CANI DEI PORTICI, Due

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I Cani Dei Portici sono in due (chitarra/batteria) e affondano le mani nel pensiero non conforme di chi ha sempre cercato una via alternativa al suono distorto, cioè – per loro stessa ammissione – Melvins, Jesus Lizard, Shellac e Primus. Paragoni impegnativi che servono, però, solo a far comprendere le traiettorie e non certo a definire una vera e propria linea di continuità, visto che questa è musica che nasce proprio per negare la stessa idea di percorso prestabilito e preferisce muoversi tra bruschi cambi di prospettiva e velocità senza, per questo, rinunciare a una propria fluidità o risultare troppo cervellotica/disomogenea. Si avverte forte la voglia di lasciar andare senza briglie gli strumenti per seguire pensieri ed emozioni. Pertanto l’effetto è quello di un disco in cui l’indubbia tecnica dei due musicisti viene posta al servizio di sbalzi di umore e pulsioni istintive, richiami fugaci al proprio bagaglio di ascolti e ricerca di un proprio linguaggio personale, pur nella piena libertà di reinventarne le regole e ricombinarne gli ingredienti. Se nei momenti più robusti Due richiama l’impatto del noise-core e prende l’ascoltatore allo stomaco, quando i suoni si diradano e l’atmosfera si fa più impalpabile, ci si ritrova a riprendere fiato e ad apprezzare la ricchezza del repertorio sia a livello di scrittura, sia di scelta dei suoni. Il tutto si regge in bilico senza lasciare mai che una delle due anime prenda eccessivamente il sopravvento o finisca per prevalere nell’impressione d’insieme, così che l’ascoltatore si senta libero di interpretare l’album a seconda della propria predisposizione e possa soffermarsi su quella a lui più consona. Inutile dirlo, qui la partita decisiva si gioca su equilibri tanto precari quanto imprescindibili per la buona riuscita del tutto e, in questo, i Cani Dei Portici sembrano avere trovato la formula ottimale. Siamo curiosi di vedere come questa reggerà all’interno di un album completo, per ora niente male davvero.