco rispetto a quello che ha voluto dire; se mi metto a parlare tre quarti d’ora con te alla fine mi viene di dire di che cosa parla “Spara Jurij”.

Io già mi aspettavo “spara Jurij”, “spera Jurij”… spira “Jurij”

È già spirato Jurij!

Be’, l’interpretazione dell’aereo coreano è la più logica. Si sente anche sotto la chitarra il rumore dell’aereo che precipita.

Mah, io l’ho capito un anno dopo che cosa voleva dire la canzone, a Torino, quando ho suonato al Big, perché son parole facili e semplici…

Jurij potrebbe essere chiunque, qualsiasi russo…

Il fatto che Jurij abbia sparato a questo aereo ti provoca tremila sensazioni differenti. Da una parte dici “guarda questi stronzi di americani che mettono trecento persone su un aereo e gli fanno fare l’aereo spia, anche se non c’entrano un cazzo: i russi sparano e lo tirano giù e fanno bene”. D’altra parte dici “far fuori trecento persone in un colpo non è una cosa da niente, perché son sempre trecento persone”; e d’altra parte trecento persone non son niente. Sono allo stesso livello e dici “spara Jurij, sfogati” e d’altra parte “spera, che cos’altro puoi fare, che cosa ottieni?”, anche se so che cosa ha ottenuto come tattica concreta. “Felicitazioni”, perché…

… è riuscito…

Be’, ha fatto quel che voleva, come si dice a persone che hanno fatto qualcosa. “Felicitazioni”, il che non vuol dire che noi siamo d’accordo (o in disaccordo).

11. Europa persa e in trance

Mi sembra che sia ormai una condizione tipica di noi europei, da una parte l’America alla quale siamo legati, dall’altra la Russia di cui non sappiamo, però siamo legati lo stesso, da sentimenti di paura, stiamo in mezzo e non sappiamo…

L’Europa è ridicola perché non conta assolutamente. Nonostante tutti gli sforzi metà dell’Europa è sotto gli Americani, metà è sotto i Russi, e noi siamo qua. Non mi sento assolutamente di tenere per la parte americana. Probabilmente se abitassi a Varsavia non terrei per la parte russa. Stando qua non mi sento di appoggiare gli americani, preferisco guardare al di là di questo supposto muro che adesso magari c’è. Anche perché sono andato molte volte in Ungheria e all’Est; l’Ungheria è come la pianura padana, ci sono le stesse facce, più o meno mangi le stesse cose…

Be’, le differenze sono culturali…

Sì, ma io vengo a Torino e Torino è diversa da Reggio Emilia come l’Ungheria è diversa da Reggio Emilia.

A Reggio Emilia ci sarà il parmigiano migliore.

Se vai a Palermo è ancora un’altra cosa. Non è come andare in mezzo all’Australia: lì non c’entri un cazzo, sei tagliato fuori. Se vado in Ungheria qualcosa c’entro, volente o nolente.

Perché una volta l’Europa era un’entità comune.

Be’, l’impero austro-ungarico era alle porte…

Voi all’interno del gruppo vi trovate sempre bene?

Qualche volta ci odiamo, ci amiamo, quello che succede in tutti i gruppi, perché è così: metti in ballo delle cose molto pesanti per tutti quanti. Giovanni si è licenziato da dove lavorava, io mi barcameno, nessuno di noi ha mai una lira, perdi un sacco di giorni per niente, poi certe volte capita tutto di colpo e ci muori dentro, ti scazzi, ti riscazzi, ti rimetti d’accordo. Non c’è niente da fare, perché i sentimenti in ballo sono molto forti e quindi anche quello che dai agli altri è molto forte e molto violento.

Pensi che un gruppo italiano che abbia successo abbia anche la possibilità di arrivare a una situazione decente dal punto di vista finanziario?

La situazione dei gruppi italiani fa orrore come le case discografiche fanno orrore, la critica pure e in genere gli ascoltatori anche. Dopo di che magari ti va bene, però non sei profeta in patria, nel senso che in Italia – nel senso se rimani solo in Italia – secondo me non riesci a combinare molto perché per convincere gli italiani devi prima andare all’estero e combinare qualcosa all’estero se no non si convincono. Non pensano di esser capaci di far qualcosa loro, capito? Han bisogno che ci sia la pronuncia inglese, allora dici “va bene, se viene dall’Inghilterra è buono”. Invece figurati Reggio Emilia… Al di là delle mattonelle, delle ceramiche e del parmigiano non hai combinato un cazzo.

Secondo te da che cosa deriva questo fatto di dipendere sempre da modelli stranieri?

La Germaniaad esempio è diversa anche se è sotto dipendenza, perchéla Germaniaè ricca, è un paese molto forte, anche in negativo, però è un paese forte. L’Italia è un paese che si barcamena tra l’Europa, l’Africa,la Russiae l’America.

