BOLOGNA VIOLENTA, Nicola Manzan

Bologna Violenta

Sono molte le novità in casa Bologna Violenta, a partire da un nuovo compagno di viaggio dalla cui presentazione siamo partiti per una lunga chiacchierata che ci per-mette di sbirciare all’interno di Discordia e di fare il punto della situazione con Nicola Manzan.

Partiamo dalla novità più eclatante: la decisione di trasformare Bologna Violenta in un duo con l’ingresso di Alessandro Vagnoni. Come vi siete incontrati e come è nata l’idea di stravolgere la natura solitaria di Bologna Violenta per accogliere a bordo un compagno di viaggio?

Nicola Manzan: Parto da come ci siamo incontrati: quando ero in tour con i Baustelle, il nostro fonico palco era tale Paolo Ojetti, cantante degli Infernal Poetry, band di cui Alessandro era il batterista. Grazie a quest’amicizia comune, Alessandro si è avvicinato alla mia musica, si è interessato ed è venuto a qualche concerto, dicendomi nel frattempo che avrebbe voluto suonare con me. Pur non essendo molto avvezzo al genere che facevo, gli piaceva l’idea di suonare pezzi così strani, anche se non era certo che sarebbe riuscito a impararli per poi portarli dal vivo. Quindi ha cominciato a scrivermi (nel 2010) e siamo rimasti in contatto per tutti questi anni, finché non è riuscito a convincermi (questo un anno e mezzo fa circa) ad accettare questa specie di sfida che stava facendo prima di tutto con se stesso. Dal canto mio, era da un po’ che pensavo che mi sarebbe piaciuto ampliare la formazione, magari proprio con l’inserimento di una batteria dal vivo. Questo perché, nonostante la formula della one-man-band mi sia sempre piaciuta, dall’altra devo anche ammettere che sono stato in giro per anni da solo perché non ero riuscito a trovare qualcuno di veramente appassionato e in grado di soddisfare le mie “esigenze”, prima di tutto da un punto di vista tecnico, ma anche (e soprattutto) dal lato umano, cosa per me fondamentale.

In che modo avete costruito la vostra interazione? Come è stato confrontarsi con un alter ego in carne ed ossa, anziché gestire il tutto in maniera completamente autonoma?

Il tutto è stato fatto soprattutto online, nel senso che in un primo momento gli ho mandato i pezzi con le batterie separate, in modo che potesse trascriverle ed impararle, dopodiché, in previsione dello split uscito l’anno scorso con i Dogs For Breakfast, mi ha mandato delle tracce di batteria su cui ho costruito quattro pezzi nuovi. Il grande cambiamento è dipeso soprattutto dal fatto che quasi tutti i miei brani sono nascono dalle batterie, quindi per la prima volta mi sono trovato ad aver queste ultime già pronte da arrangiare (magari modificandole in parte), quindi la base era per una volta molto diversa e mi sono dovuto adeguare al fatto che un batterista vero ha due braccia e due gambe, cosa che prima non succedeva!

Se al tempo di questo split ho comunque tenuto le redini di tutta la questione, con Discordia il lavoro è stato più collaborativo, nel senso che Alessandro ha partecipato attivamente alla sua stesura, dandomi preziosi consigli e, cosa non da poco, mixando l’intero disco. Questa cosa non era mai successa in precedenza, ma devo dire che il risultato non sarebbe stato così soddisfacente se l’avessi fatto io. Mi piace confrontarmi con Alessandro per quel che riguarda la musica, ma anche su un po’ tutti i temi della vita, anche perché col tempo ho scoperto di avere molte più idee in comune con lui di quante potessi anche solo immaginare.

Del resto, non vi siete fatti mancare alcuni ospiti di riguardo per rendere ancor più ricco di sfumature il tutto. Ti va di raccontarci qualcosa di queste collaborazioni e del loro contributo al disco?

Sono tutte collaborazioni nate molto spontaneamente. Andando nel dettaglio, conosco Monique “Honeybird” Mizrahi da parecchi anni e ci eravamo ripromessi di fare qualcosa insieme prima o poi. Mentre registravo l’album mi ha mandato un pezzo di charango (uno strumento sudamericano simile all’ukulele e al mandolino) su cui mi chiedeva di registrare un violino. Me ne sono subito innamorato e ho pensato che sarebbe potuto diventare una base su cui costruire un pezzo per il mio nuovo disco. L’ho montato su una batteria di Alessandro e tutto sembrava coincidere in maniera così eclatante che sembrava quasi si fossero messi d’accordo. Quindi ho arrangiato l’insieme e ne è uscito “Colonialismo”, qualcosa tutto sommato di diverso dai soliti di Bologna Violenta, ma anche molto efficace per chiudere il disco.
Ci sono poi gli interventi degli Ottone Pesante su Leviatano, brano che fin da subito mi aveva ispirato l’uso appunto degli ottoni. In questo caso, sarebbe stato assurdo usare degli strumenti virtuali, visto che conosco i ragazzi, che sono dei professionisti coi quali avevo già lavorato in passato.
Un altro ospite è Fabio Reeks Recchia, attivo, tra gli altri, con Surgical Beat Bros e Ger-manotta Youth. Stando in tour con lui mi sono ritrovato spesso a registrarlo mentre diceva delle cose assurde e mi sembrava quasi doveroso inserirlo nel disco, vista la qualità delle sue cazzate.
Ultimo, ma anche il primo che si sente nel disco, è Paolo Polon, un mio compaesano che è attualmente il pianista del Teatro La Fenice di Venezia, persona che mi ha accompagnato (nel vero senso della parola) durante gli esami in conservatorio. Paolo è un musicista di altissimo livello e quando ho pensato di iniziare il disco con il pianoforte lui è stato il primo che mi è venuto in mente, soprattutto perché non so se conosco pianisti al suo livello.

