BOHREN UND DER CLUB OF GORE, 2/11/2017

Milano, Santeria Social Club.

Una musica priva di eventi, così il trio della grigia e fredda  Ruhr (l’unica area d’Europa a contendere alla pianura padana il primato dell’inquinamento) definisce ciò che propone,  oramai da quasi 25 anni (Gore Motel, disco d’esordio, è del 1994). Mai definizione fu più laconica (in perfetta simbiosi con lo stile della band) e azzeccata: scure, scurissime digressioni ambientali che portano chi ascolta dritto dritto nel mondo opaco e malinconico di Twin Peaks, con la sfocata certezza che qualcosa di brutto sia accaduto o stia per  accadere e che alla tristezza non ci sia rimedio. Pochissimi accordi (ma sempre quelli giusti, senza mai cedere a svenevolezze eccessive o enfasi di qualsiasi tipo) fatti girare con beat bradicardico, un suono languido e avvolgente con tastiere, sassofono, contrabbasso e giusto pochissima batteria (tastierista e contrabbassista hanno rispettivamente un ride e un charleston, mentre un rullante azionato non ho capito bene come si muove da solo, dando al tutto un impatto scenico molto da Mulholland Drive, tanto per restare in tema lynchiano).

Il pubblico accorso nel bellissimo spazio del Santeria Social Club è quello delle grandi occasioni, I’ambient nera e il jazz da autopsia della band negli anni ha affascinato tanti, ed in più questo è il primo tour in assoluto in Italia. Il canovaccio dei pezzi è sempre lo stesso: un lentissimo riff di tastiera, sospeso e drammatico, il charlie a dare semplicemente l’uno, come un cuore che nonostante tutta la bufera ed il nero continua a battere, nel silenzio vasto che inesorabilmente poi si prenderà tutto, il contrabbasso a riempire di frequenze con mai più di tre note in tutto, e poi le aperture di sax o di vibrafono, che pur essendo sempre uguali, in buona sostanza, sanno a volte colpire con impietosa precisione il bersaglio e proiettarci in un perfetto scenario da noir degli anni Zero. Crooner senza parole, il sassofonista racconta ordinarie storie di desolazione, di solitudine, di resa: tutto questo sempre con una pasta sonora molto avvolgente, densa e rarefatta, che trasporta in un gorgo nel quale è affascinante senz’altro lasciarsi andare, ad occhi chiusi.

Le ballads alla Blade Runner della band ora ridotta a trio (il batterista Thorsten Benning ha mollato nel 2015) si somigliano tutte, ma ugualmente l’audience accoglie con ululati di approvazione alcuni temi, come quelli presi da Sunset Mission, disco del 2000 dalla cui copertina ti aspetti di veder spuntare Rutger Hauer da un momento all’altro. Necessaria e benvenutissima la scelta di mettere le sedute nel locale, in modo da potersi gustare al meglio un’ora buona di musica che non sorprende in alcun modo rispetto all’ascolto dei dischi e pecca di eccessiva freddezza forse, ma che sa comunque avvolgere a volte nelle sue profonde spire. Ecco, forse un poco più di profondità al suono tramite l’intervento di un altro strumentista a variare la paletta timbrica oppure il ricorso a qualche intrusione noise avrebbe giovato allo spettacolo, che è comunque assolutamente da elogiare per la bravura con la quale i tre sanno gestire uno swing catatonico che a stento raggiunge i 50 bpm. Questi pezzi, se venissero suonati con una pulsazione più veloce, probabilmente non direbbero  quanto riescono a fare in questa veste, invece così, congelati e sempre sul punto di cadere al suolo e rompersi,  hanno un che di mesmerico, complice anche il fumo in sala, le luci molto scenografiche e l’aplomb tutto tedesco dei musicisti. Totalmente fedeli a un sound minimale, monolitico ed orizzontale, dove ai bordoni da colonna sonora di quello che pare un mellotron  fanno da contraltare pregnanti accordi di rhodes, mentre il sassofono ha il compito di staccare inni gelidi al nero che avanza, e il contrabbasso mette le virgole solo ed esclusivamente dove serve, Christoph Clöser (sax e vibrafono), Morten Gass (Rhodes e synth)  e Robin Rodenberg (contrabbasso) sono assurti allo status di cult band (i posti a sedere stasera sono tutti pieni, e c’è pure gente in piedi), anche se non ci siamo emozionati come credevamo (maledette aspettative), il concerto di stasera è senz’altro stato bello. Bohren per i soci del suo club ha un’offerta che non cambia mai, da anni: un Bill Evans con una  mano dietro la schiena lanciato in una navicella spaziale e portato a spasso oltre i bastioni di Orione,  dove la gravità è solo un ricordo, jazz per chi non ascolta jazz e ambient per chi non ascolta ambient (ho scoperto da poco che i nostri riscuotono successo anche tra i fan del black metal, tanto per dire), doom ballad per loser che anche stasera torneranno a casa soli. L’equivalente audio di un quadro di Mark Rothko, come un impossibile Morton Feldman virato lounge. E poi fuori novembre, le luci di Milano, perfette nella notte italiana, a scorrere come titoli di coda.