Un iceberg fluttuante.

Sì, è un paese strano, non è un paese europeo, perché non ci credo che è un paese europeo e che non abbia niente a che spartire con l’Africa. D’altra parte non è un paese africano.

A sud avete suonato?

Sì, abbiamo suonato poco tempo fa, Palermo, Reggio Calabria, Cosenza. È stato bello, ci ha divertiti molto: c’era molta tensione e c’era gente molto contenta, e arrabbiata, molto attiva, comunque.

12. Tempo di disprezzo, tempo di compassione…

La vostra casa discografica, la Diavlery di Bologna, che cos’è per voi? Solo un supporto per far uscire dischi? Come vi trovate?

La Diavleryva dalle due alle quattro persone, noi suoniamo e loro fanno dischi. Va be’, sono di professione anarchici e abbiamo delle storie diverse, affinità ma anche divergenze abbastanza grosse, in realtà. I problemi di fondo sono molto uguali: vogliono smettere di lavorare alle poste, vogliono smettere di studiare, tutte queste puttanate; vogliono fare una casa discografica ed è molto difficile perché chiaramente hanno pochi soldi. Hanno molto coraggio, perché non c’è nessuno in Italia che pubblica dischi punk e nessuno l’ha fatto prima di loro, che tra l’altro lo fanno con dei mezzi tecnici ridicoli. Noi abbiamo venduto un sacco di dischi con questa casa discografica: sappiamo il perché, ma è lo stesso incredibile.

Live In Pankow quanto ha venduto?

Non lo so, qualche migliaio di copie e in Italia è molto difficile perché o fai dei dischi di gran successo o…

E la distribuzione com’era?

Limitatissima, e poi è stata ferma dei mesi, perché si era rotta una macchina. D’altra parte questo disco ha circolato un sacco e siamo molto contenti, perché dimostri che non è solo con la politica delle grosse case discografiche che vai avanti, perché le grosse case discografiche non hanno coraggio… sono dei servi, sono dei pezzenti: hanno dei soldi e non sanno usarli. Li perderanno tutti o spero che ci anneghino dentro. C’è solo da pensar male di loro e sperare che crollino una dopo l’altra.

D’altra parte penso che molti gruppi anche a Torino che lavorano e fanno cose ottime da due o tre anni (come i Prostitutes) e non hanno fatto dischi… però qualche volta ho anche la vaga impressione che questo sia anche un alibi o forse solo un dire “non c’è niente…”. Non c’è niente? Al limite uno si autoproduce. Secondo te è importante uscire in dischi, con qualcosa di concreto?

CCCP - Fedeli Alla Linea

13. Mi ricordo di discorsi, belli tondi e ragionevoli.

Secondo me il problema è questo, che è facile fare i rivoluzionari, i punk anarchici, di essere puri e perfetti quando non fai un cazzo. Te ne stai chiuso in cantina, fai dei pezzi troppo cattivi, belli ed arrabbiati e dici “dio, sono proprio rivoluzionario”, “sono cattivissimo”. Poi vai a casa, dormi, mangi, bevi vai a scuola, in chiesa, dove vuoi, ti vesti tutto bello ed è finita lì. Poi a 26 anni metti su morosa, ti sposi, vai a lavorare, hai avuto un bel passato rivoluzionario e nessuno te lo tocca perché nessuno ti ha mai visto. Abbiamo detto “che cosa me ne frega, io vado a lavorare in banca subito se devo fare ‘ste storie, perché non m’interessano”. “Andiamo a suonare fuori”, lo so i pericoli che ci sono, perché a suonare fuori ti scontri con l’ARCI, col PCI, la DC, con lo sciacallaggio comune, ti scontri con gli anarchici, i punk, i fascisti, tutto, hai capito? E va bene, perché il mondo è questo, non stare chiusi in cantina.
Se vai fuori ti vendi, e ti devi vendere, e che storie sono? Non puoi far finta di non volerti vendere e venderti solo un po’.
Noi ci vogliamo vendere, vogliamo che la gente venga ai nostri concerti, compri un sacco di dischi, pensi bene o male di noi, ci conosca, magari a fondo, perché se no me ne sto a casa. Se non vendiamo un casino di dischi questa storia non vale un cazzo, capito? Rimani nel regno delle belle idee, va beh, è stato bello e divertente, però io voglio contare molto di più per me e per gli altri e vorrei che gli altri gruppi avessero queste idee e queste cose ben chiare in testa.
Allora ci fa ridere la contestazione dell’altra volta a Torino quando abbiamo suonato al Big, perché non ero mai venuto a Torino, non sapevo neanche che cosa fosse il Big. Nessun anarchico mi ha mai invitato a suonare a Torino se no saremmo venuti. Tra l’altro ci sono dei gruppi che a Torino ci piacciono molto.