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Anche da un punto di vista musicale/compositivo Discordia appare un disco ricco di novità, in qualche modo dotato di due anime distinte che lottano per avere il sopravvento e ne segnano l’intero divenire. A tratti sembra quasi di intravedere un tuo lato meno iconoclasta e più “amichevole” nei confronti dell’ascoltatore, mi sbaglio?

La cosa che mi sento di dire è che non mi sono posto dei limiti, neanche per quel che poteva riguardare il lato “melodico” dei brani. Se usciva una bella melodia non pensavo di renderla inascoltabile, come spesso succedeva prima, ma la lasciavo fluire cercando di renderla al meglio. Poi ci sono pezzi come “Discordia”, in cui le dissonanze sono al centro di tutto, ma anche in questo caso sentivo che non avrei potuto fare altrimenti. Ho anche cercato di non ripetermi mettendo il classico episodio col violino solista o il solito intervento harsh da qualche parte. Semplicemente ho cercato di tirar fuori il meglio dai pezzi, come se fossero stati già scritti da qualche parte e io avessi avuto solo il compito di registrarli nel miglior modo possibile. Quello che ne è uscito è un disco effettivamente ambiguo, in cui non si capisce chi abbia la meglio tra fruibilità e fastidio puro.

Quasi a smentire la mia precedente intuizione, nelle note parli di Discordia come di un disco nato dalla frustrazione, dalle lotte interiori e dall’odio che provi per ciò che ti circonda. Si direbbe quasi un disco catartico o, comunque, un lavoro dove il punto di vista è quello soggettivo anche quando indaga la realtà circostante. Cosa ti ha spinto in questa direzione dopo un disco “narrativo” come il precedente?

In primis non avevo voglia di fare un altro disco di cronaca. A me piace suonare e fare musica in qualche modo estrema. Un disco come Uno Bianca si è rivelato molto pesante dal punto di vista emotivo, forse addirittura troppo, di sicuro più di quello che pensassi prima di mettermi a farlo. Ora avevo voglia di fare un passo indietro e tornare a parlare del mondo e della vita degli esseri umani usando spesso come chiave di lettura il lato ridicolo della stessa. È comunque un disco nato in un periodo in cui stavo facendo i conti con me stesso, con la mia vita e con quello che avevo fatto e che avrei voluto fare, quindi è il frutto di un periodo poco sereno e molto travagliato. Alcuni pezzi raccontano la mia vita, le mie esperienze e il sentirmi continuamente in conflitto con me stesso, non sapendo di preciso come collocarmi all’interno di un mondo e di una società che mi fa parecchio schifo.

Del resto, già l’artwork lascia adito a pochi dubbi su di un ipotetico cambio di pelle del lupo, che sembra sempre pronto ad azzannare alla gola il Belpaese e la sua indole ipocrita e qualunquista. Pensi che sia possibile rintracciare in questa costante il filo conduttore in grado di legare insieme i vari capitoli della discografia di Bologna Violenta?

Sì, penso proprio che questa sia una chiave di lettura di tutta la mia discografia come Bologna Violenta. Da un lato amo gli esseri umani, dall’altro li detesto profondamente. Ogni popolo ha le sue cose belle e i suoi orrori, certo è che conosco molto bene la realtà in cui vivo (quella italiana, intendo) e spesso mi trovo a chiedermi se non sarebbe meglio l’estinzione umana volontaria. La gente è troppo egoista, ignorante e stupida. La maggior parte delle persone è fatta con lo stampino, senza senso critico e senza la minima coscienza che siamo in un mondo in cui ci sono anche altri esseri umani e soprattutto molti altri esseri viventi che hanno (o dovrebbero avere) la nostra stessa dignità e il nostro diritto di vivere su questo pianeta malandato.

Da dove nasce il titolo Discordia? In genere è meglio evitare domande che contengano un’interpretazione, ma la curiosità questa volta prevale: Discordia come richiamo alla Costa Concordia, in fondo il Titanic de’ noantri… Completamente campata in aria?

