CARNIST, Hellish

CARNIST, Hellish

Abbiamo già conosciuto i Carnist ai tempi del debutto Unlearn, un lavoro interessante che ci aveva introdotto alla loro visione dell’hardcore punk come forma espressiva diretta e senza fronzoli, al cui interno le parole contano tanto quanto la musica, con le azioni quotidiane a giocare un ruolo determinante se non irrinunciabile. Ancora una volta, quindi, è la difesa dei diritti animali il centro di un concept critico anche nei confronti di altri aspetti della società attuale: la religione organizzata, la struttura patriarcale e il maschilismo, tutti collegati all’egoismo dell’uomo e basati su di una sorta di complicità reciproca. Questi problemi vengono analizzati, stigmatizzati e triturati in un vortice di hardcore punk furioso, derive d-beat e contaminazioni power-violence, per un disco in cui gli unici momenti di pausa sono rappresentati da intro recitate e stacchi ricchi di groove tra un assalto e l’altro. Hellish sembra costruito per riportare l’hardcore al suo punto zero, a una ribellione reale e non di facciata come in certo punk da cartolina da Piccadilly Circus. L’insieme, dunque, non può fare concessioni a cosa va di moda o facilita l’assimilazione da parte dell’ascoltatore, che al contrario si vuole sul pezzo e consapevole, tanto che al disco (come già in passato) è allegata una vera e propria ‘zine creata dal chitarrista Gerfried. L’intervento di alcuni amici a dare manforte nelle parti spoken word, l’immagine di copertina dal forte impatto e la stessa scelta dei caratteri utilizzati per essa, non fanno che ribadire quanto finora espresso e rendono Hellish una ghiottoneria per amanti dell’hardcore più onesto. “Gli animali pagano per i nostri peccati, non per i loro”.