Ad esempio?

I Franti.

Secondo me l’ambiente punk è abbastanza ristretto perché anche tra i punk ci sono i soliti paraocchi, vedono solo l’hardcore. Li ho sentiti che dicevano “ancora qui questi CCCP, cosa vengono a fare?”. Si lamentano dell’isolamento e non ne vogliono uscire.

Il problema è questo: uno va allo stadio e si sfoga e spacca la testa agli altri, oppure va a casa e picchia sua moglie, va fuori e investe un pedone in macchina, oppure va in cantina e suona dell’hardcore pensando di essere molto bello e libero.
Per noi è ridicola questa storia, anche se a me… se vogliono suonare hardcore, affari loro. Io da Reggio Emilia non ci posso assolutamente fare niente. Queste contestazioni mi fanno ridere perché il Big a loro non li invita a suonare, e quindi c’è anche quest’aspetto: uno dice “che schifo, vanno a suonare al Big, ma loro non ci vanno perché non li invitano o se lo facessero non ci vanno perché non s’attentano. Dopo di che magari il Big mi fa schifo, i suoi gestori possono anche essere dei mafiosi, e io che cosa ne so? Sono affari vostri.

Tu intanto le tue cose le hai dette.

Io andrei a suonare anche perla DCo l’MSI, se poi loro mi uccidono sono cazzi miei, vuol dire che ho sbagliato e non ho fatto bene i conti con quello che mi stava davanti. Suonerei davvero volentieri per l’MSI, perché non so che cosa salta fuori. Invece se vado a suonare davanti ai miei bravi punkettini, tutti ballano, vado a casa contento però tanto sapevo già come andava a finire, come leggere un romanzo d’amore e sai già che alla fine i due si sposano. Lì sai già che tutti ballano. Se vai a suonare per l’MSI, sai cosa succede? Potrebbe essere bello, potrebbero ucciderti, potrebbero suicidarsi, potrebbero non farti un cazzo.

Potrebbero essere d’accordo.

O noi essere d’accordo con loro, mi va bene questo discorso.

14. Al principio era il verbo, al principio era la Pravda: parola – verità.

La vostra condizione di musicisti, quindi, è una continua messa in discussione di tutto quel che potete fare, di tutto quello che può accadere.

È ridicolo avere delle certezze, oggi, secondo me, perché non so che certezze puoi avere e su cosa le puoi avere. L’ideologia fa ridere, la politica fa ridere; noi non cerchiamo delle certezze quando pensiamo all’URSS, perché ci spaventa poter avere queste certezze. Dico: qua non ne abbiamo, proviamo a vedere là, proviamo ad allargare lo sguardo e magari ce ne vengono alcune o magari ci spariscono anche tutte quelle poche che abbiamo, così siamo a posto anche lì.

Sopravvivere?

Sopravvivere bene, però, non voglio sopravvivere andando a vedere le partite o guardando Canale 5.

15. Nel bel mezzo
del progresso,
di diversi colori,
tra i quali il
nero, il verde…

Voi, venendo dall’Emilia, uno pensa che la situazione culturale e la programmazione siano abbastanza in mano alle solite agenzie e via dicendo. Voi avete trovato appoggi all’inizio della vostra carriera attraverso certi canali?

All’inizio assolutamente no, poi quando i giornali cominciano a scoprirti sono queste agenzie che cominciano a cercarti. Agenzie è un termine improprio, vuol dire ARCI o quelli che hanno le discoteche, non necessariamente ARCI. Non abbiamo avuto appoggi, abbiamo avuto dei contatti che io chiamo commerciali perché sono così: tu mi dai tanto, io vengo a suonare da te se mi va bene, oppure mi puoi dare tre volte di più ma se non mi va bene non suono, come posso suonare gratis come abbiamo fatto tante volte, perché ci sono dei posti dove ci vergogniamo a chiedere dei soldi.
Degli appoggi non ce li dà nessuno, ognuno cerca di rubarti quello che può rubarti, l’ARCI cerca di monopolizzarti, il PCI pure, il PSI se potesse ti salterebbe addosso, l’Italia-Urss anche, tutti quanti, perché ognuno vorrebbe essere stato lui a scoprirti e in realtà non è stato nessuno, ci siamo scoperti noi!

Indipendentemente dal fatto che al Big vi andava anche bene, voi in generale preferite fare un concerto qui o in un posto magari ristretto?

