BRETT NAUCKE, The Mansion

Ormai quello kraut/kosmische/prima elettronica non è più nemmeno un revival, ma una roba simile a “Ricomincio da capo” con Bill Murray. (Anche) Brett Naucke, di Chicago, lavora principalmente su sintetizzatori modulari. È già apparso sulla Spectrum Spools dell’ex Emeralds John Elliott, molto adatta a lui, e sulla stilosa Umor Rex: proprio tramite quest’etichetta messicana sono venuto a sapere della sua esistenza.

La Mansion del titolo è la vecchia, grande casa nella quale Naucke è cresciuto e il disco vorrebbe essere la trasposizione sonora di alcuni ricordi di quel luogo e di quella parte della sua vita. Per fortuna, come sottolinea il comunicato stampa, qui non ci sono solo macchine analogiche che fanno le bolle e – va detto – ottime melodie, ma anche voci umane, field recordings, varia strumentazione aggiuntiva (il classico piano) e soprattutto una tendenza al sound design che secondo me ha richiesto l’uso del digitale. Sia come sia, grazie alla musica concreta e alla bravura nello stendere ed espandere i suoni e dare l’idea che si muovano all’interno di uno spazio, sembra spesso di trovarsi dentro a quella casa, in mezzo a un sacco di “avvenimenti”, determinati dalle persone e dagli oggetti che la abitano (“Sisters”, “Clocks In The Mansion”, “Youth Organ”, “Century Mirror”), che sono a tratti sfuggenti e imprendibili, perché si parla pur sempre di memoria e dunque della sua fallacia/fragilità, e non fatemi tirar fuori Basinski. Questo discorso non vale per l’ultima traccia, “No Ceiling In The Mansion” (è facile che a un bambino un posto così sembrasse quasi senza soffitto), diversa dalle altre e più lunga, allucinatoria e imponente, non per questo meno godibile, anzi.

Non è il caso di entusiasmarsi troppo, ma The Mansion ha il pregio di essere vitale, vario e ricco in un contesto manierista (forse “retromania” è un modo educato di dire manierismo).