L’idea nasce effettivamente dai vari camion che girano in autostrada con la scritta DISCORDIA rossa su fondo giallo. Si tratta di una compagnia di trasporti bulgara che non so per quale motivo ha scelto questo nome, ma che ci è sembrato molto adatto come titolo. Soprattutto se giri molto in autostrada ti rendi conto che la discordia è un sentimento predominante tra automobilisti e autisti vari. Un po’ come se fossimo tutti contro tutti, in totale disarmonia. Partendo da questo concetto, ci siamo accorti che era una parola che ben rappresentava molto bene i rapporti conflittuali tra gli esseri umani, un continuo essere in disaccordo su tutto, con conseguenze spesso tragiche. Ti confesso che l’idea di mettere una foto della Costa Concordia ci era passata per la testa, ma è stata quasi subito scartata per una serie di motivi che non sto qui ad elencarti. Magari il prossimo disco potremo intitolarlo Concordia e metterci il faccione di Schettino, chissà…

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Torniamo un attimo alla musica: quanto il nuovo corso rispecchia la tua evoluzione anche come fruitore di musica (ma non solo)? In pratica, quanto di ciò che ascolti, leggi, guardi rientra nella tua musica e ne influenza il cammino?

Qualsiasi cosa io ascolti diventa parte di quello che poi scrivo e registro. Questo succede spesso e troppo spesso devo stare attento a non fissarmi con una band, un compositore o un determinato genere, altrimenti rischio di fare dischi monotematici e troppo ispirati a l’uno o all’altro. Tutto sommato reputo questo aspetto una delle mie fortune, perché in questo modo sono costretto ad ascoltare costantemente le cose più disparate, o, nel dubbio, di restarmene per giorni in completo silenzio. Devo dire che la serie di uscite denominate The Sound of… mi ha aperto dei mondi che prima non conoscevo e che sono entrati prepotentemente nella mia vita e quindi nella mia musica. Faccio un esempio al volo: se non avessi cominciato a collezionare vecchi vinili di Donna Summer (conosciuta proprio grazie all’uscita a lei dedicata), probabilmente la parte centrale di Incredibile lite al supermercato non sarebbe mai venuta fuori, e questo secondo me sarebbe un peccato perché la ritengo assolutamente efficace e allo stesso tempo divertente.
Quindi, tornando alla domanda, Discordia è esattamente il riflesso di quanto ho ascoltato negli ultimi due anni.

Credi che Bologna Violenta si stia incamminando in qualche modo verso una forma espressiva meno caustica/urgente per concedersi maggiore libertà e magari riavvicinarsi un giorno alla forma canzone o escludi a priori questa traiettoria?

Ti confesso che l’idea di scrivere “canzoni” non è che mi esalti particolarmente. Anzi, se ci penso mi cadono le palle… Magari potrei farlo per altri, ma per quello che voglio fare io non la vedo una possibilità molto concreta. Mi piace realizzare musica libera dagli schemi, senza dover pensare alla durata, alle strutture, a quello che per forza ci deve essere affinché la si possa catalogare. Non so neanche se i prossimi lavori saranno meno caustici, per usare la tua definizione. Ti dirò che dopo questo disco mi piacerebbe fare qualcosa di diverso, ma allo stesso tempo un po’ più estremo. Non so di preciso in che modo, ma mi viene da pensare che la vena iconoclasta non si sia ancora esaurita. Mi piace l’idea di poter abbattere ancora qualche barriera, di poter andare con un discorso musicale votato più al lato iconoclasta che non a quello piacione.

Avete già portato dal vivo i nuovi brani? Come cambia il set di Bologna Violenta ora che siete in due? Quali a tuo giudizio le differenze maggiori con il precedente assetto anche a livello di interazione con il pubblico, impatto sui presenti?

Dal vivo facciamo un mix di quasi tutti i dischi che ho fatto uscire. Suoniamo uno di fronte all’altro, come se fossimo su una specie di ring, e alle nostre spalle ci sono i visual che raccontano le varie storie legate ai pezzi. La differenza che sento di più è che finalmente siamo in due a suonare e non ho più l’impressione di fare una specie di karaoke in pubblico. C’è molta più energia e parecchia interazione anche col pubblico, soprattutto per il fatto che mi piace raccontare qualche aneddoto che ha ispirato i brani. La gente a volte ride, a volte resta pietrificata. Del resto, se la musica non è esattamente easy listening… C’è da dire che anche per quel che riguarda i visual non siamo andati molto per il sottile e, a detta di molti, sono spesso parecchio shockanti. Quindi non posso che ritenermi molto soddisfatto di questa evoluzione.

Direi che è tutto, ma lascio a te lo spazio per riempire eventuali vuoti nelle mie do-mande e per concludere come meglio preferisci. Grazie.

Grazie a te e a voi per lo spazio che mi concedete e per l’interesse che dimostrate per questo progetto. Vorrei solo ricordare che la discografia completa di Bologna Violenta si trova su Bandcamp (con molte uscite in free download), ma c’è anche un sito con le date aggiornate e siamo presenti sui vari social per condividere news e notizie tra il serio ed il faceto. Nel frattempo siamo in tour e se qualcuno vuole farci suonare da qualche parte, non deve far altro che scriverci, non vediamo l’ora di portare discordia ovunque.

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