No, a me piacerebbe suonare in piazze esageratamente grandi o in fabbriche esageratamente grandi, è chiaro che non ti succede di solito. Non mi piacciono le discoteche come posti per suonare. Le volte che mi sono divertito di più sono state situazioni strane, vale a dire: monti su un camioncino, vai per l’Appennino Reggiano, ti fermi in piazza e suoni con la gente fuori di testa, oppure va in un balcone al secondo piano in piazza a Sant’Arcangelo e suoni, e tutta la gente sotto col naso in su che guarda, perché li ci aveva parlato solo Mussolini cinquant’anni fa. Queste sono situazioni belle. Dopo di che è molto difficile suonare in questi posti, quindi suoni anche in discoteca, grande o piccola che sia, più affollata è e meglio è. Il Big strapieno di gente sarebbe molto bello, come è stato bello qua perché era strapieno di gente; qua con cinque persone dentro non sarebbe stato così bello.

Torino è stato un po’ eccezionale perché ci avete suonato due volte o siete tornati anche in altri posti?

Anche in altri posti, e dove ritorni di solito va molto meglio perché la gente si racconta le cose, sente le cassette…

… la radio nel frattempo ha fatto sentire i pezzi… l’Espresso e l’Europeo hanno scritto di voi…

Appunto, poi ti vien voglia di vedere com’è. Abbiamo suonato in Romagna prima a Natale e c’era abbastanza gente, una cosa normale, due-trecento persone, vicino a Cesena, poi una settimana fa e c’era il pieno. Adesso ci torniamo a suonare fra quattro giorni e sarà strapieno, perché è così, e meno male.

16. E non si torna a casa…

E la produzione discografica andrà avanti?

Stanno per uscire una marea di dischi, quindi preparate il portafoglio. Esce questo ep tra dieci giorni (che poi vuol dire un mese, in gergo) con quattro brani, ne uscirà un altro in Inghilterra tra dieci giorni, poi un 45 giri di pubblicità per le radio, poi a settembre finalmente l’lp che non vogliamo far uscire adesso anche se è già pronto, perché non è il momento adatto, quindi aspettiamo la ripresa del mercato.

Voi siete andati a Berlino: non vi è mai venuta voglia di fare musica anche più percussiva e industriale?

C’è del fascino, però la fanno in tanti, magari ci arriveremo anche noi, non è detto. Adesso ci interessa fare delle canzoni, chiamiamole così. Le canzoni sono una cosa diversa: hanno un inizio, una fine, dei ritornelli, è già una cosa strana; figurati se mi immaginavo che avrei suonato delle canzoni “da grande”, però è andata così. Magari fra un po’ suoneremo dei pezzi che durano quaranta minuti, tutti di bidoni pestati, televisori fracassati e cose del genere.

Tu hai preferenze particolari? Che musica ascolti?

Io ascolto musica araba mentre faccio i fatti di casa, perché è la cosa migliore o, non so, il liscio; non so, non mi piace la musica oggi, non mi piace la new wave, mi fa schifo il funky, anche se è l’unica cosa che puoi ballare, in realtà. Mi piacciono delle musiche casuali, quelle che senti quando accendi la radio, e le canzoncine, perché non sono più stupide della new wave o di quello che ti spacciano per avanguardia. Il grado di stupidità in genere è invariato, solo che in una si parla inglese e nell’altra italiano, una dice delle cose che tu pensi siano impegnate, ma io preferisco quelle davvero disimpegnate perché c’è meno falsa coscienza. Preferisco uno convinto di dire puttanate a uno che pensi di dire chissà che cosa e poi dica le stesse scemenze un po’ più copertamente.

Vi interesserà anche in seguito continuare delle esperienze, a parte film, o teatrali o para-teatrali?

Può darsi. Stranamente non abbiamo piani quinquennali.

17. Fragili desideri

Adesso faccio una domanda io, dopo questa chiacchierata… offritemi da bere… (peccato che al Tuxedo ti spennino, ndr).

Non si torna a casa, non ci sono case dove tornare; siamo i turchi del domani, nomadi beduini, le case sono tende, le smontiamo ogni giorno. Siamo forse stati nutriti di parole, di affermazioni veritiere, abbiamo letto le nostre Pravde ma ora è tempo dell’inquieto realismo: sfrattati dai templi sacri ci basta frequentarne le soglie e quando ogni dove è una soglia di un’entrata possibile, le barriere e le frontiere non le vediamo più.
“Compagni, cittadini, fratelli, partigiani”! Esplorate le possibilità, l’internazionalismo dei contrabbandieri, costruitevi la vostra Russia, il vostro Gheddafi come ombre ridenti del vostro essere qui, nell’Ovest!
“Militanz”, “Sono Come Tu Mi Vuoi”, “Morire”, “Emilia Paranoica” sono i brani del nuovo mix: l’abbiamo ascoltato in anteprima, vale almeno quanto Live In Pankow (Punkow).
Il peso di ques’ultimo messaggio ce lo accolliamo noi di Snowdonia, i titoli dei 17 paragrafi sono invece tratti da canzoni/declamazioni/provocazioni dei CCCP.